Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18080 del 31/08/2020

Cassazione civile sez. VI, 31/08/2020, (ud. 12/03/2020, dep. 31/08/2020), n.18080

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 36167/2018 R.G. proposto da:

RG Marmi Due S.r.l., rappresentata e difesa dall’Avv. Alessandro

Petrillo, con domicilio eletto in Roma, Piazza Verdi, n. 8, presso

lo studio dell’Avv. Alfredo Scialò;

– ricorrente –

contro

Condominio (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avv. Enrico Maria

Buonfantino;

– controricorrente –

avverso la sentenza del Tribunale di Napoli, n. 8677/2018, depositata

il 10 ottobre 2018;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata

del 16 giugno 2020 dal Consigliere Emilio Iannello.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Il Tribunale di Napoli ha confermato la sentenza di primo grado che ha rigettato la domanda risarcitoria proposta dalla RG Marmi Due S.r.l. nei confronti del Condominio (OMISSIS), per i danni subiti della propria autovettura Lancia Thesis a causa dell’urto della sua parte sottostante con la base sporgente del cancello di accesso ai garage dell’edificio condominiale.

Ha infatti ritenuto che il teste escusso, sebbene avesse confermato il verificarsi dell’urto, non era stato tuttavia in grado di riferire se vi furono dei danni o se questi furono constatati al momento dal conducente del mezzo. Ha inoltre osservato che detto conducente “in ogni caso partì senza problemi verso la Toscana dove una decina di giorni dopo fece effettuare dei lavori al collettore di scarico, senza che possa desumersi un collegamento tra tali lavorazioni e l’episodio del maggio 2009”. Ha soggiunto che “il nesso appare ancora più inverosimile se si considera che lo stesso testimone conferma che solo un’auto sportiva ha negli anni subito danni a causa della cunetta in quanto sportiva e quindi “rasoterra”, molto diversa dai modelli di auto simili a quella” di parte attrice. Ha infine osservato che “la circostanza che l’episodio si sia verificato solo una volta, nonostante che la società possegga la Lancia dal 2002, fa dubitare ulteriormente della veridicità dell’assunto, ben potendosi ricollegare i danni riscontrati in Toscana ad altri eventi verificatisi durante il viaggio”.

2. Avverso tale sentenza la società propone ricorso per cassazione con unico mezzo, cui resiste il condominio intimato, depositando controricorso.

3. Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

La ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis c.p.c., comma 2.

Fissata per la trattazione l’adunanza del 12 marzo 2020, a causa del sopravvenire dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, in attuazione del D.L. 8 marzo 2020, n. 11, art. 1, il Primo Presidente, con decreto del 9 marzo 2020 (prot. Interno n. 526) ne ha disposto il rinvio a nuovo ruolo (come di tutte le cause fissate per le udienze e adunanze camerali in calendario nel periodo compreso tra il 9 e il 22 marzo 2020, con la sola eccezione – che qui non viene in rilievo – di quelle indicate nel cit. D.L., art. 2, comma 2, lett. g).

Quindi, in attuazione dei decreti del P.P. nn. 44, 47, 55 e 76, a loro volta attuativi del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, art. 83, comma 7, convertito dalla L. 24 aprile 2020, n. 27, e successivamente modificato dal D.L. 30 aprile 2020, n. 28, art. 3, comma 1, lett. c), essendo stata prevista la possibilità, per la Sesta Sezione, di fissare adunanze camerali nel numero ivi precisato nel periodo dal 1 al 19 giugno, la presente causa è stata destinata per la trattazione in adunanza camerale nella data odierna, con decreto del Presidente titolare del quale è stata data rituale comunicazione alle parti.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con unico complesso motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, “violazione di legge, in particolare delle norme che regolano le prove legali (art. 2697 c.c., comma 1, artt. 2727 e 2729 c.c.; artt. 92 e 115 c.p.c.)”, nonchè “difetto di motivazione per contraddittorietà ed illogicità manifesta”.

Lamenta “in relazione all’art. 2697 c.c.”, valutazione errata delle prove e, segnatamente, “della prova certa – in forza della prova testimoniale resa e non contestata – dell’avvenuto urto…; della prova della pericolosità dei luoghi: vedi assemblea condominiale che autorizza l’amministrazione a provvedere all’eliminazione del pericolo; della prova documentale dei danni di cui alla fattura allegata e non contestata…; della chiara e precisa sequenza dei fatti…”.

Afferma che le circostanze di contro valutate dal giudice a quo “non reggono ad una comparazione con le prove fornite dalla società”.

Denuncia altresì violazione del principio di non contestazione, avendo il Tribunale tralasciato di considerare che mancavano “precise contestazioni su tutti i punti ed in particolare della fattura”.

Deduce infine violazione dell’art. 92 c.p.c., per avere il Tribunale liquidato le spese applicando i parametri previsti per un valore della causa compreso nello scaglione fino a Euro 5.200, e per non avere tenuto conto del divieto di liquidare spese di importo maggiore rispetto al valore della causa.

Afferma infine che “la questione… meritava la compensazione delle spese”.

2. Il motivo è inammissibile, sotto vari profili, nella parte in cui censura il rigetto della domanda risarcitoria.

2.1. Rimane palesemente inosservato il requisito – previsto a pena di inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, – della specifica indicazione degli atti o documenti su cui il ricorso si fonda: è ripetuto il riferimento a prove, testimoniali o documentali, non accompagnato però in alcuna misura nè dalla descrizione del relativo contenuto, nè dalla puri necessaria indicazione della sede processuale in cui detti risultino prodotti o acquisiti e risultino dunque presenti nel fascicolo processuale; è invece, come noto, necessario che si provveda anche alla relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta alla Corte di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v. Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239; Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).

2.2. La censura di violazione della regola sull’onere della prova, poi, non è dedotta nei termini in cui può esserlo secondo Cass. Sez. U. 05/08/2016, n. 16598 (principio affermato in motivazione, pag. 33, p. 14, secondo cui “la violazione dell’art. 2697 c.c., si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni”; v. anche Cass. n. 23594 del 2017, cit.; Cass. 17/06/2013, n. 15107).

Non è individuata l’affermazione in diritto che comporta violazione o falsa applicazione delle norme evocate; è evidente peraltro che la sentenza muove dalla corretta premessa in diritto secondo cui, in tema di responsabilità da cosa in custodia, ex art. 2051 c.c., spetta a chi agisce in giudizio per farla valere dare prova della sussistenza del nesso causale tra cosa in custodia e danno.

La ricorrente non contesta la correttezza di tale regola di giudizio, nè illustra le ragioni per cui la stessa dovrebbe ritenersi in concreto male o falsamente applicata.

Gli argomenti critici attengono con evidenza al merito della valutazione operata circa l’insussistenza di elementi, anche di carattere presuntivo, sufficienti a dimostrare l’esistenza del nesso causale e, come tali, impingono nel diverso piano della sufficienza e della intrinseca coerenza della motivazione adottata, non certo in quello del rispetto delle regole di giudizio.

2.3. Anche la violazione del principio di non contestazione non è dedotta nel modo in cui la giurisprudenza di questa Corte lo dice deducibile (“Il motivo di ricorso per cassazione con il quale si intenda denunciare l’omessa considerazione, nella sentenza impugnata, della prova derivante dalla assenza di contestazioni della controparte su una determinata circostanza, deve indicare specificamente il contenuto della comparsa di risposta avversaria e degli ulteriori atti difensivi, evidenziando in modo puntuale la genericità o l’eventuale totale assenza di contestazioni sul punto”: Cass. n. 12840 del 22/05/2017).

2.4. Le difese che con riferimento a tali rilievi sono svolte in memoria non valgono a inficiarne la fondatezza: il mero richiamo in ricorso ad una fattura non basta ad assolvere (ma anzi è proprio quello che attiva) l’onere di specifica indicazione del documento imposto dall’art. 366 c.p.c., n. 6, quale sopra descritto; lo stesso dicasi degli elementi asseritamente emergenti dalla prova testimoniale; le considerazioni riguardanti la regola di riparto dell’onere della prova e il principio di non contestazione non fanno altro che ripetere le medesime erronee impostazioni concettuali sopra rilevate.

3. Il motivo è altresì inammissibile nella parte in cui fa riferimento alla mancata compensazione delle spese.

Pur prescindendo dalla evidente apoditticità dell’affermazione, nella quale è difficile leggere un effettivo contenuto censorio, è dirimente il rilievo che, secondo principio pacificamente acquisito nella giurisprudenza di questa Corte, in tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Cass. Sez. U n. 14989 del 15/07/2005; Cass. n. 11329 del 26/04/2019).

4. E’ invece fondata la censura nella parte in cui lamenta l’applicazione, ai fini della liquidazione dei compensi, di parametri rapportati ad uno scaglione non corrispondente, per eccesso, all’effettivo valore della causa.

Il Tribunale ha liquidato le spese del grado, dichiaratamente in base al D.M. n. 55 del 2014, e facendo espresso riferimento allo scaglione da Euro 1.101 ad Euro 5.200.

Appare dunque evidente l’errore in cui è incorso il Tribunale, rappresentato dall’applicazione di uno scaglione superiore all’effettivo valore della causa, da determinare in base al valore della domanda, pacificamente e chiaramente indicato in Euro 928,63.

5. Con limitato riferimento a tale censura la sentenza impugnata va pertanto cassata.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con la liquidazione delle spese processuali dovute a controparte dalla R.G. Marmi Due S.r.l. per il secondo grado del giudizio di merito nell’importo complessivo di Euro 500, oltre accessori come per legge.

Va al riguardo considerato che il giudice a quo ha espressamente evidenziato che, tra le voci da considerare, non va compresa quella relativa alla fase istruttoria e che, inoltre, la controversia si caratterizzava per la semplicità delle questioni.

Anche ai fini della presente liquidazione appare dunque anzitutto necessario escludere tra le voci da liquidare quella relativa alla fase istruttoria e si reputa altresì giustificata, per le medesime ragioni, l’applicazione di valori medi.

6. L’accoglimento parziale del ricorso giustifica l’integrale compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione; cassa la sentenza; decidendo nel merito, liquida le spese del giudizio di appello in Euro 500, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed oltre accessori come per legge. Compensa integralmente le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 16 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2020

 

 

 

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