Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18077 del 05/07/2019

Cassazione civile sez. III, 05/07/2019, (ud. 28/05/2019, dep. 05/07/2019), n.18077

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

COMUNE DI MONTEFALCO (P.I.: (OMISSIS)), in persona del Sindaco,

legale rappresentante pro tempore rappresentato e difeso, giusta

procura in calce al ricorso, dall’avvocato Marco Mariani (C.F.: MRN

MRC 57C15 D653Q);

– ricorrente –

nei confronti di:

P.B.P. (C.F.: (OMISSIS)) rappresentato e difeso,

giusta procura in calce al controricorso, dagli avvocati Francesco

Storace (C.F.: STR FNC 59D17 H501D) e Marco Squicquero (C.F.: SQC

MRC 59H26 H501B);

N.A. (C.F.: (OMISSIS)), T.P. (C.F.:

(OMISSIS)) rappresentati e difesi, giusta procura a margine del

controricorso, dall’avvocato Giuseppe La Spina (C.F.: LSP GPP 41M21

H154W);

– controricorrenti –

per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Perugia n.

869/2017, pubblicata in data 25 novembre 2017;

udita la relazione sulla causa svolta alla camera di consiglio del 28

maggio 2019 dal consigliere Augusto Tatangelo.

Fatto

FATTI DI CAUSA

P.B.P. ha agito in giudizio nei confronti di N.A.M. e T.P. per ottenere la rimessione in pristino del muro di contenimento al confine tra le rispettive proprietà ed il risarcimento dei danni subiti in conseguenza del suo parziale cedimento.

I convenuti hanno eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva, sostenendo che il muro in questione fosse di proprietà del Comune di Montefalco. L’attore ha quindi provveduto a chiamare in causa anche il suddetto comune, estendendo allo stesso la domanda proposta.

La suddetta domanda è stata accolta dal Tribunale di Spoleto esclusivamente nei confronti del T. e della N., ritenuti proprietari del muro e responsabili del suo cedimento. La Corte di Appello di Perugia, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha invece condannato al risarcimento dei danni (per Euro 39.399,69) anche il Comune di Montefalco, in solido con il T. e la N., oltre accessori e il solo comune alla ricostruzione del muro in questione.

Ricorre il Comune di Montefalco, sulla base di tre motivi.

Resistono con distinti controricorsi l’attore P.B. e i convenuti N. e T..

Il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 822 e 824 c.c.”.

Il motivo è inammissibile.

Nelle azioni risarcitorie (e, in particolare, in quelle per danni derivanti da cose, di cui agli artt. 2051 e 2053 c.c.) il presupposto della proprietà del bene che ha provocato il danno va accertato in via incidentale e non secondo i rigorosi criteri applicabili nelle azioni reali dirette all’accertamento del diritto di proprietà dell’attore.

Si tratta di un accertamento di fatto ai fini del quale, anche in caso di beni immobili, non è necessaria la produzione del titolo di proprietà o una prova scritta documentale, essendo sufficiente che l’attore dimostri con qualsiasi mezzo, incluse le presunzioni, che il convenuto fosse titolare della proprietà o quanto meno di un diritto reale di godimento sulla cosa che ha arrecato il danno tale da comportarne l’obbligo di custodia o di manutenzione (altrettanto si afferma del resto anche con riguardo alle stesse azioni reali non dirette all’accertamento del diritto di proprietà dell’attore e con riguardo alle azioni per il risarcimento di danni provocati a beni immobili; cfr., rispettivamente, per la prima ipotesi: Cass., Sez. 2, Sentenza n. 25342 del 12/12/2016, Rv. 641959 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 4737 del 27/05/1987, Rv. 453381 – 01; per la seconda: Cass., Sez. 1, Sentenza n. 18841 del 26/09/2016, Rv. 641827 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 7904 del 18/05/2012, Rv. 622858 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 8985 del 29/04/2005, Rv. 581147 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 9711 del 21/05/2004, Rv. 573012 – 01).

Nella specie, dunque, quello relativo alla proprietà pubblica comunale (in capo al Comune di Montefalco) del muro di contenimento che ha causato danni al fondo dell’attore costituisce un accertamento di fatto riservato ai giudici di merito.

Tale accertamento risulta operato sulla base dell’esame delle emergenze probatorie acquisite in giudizio e di tutti i fatti storici rilevanti ed è fondato su motivazione adeguata (in quanto non apparente nè insanabilmente contraddittoria sul piano logico), come tale non censurabile in sede di legittimità.

Nella sostanza, dunque, pur risultando formalmente dedotta la violazione di norme di diritto, le censure contenute nel motivo di ricorso in esame si risolvono nella contestazione di un accertamento di fatto svolto dai giudici di merito ed in una richiesta di nuova e diversa valutazione delle prove, il che non è consentito nel giudizio di legittimità.

D’altra parte, non può ritenersi fondata l’affermazione posta alla base delle censure dell’ente ricorrente, secondo cui la corte di appello avrebbe desunto la proprietà pubblica del muro per cui è causa esclusivamente dalla circostanza del suo interesse storico, con ciò commettendo una violazione di legge.

La proprietà pubblica del muro è stata in realtà affermata dai giudici di merito sulla base dell’esame e della valutazione complessiva di tutte le prove acquisite, considerando gli elementi indiziari e presuntivi da queste desumibili, non certo solo in base al suo interesse storico.

2. Con il secondo motivo si denunzia “Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione alle ordinanze di puntellamento del muro emesse dal comune”.

Il motivo è inammissibile.

In primo luogo, il fatto di cui si lamenta l’omesso esame non ha certamente carattere decisivo: la circostanza che fossero state emesse dal comune ordinanze di puntellamento del muro a carico del N. e che questi avesse ottemperato non è prova (tanto meno decisiva) del fatto che ne fosse il proprietario, specie a fronte della valutazione di tutti gli altri elementi istruttori che hanno condotto la corte di appello a concludere diversamente.

D’altra parte, come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito in L. n. 134 del 2012, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831 – 01; Sez. U, Sentenza n. 8054 del 07/04/2014, Rv. 629834 – 01; conf.: Sez. 6 – 3, Sentenza n. 25216 del 27/11/2014, Rv. 633425 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 9253 del 11/04/2017, Rv. 643845 – 01; Sez. 2, Ordinanza n. 27415 del 29/10/2018, Rv. 651028 – 01).

Orbene, certamente – come già osservato – i fatti storici relativi alla proprietà del muro sono stati presi in considerazione e adeguatamente valutati dalla corte di merito, ciò che esclude la riconducibilità al parametro legislativo invocato della censura svolta, che si risolve ancora una volta in una contestazione della valutazione delle prove.

Inoltre il comune ricorrente non precisa chiaramente, nel ricorso, in quale fase ed in quali atti del giudizio di merito il preteso fatto decisivo sarebbe stato allegato, nè viene richiamato specificamente il preciso contenuto dei documenti che lo attestavano e, tanto meno, è indicata la loro esatta allocazione nel fascicolo processuale, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

3. Con il terzo motivo si denunzia “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 2053 e 2043 c.c.”.

Anche questo motivo è inammissibile.

La corte di appello ha accertato in fatto, sulla base di quanto emergente dalla relazione del consulente tecnico di ufficio, che il cedimento del muro era imputabile sia alla sua omessa manutenzione (di cui era responsabile il proprietario, e cioè il comune), sia all’indebito carico di detriti sullo stesso operato da parte dei convenuti N. e T., eventi che hanno concorso a causare il danno.

Anche in questo caso si tratta di un accertamento di fatto operato dai giudici di merito sulla base della considerazione di tutti i fatti storici rilevanti, all’esito dell’esame e della valutazione delle emergenze probatorie acquisite in giudizio, fondato su motivazione adeguata (in quanto non apparente nè insanabilmente contraddittoria sul piano logico), come tale non censurabile in sede di legittimità.

Anche in questo caso, dunque, pur risultando formalmente dedotta la violazione di norme di diritto, le censure esposte nel motivo di ricorso in esame costituiscono in sostanza una contestazione di un accertamento di fatto svolto dai giudici di merito e si risolvono in una richiesta di nuova e diversa valutazione delle prove.

4. Il ricorso è dichiarato inammissibile.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte:

– dichiara inammissibile il ricorso;

– condanna il comune ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti, liquidandole, per ciascuno di essi, in complessivi Euro 4.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonchè spese generali ed accessori di legge.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte dell’ente ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 28 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2019

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