Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18074 del 05/07/2019

Cassazione civile sez. III, 05/07/2019, (ud. 23/05/2019, dep. 05/07/2019), n.18074

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20453-2016 proposto da:

M.R., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

MICHELE IMPERIO;

– ricorrente –

contro

ITALFONDIARIO SPA, BANCA POPOLARE PUGLIA BASILICATA SCPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 73/2016 della CORTE D’APPELLO SEZ.DIST. DI di

TARANTO, depositata il 22/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/05/2019 dal Consigliere Dott. PAOLO PORRECA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO ALBERTO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RILEVATO

che:

M.R. si opponeva nel 2011 a una procedura esecutiva immobiliare coltivata da Italfondiario s.p.a., con creditori intervenuti Banca Popolare di Puglia e Basilicata s.c.p.a. nonchè Monte dei paschi di Siena s.p.a., deducendo che:

– il processo espropriativo era stato intrapreso, nel 1996, da Mediocredito del sud, avvalendosi di mutuo rilasciato con formula esecutiva in favore di altro soggetto, Mediocredito della Puglia, che peraltro si affermava aver rideterminato il non meglio precisato e documentato credito con Delib. assembleare mai prodotta e mai posta a fondamento dell’originario precetto;

– l’esecuzione era stata avviata in danno della debitrice principale mutuataria Ajvam s.p.a., nonchè di alcuni fideiussori tra cui il deducente;

– nel 2007 la procedura era stata proseguita dall’Italfondiario senza titolo, poichè quest’ultima società aveva dichiarato, senza darne prova, di agire in nome e per conto di Castello Finance, s.r.l., che a sua volta era indicata quale soggetto successore nel diritto sotteso alle vie coattive senza che neppure di ciò fosse stata data idonea prova; il tribunale, davanti al quale resisteva costituendosi l’Italfondiario, rigettava la domanda, con pronuncia confermata dalla corte di appello, secondo cui, in particolare:

– la procura speciale rilasciata da Castello Finance a Italfondiario era stata prodotta in copia da quest’ultimo durante il processo esecutivo senza che fosse in quella sede tempestivamente disconosciuta la conformità all’originale, sicchè questa contestazione non poteva essere fatta valere per la prima volta nel giudizio di opposizione, come accaduto;

– Italfondiario, costituito anche quale procuratore speciale della Sestino Securitisation s.r.l., a sua volta cessionaria del credito del Monte dei paschi di Siena s.p.a., aveva prodotto in copia autentica la procura speciale, sostanziale e processuale, rilasciata dallo stesso ai soggetti poi conferenti il mandato difensivo agli avvocati costituiti, e tale produzione non poteva considerarsi tardiva a mente dell’art. 182 c.p.c.;

– la Banca Popolare di Puglia e Basilicata e il Monte dei Paschi di Siena erano intervenute in forza di decreti ingiuntivi definitivi, prodotti in copie parimenti non disconosciute;

– il credito originario di Mediocredito della Puglia, in favore del quale era stata accordata la spedizione in forma esecutiva del titolo con apposizione della formula, era traslato, secondo l’accertamento del giudice di prime cure, in favore della Castello Finance in base ad atti, di fusione societaria e cessione dei crediti ex art. 58 del testo unico bancario, non contestati con specifici motivi di appello;

– l’importo del credito residuo azionato da Mediocredito del Sud era stato validato con accertamento peritale, che si era conformato alla legittima capitalizzazione degli interessi corrispettivi e alla sommatoria di quelli moratori, non capitalizzati, ai primi, consentita dal R.D. 19 luglio 1905, n. 646, art. 38 senza superamenti dei tassi soglia usurai;

avverso questa decisione ricorre per cassazione M.R., formulando cinque motivi;

non hanno svolto difese Italfondiario s.p.a. e l’appellata contumace Banca Popolare di Puglia e Basilicata s.p.a..

Diritto

RILEVATO

che:

con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 77 e 182 c.p.c., poichè la corte di appello avrebbe errato nel ritenere non soggetta a preclusioni la produzione della procura sottesa al mandato difensivo rilasciato in nome e per conto di Italfondiario, posto che nessun organo giudicante aveva fissato termini per la regolarizzazione, neppure richiesti;

con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2719 c.c. e art. 215 c.p.c., comma 1, n. 2, poichè la corte di appello avrebbe errato nel rilevare d’ufficio la pretesa tardività del disconoscimento della procura conferita da Castello Finance a Italfondiario, al contempo affatto tardivo poichè articolato con l’opposizione all’esecuzione non soggetta a termine, mentre il giudice di secondo grado non aveva indicato quale sarebbe stata l’inesistente prima udienza utile del processo esecutivo in cui esso avrebbe previamente dovuto farsi valere;

con il terzo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 113 c.p.c., poichè la corte di appello avrebbe errato nel pronunciare oltre il domandato rilevando officiosamente la ritenuta tardività del disconoscimento nei confronti della fotocopia di un originale da ritenere inesistente e che, al contempo, non risultava in realtà essere mai stata depositata nella procedura esecutiva;

con il quarto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 81,110,111 e 115 c.p.c., poichè la corte di appello avrebbe errato omettendo di rilevare, come avrebbe dovuto anche d’ufficio, che Italfondiario, stante il ricordato disconoscimento di copie contenuto nell’opposizione all’esecuzione, non aveva provato la sua legittimazione ad agire esecutivamente in nome e per conto di Castello Fianance, che, a sua volta, non aveva parimenti provato di essere succeduta nella posizione creditoria di Mediocredito Sud, che, infine, non aveva neppure provato di essere succeduto nella titolarità creditoria di Mediocredito Puglia, in favore del quale era stato spedito in forma esecutiva il titolo stragiudiziale di cui, quindi, non poteva disporre chi aveva proseguito, con insanabile vizio, la procedura coattiva;

con il quinto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 475 c.p.c., poichè la corte di appello avrebbe errato mancando di rilevare che la spedizione in forma esecutiva del titolo può essere accordata solo alla parte in favore della quale è stato pronunciato il provvedimento, il che concretava un’opposizione all’esecuzione poichè si risolveva nella contestazione dell’efficacia esecutiva del titolo in capo al soggetto che aveva intrapreso l’espropriazione, che, come detto, non aveva fornito la prova della successione nella posizione creditizia spesa.

Rilevato che:

il primo motivo di ricorso è inammissibile ex art. 360 bis c.p.c., n. 1;

questa Corte ha chiarito che la sanatoria “ex tunc” dei difetti di rappresentanza, a norma della specifica disposizione contenuta art. 182 c.p.c., non è soggetta alle generali preclusioni processuali, concernenti le facoltà assertive e probatorie inerenti a domande ed eccezioni, fermo restando che il termine per effettuare la suddetta sanatoria dev’essere assegnato dal giudice nel caso di rilievo d’ufficio, mentre, qualora vi sia idonea eccezione della controparte, la documentazione dev’essere prodotta a prescindere da termini, posto l’onere di contraddire innescato in capo al soggetto interessato (Cass., 04/10/2018, n. 24212; cfr. inoltre, sull’assenza di preclusioni sul punto, Cass., 30/11/2016, n. 24485; Cass., 24/10/2013, n. 24068);

in questa cornice, resta salvo solo il limite del giudicato interno (Cass., 28/02/2019, n. 5925), che qui pacificamente non è venuto in rilievo;

nella fattispecie la corte territoriale ha infatti indicato (a pag. 3) che la copia autentica della procura sottesa al mandato difensivo è stata prodotta nel corso del processo, sicchè la censura dev’essere disattesa;

il secondo e terzo motivo, da trattare congiuntamente per connessione, sono in parte inammissibili, in parte infondati;

è stato chiarito che l’art. 2719 c.c., che esige l’espresso disconoscimento della conformità all’originale delle copie fotografiche o fotostatiche, è applicabile tanto alla ipotesi di disconoscimento della conformità della copia al suo originale, quanto a quella di disconoscimento della autenticità di scrittura o di sottoscrizione, e, nel silenzio normativo sui modi e termini in cui deve procedersi, entrambe le ipotesi sono disciplinate dagli artt. 214 e 215 c.c., con la conseguenza che la copia non autenticata si ha per riconosciuta, tanto nella sua conformità all’originale quanto nella scrittura e sottoscrizione, se non venga disconosciuta in modo formale e inequivoco alla prima udienza, o nella prima risposta successiva alla sua produzione (Cass., 06/02/2019, n. 3540);

pertanto, nel momento in cui manchi il tempestivo disconoscimento, la copia fotostatica acquista l’efficacia probatoria dell’originale (Cass., 20/02/2018, n. 4053), di cui il giudice deve quindi prendere atto senza che venga in rilievo alcun limite ai propri poteri officiosi;

i precedenti invocati in opposta chiave nel ricorso, riguardavano la diversa fattispecie in cui la parte, che aveva prodotto la scrittura oggetto di tardivo disconoscimento, aveva chiesto la verificazione della stessa, libera scelta ritenuta implicita rinuncia all’efficacia conseguente alla tardività del disconoscimento che, in questo senso, si è rimarcato rientrare nella disponibilità della parte medesima (Cass., 09/05/2011, n. 10147; Cass., 24/06/2003, n. 9994; il precedente di Cass., n. 9159 del 2002, pure citato in ricorso, risulta estraneo allo specifico tema, atteso che concerneva un’ipotesi di confermata tardività del disconoscimento);

ciò posto, le censure investono comunque, da questa prima prospettiva di scrutinio, la questione della sussistenza o meno di tale tardività del disconoscimento;

infatti questa Corte ha sottolineato che gli effetti del mancato disconoscimento operano nel giudizio in cui esso viene a realizzarsi, salvo giudicato esplicito sul punto (Cass., 18/04/2016, n. 7634; Cass., 04/07/2018, n. 17469), fermo che la parte rimasta contumace in primo grado può operare il disconoscimento anche in sede di appello, stante il disposto dell’art. 293 c.p.c., comma 3, (Cass., 22/06/2005, n. 13384; Cass., 09/05/1977, n. 1772);

si potrebbe perciò ipotizzare una tempestività del disconoscimento articolato con l’opposizione all’esecuzione in esame;

ciò nondimeno la conferma di tale ipotesi ricostruttiva dev’escludersi poichè:

– tra l’opposizione esecutiva e il processo di esecuzione sussiste una connessione qualificata (confermata e rafforzata dalla necessaria bifasicità delle opposizioni: Cass., 11/10/2018, n. 25170; Cass., 12/11/2018, n. 28848);

– il processo esecutivo non costituisce, pertanto, nè un diverso giudizio nè, a maggior ragione, un grado di giudizio pregresso;

ne deriva che il disconoscimento delle copie fotostatiche della procura sottesa al mandato difensivo e dei documenti prodotti a sostegno della successione nel credito azionato, prodotte nel processo esecutivo, dev’essere effettuato nella prima udienza o difesa utile di esso se già risulti in essere una rappresentanza difensiva, ovvero costituendosi in sede di opposizione esecutiva;

sul punto, parte ricorrente, pur dando atto della svolta bifasicità dell’opposizione, non ha chiarito nè riportato se, quando e come il disconoscimento in parola sia avvenuto davanti al giudice dell’esecuzione o piuttosto quale motivo dell’opposizione proseguita nel pieno merito, così come non viene chiarita e riportata quale sia stata l’esatta sequenza procedimentale esecutiva al riguardo, sicchè le censure, sotto questo profilo, sono inammissibili per violazione dell’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 6, (cfr., inoltre, per la necessità di un disconoscimento specifico che indichi anche in quali aspetti si assume la diversità all’originale, Cass., 30/10/2018, n. 27633, e Cass., 12/12/2017, n. 29993);

fermo quanto sopra osservato, sussiste un’ulteriore ragione d’infondatezza delle censure;

infatti, secondo lo stabile indirizzo di questa Corte, una volta prodotto in giudizio un documento in copia fotografica o fotostatica, qualora la parte contro cui è avvenuta la produzione disconosca espressamente e in modo formale la conformità della copia all’originale, il giudice non resta vincolato alla suddetta contestazione della conformità, potendo ricorrere ad altri elementi di prova, anche presuntivi, per accertare la rispondenza in questione ai fini dell’idoneità come mezzo di prova ex art. 2719 c.c. (proprio perciò imponendosi un disconoscimento specifico, come sopra indicato: Cass., 11/10/2017, n. 23902), non versandosi nel differente caso del disconoscimento del contenuto o della sottoscrizione della scrittura (che impone, in caso di tempestivo disconoscimento, il procedimento di verificazione per avvalersi in giudizio del documento; cfr., Cass., 20/08/2015, n. 16998; Cass., 08/06/2018, n. 14950);

nella fattispecie la corte di appello, sia pure sinteticamente, ha osservato (a pag. 6) che la contestazione di conformità era avvenuta, da parte dell’opponente esecutato, dopo molti anni dalla produzione delle copie nel processo esecutivo: tale condotta, accertata in fatto dal giudice di merito, deve ritenersi idonea a giustificare la conclusione presuntiva avversata;

con queste integrazioni e precisazioni motivazionali, la statuizione della corte di appello risulta corretta;

va precisato che l’inciso del ricorso per cui neppure la fotocopia sarebbe stata prodotta, per un verso costituisce questione nuova, per l’altro avrebbe integrato, in ipotesi, errore percettivo e quindi revocatorio del giudice di merito, in questa sede comunque non deducibile;

il quarto e il quinto motivo, da trattare congiuntamente per connessione, sono in parte inammissibili, in parte infondati;

non è stata impugnata specificatamente la “ratio decidendi” fatta propria dalla corte territoriale,che ha rilevato (a pag. 9) come il ricorrente non avesse censurato con specifici motivi di appello la sussistenza ed efficacia dei negozi di fusione societaria e cessione dei crediti accertata dal tribunale;

posto quanto appena constatato, è evidente che la spedizione in forma esecutiva in favore dell’originario titolare del credito, poi oggetto degli atti successori e traslativi in parola, non implica alcuna illegittimità nè risulta sintomo di alcuna assenza di titolo esecutivo;

peraltro le ipotizzate illegittimità afferenti al rilascio della formula esecutiva costituiscono motivo di opposizione agli atti esecutivi e non all’esecuzione, e dunque, in mancanza di espresse e riportate qualificazioni da parte del giudice di primo grado che avessero potuto legittimare l’operatività del principio di apparenza, la deduzione avrebbe dovuto essere coltivata nel termine ex art. 617 c.p.c., e poi reagendo alla pronuncia negativa del tribunale con ricorso per cassazione e non con l’appello, che avrebbe dovuto essere dichiarato, in tesi, improponibile;

nell’ultima pagina del ricorso il deducente si duole genericamente dell’eccesso delle spese processuali liquidate a suo carico, ma la deduzione è talmente generica da non permettere neppure la sua ricostruzione in termini di distinguibile e specifico motivo di ricorso;

non deve disporsi sulle spese stante il mancato svolgimento di difese da parte degli intimati.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2019

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