Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18073 del 21/07/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 21/07/2017, (ud. 03/05/2017, dep.21/07/2017),  n. 18073

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 26807/2010 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, Via dei

Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– ricorrente –

contro

B.G.P.;

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Lombardia, n. 144/28/09 depositata il 1 ottobre 2009.

Udita la relazione svolta nella cameRa di consiglio del 3 maggio 2017

dal Consigliere Dott. Emilio Iannello.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che l’Agenzia delle Entrate ricorre con unico mezzo nei confronti di B.G.P. (che non svolge difese nella presente sede) per la cassazione della sentenza in epigrafe, con la quale la C.T.R. della Lombardia – in controversia concernente impugnazione dell’avviso di accertamento per Irpef in relazione alla plusvalenza realizzata con la cessione della propria azienda, plusvalenza calcolata prendendo in considerazione il valore accertato ai fini dell’imposta di registro, siccome accettato dalla parte acquirente – ha accolto l’appello del contribuente, ritenendo che il valore accertato ai fini dell’imposta di registro non potesse costituire presunzione grave, precisa e concordante per la determinazione della plusvalenza tassabile ai fini Irpef;

considerato che con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, artt. 51 e 52 e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo, anche attraverso il richiamo a precedenti di questa Corte, che, diversamente da quanto ritenuto dai giudici d’appello, ben può la plusvalenza relativa alla cessione d’azienda essere quantificata facendo riferimento al valore definito, per effetto di acquiescenza all’avviso di liquidazione, per l’imposta di registro, potendosi presumere una corrispondenza tra il prezzo percepito dal contribuente per detta cessione e il relativo valore di mercato;

ritenuto che la censura non può essere accolta;

che indipendentemente dagli argomenti al riguardo spesi nella sentenza impugnata, l’illegittimità del criterio utilizzato dall’Ufficio, ai fini che occupano, discende dallo ius superveniens rappresentato dal D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147, il quale all’art. 5, comma 3, prevede che “gli artt. 58, 68, 85 e 86 del Testo Unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, artt. 5,5-bis, 6 e 7, si interpretano nel senso che per le cessioni di immobili e di aziende nonchè per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, ovvero delle imposte ipotecaria e catastale di cui al D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 347”;

che, come questa Corte ha avuto modo di chiarire, con orientamento consolidato, la norma è da ritenersi applicabile anche ai giudizi in corso atteso l’intento interpretativo chiaramente espresso dal legislatore e considerato che, come affermato tra le altre da Corte Cost. n. 246 del 1992, il carattere retroattivo costituisce elemento connaturale alle leggi interpretative;

che, peraltro, anche ove volesse porsi in dubbio che la norma in esame sia effettivamente interpretativa, è certo che se il riferimento alla interpretazione da attribuire a norme precedenti non serve per ciò solo ad attribuire ad una norma carattere interpretativo (ove tale carattere essa non abbia effettivamente), tuttavia testimonia l’intento del legislatore di attribuire ad essa il carattere retroattivo che è proprio della norma interpretativa, intento che nella specie trova ulteriore conferma del citato art. 5, nel comma 4, laddove si prevede che le disposizioni di cui al comma 1 si applicano a decorrere dal periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, ma nulla si prevede per i commi 2 e 3 (disposizioni formulate come norme interpretative): circostanza, questa, che contribuisce a togliere ogni dubbio circa l’intento del legislatore di attribuire carattere retroattivo alle previsioni dei suddetti commi (così, in motivazione, Cass., 15/04/2016, n. 7488; v. anche Cass. 10/02/2017, n. 3590);

che il ricorso va pertanto rigettato;

che non avendo l’intimato svolto difese nella presente sede, non v’è luogo a provvedere sul regolamento delle spese.

PQM

 

rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 3 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2017

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