Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18073 del 05/07/2019

Cassazione civile sez. III, 05/07/2019, (ud. 17/05/2019, dep. 05/07/2019), n.18073

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 14583 del ruolo generale dell’anno

2016, proposto da:

S.M.R., (C.F.: (OMISSIS)) rappresentata e difesa,

giusta procura in calce al ricorso, dall’avvocato Carlo Alvano

(C.F.: LVN CRL 46D14 F839Q);

– ricorrente –

nei confronti di:

M.S., (C.F.: (OMISSIS));

– intimato –

per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Napoli n.

1497/2016, depositata in data 14 aprile 2016;

udita la relazione sulla causa svolta alla camera di consiglio del 17

maggio 2019 dal consigliere Dott. Augusto Tatangelo.

Fatto

FATTI DI CAUSA

S.M.R. ha promosso processo di espropriazione forzata nei confronti di M.S.; quest’ultimo ha proposto opposizione all’esecuzione e agli atti esecutivi ai sensi dell’art. 615 c.p.c..

L’opposizione è stata accolta dal Tribunale di Napoli.

La Corte di Appello di Napoli ha confermato la decisione di primo grado.

Ricorre la S., sulla base di tre motivi.

Non ha svolto attività difensiva in questa sede l’intimato.

Il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis.1 c.p.c..

Il collegio ha disposto che sia redatta motivazione in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è inammissibile.

Esso non contiene, infatti, una adeguata esposizione dei fatti di causa, idonea a soddisfare la prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3.

In particolare, non sono adeguatamente chiariti, nel ricorso: le ragioni di fatto e di diritto poste a base dell’originaria opposizione; le difese svolte dalla ricorrente nel giudizio di merito in relazione a ciascuno dei motivi di opposizione; l’esatto contenuto della sentenza di primo grado in relazione a ciascun motivo di opposizione ed alle relative difese; l’esatto contenuto del gravame proposto avverso la sentenza di primo grado.

Neanche è possibile comprendere, tra l’altro: se era stata proposta una opposizione agli atti esecutivi in relazione alla mancata notificazione del(l’effettivo) titolo esecutivo in possesso della creditrice (che sembrerebbe doversi individuare nella sentenza n. 5507/2002 del Tribunale di Napoli) e dell’atto di precetto fondato su detto titolo o se altri erano i motivi di opposizione in relazione al titolo posto in esecuzione; se in ordine ad una siffatta opposizione vi era stata una decisione in primo grado e con quale contenuto; in quali termini era stata proposta l’eccezione di avvenuta estinzione del credito per pagamento e quale era stata la decisione del tribunale sul punto.

Le lacune espositive del ricorso, nella sostanza, impediscono in radice anche di valutare la coerenza delle censure (che risultano peraltro del tutto confuse e generiche) con le ragioni poste a base della decisione impugnata.

D’altronde – lo si osserva per completezza espositiva – i singoli motivi di ricorso, per quanto è dato comprendere in base agli atti, non sembrano avere alcun fondamento.

Con il primo motivo si denunzia infatti “violazione e falsa applicazione di norme di diritto: artt. 1176,1195,1199 e 1227 c.c., art. 99 c.p.c. e art. 115 c.p.c., comma 1, art. 24 Cost. in relazione all’art. 360, n. 3”, ma il senso delle censure risulta – anche in diritto – del tutto incomprensibile e parrebbe nella sostanza risolversi nella contestazione di un accertamento di fatto operato dai giudici di merito e fondato su motivazione adeguata (in quanto non apparente nè insanabilmente contraddittoria sul piano logico), in merito all’avvenuto pagamento del credito posto in esecuzione, contestazione non consentita in sede di legittimità.

Con il secondo motivo si denunzia “nullità della sentenza o del procedimento ex artt. 157 e 159 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4. Violazione e falsa applicazione degli artt. 156 e 615 c.p.c., comma 2, art. 617, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”: si tratta di censure (riguardanti il titolo esecutivo posto a base dell’esecuzione), anch’esse non intelligibili nè in fatto nè in diritto, che (per quanto è possibile intuire) resterebbero comunque assorbite in conseguenza del mancato accoglimento del primo motivo, dal momento che la sentenza impugnata è fondata su una doppia autonoma ratio decidendi (relativa cioè sia al difetto efficacia esecutiva del titolo posto a base dell’esecuzione che all’avvenuta estinzione del credito fatto valere, per pagamento, di modo che esclusa la fondatezza del ricorso in relazione a tele ultima questione, risultano irrilevanti quelle attinenti alla prima); d’altronde anche queste censure si risolvono, almeno in massima parte, nella contestazione di accertamenti di fatto operati dai giudici del merito in relazione al contenuto dell’atto di precetto, senza peraltro che sia neanche richiamato lo specifico contenuto di detto atto.

Con il terzo motivo, infine, si denunzia “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 92 e 96 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, ma ancora una volta si tratta di censure non comprensibili (la ricorrente fa riferimento ad una condanna per responsabilità aggravata: non è chiaro però se tale condanna fosse contenuta nella sentenza di primo grado o se vi fosse stata una richiesta disattesa in tal senso, nè è chiara la specifica doglianza che si intende formulare in proposito); d’altra parte, la contestazione dell’importo liquidato a titolo di spese di lite dalla corte di appello risulta generica e in ogni caso non risultano superati i massimi tabellari, anche tenendo conto del valore della causa indicato dalla stessa ricorrente.

2. Il ricorso è dichiarato inammissibile.

Nulla è a dirsi in ordine alle spese del giudizio, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte:

– dichiara inammissibile il ricorso;

– nulla per le spese.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 17 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2019

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