Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18072 del 21/07/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 21/07/2017, (ud. 03/05/2017, dep.21/07/2017),  n. 18072

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 19856/2010 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, Via dei

Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– ricorrente –

contro

C.A.;

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio,

sezione staccata di Latina, n. 261/40/09 depositata il 10 giugno

2009.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 3 maggio 2017

dal Consigliere Dott. Emilio Iannello.

Lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso, che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che l’Agenzia delle Entrate ricorre, con tre mezzi, corredati da quesiti ex art. 366-bis c.p.c., nei confronti di C.A. (che non svolge difese nella presente sede) avverso la sentenza in epigrafe con la quale la Commissione tributaria regionale del Lazio, sezione staccata di Latina, ha accolto l’appello del contribuente, esercente attività di “servizi di salone di barbiere”, ritenendo illegittimo l’avviso di accertamento con il quale l’Ufficio aveva rettificato il reddito imponibile a fini Irpef, Iva e Irap per l’anno d’imposta 2000, in quanto unicamente basato sugli studi di settore di cui al D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62-bis, convertito dalla L. 29 ottobre 1993, n. 427;

che, con i primi due motivi di ricorso, l’Agenzia denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d) e D.L. n. 331 del 1993, art. 62-sexies, nonchè degli artt. 2697 e 2728 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere i giudici a quibus negato che – in fattispecie nella quale il contribuente era stato previamente convocato presso l’Ufficio ai fini dell’instaurazione del contraddittorio, ma aveva omesso di rendere le pur preannunciate giustificazioni in ordine al rilevato scostamento tra i ricavi dichiarati e quelli risultanti dall’applicazione dello studio di settore – quest’ultimo potesse da sè solo essere sufficiente a giustificare la presunzione di maggior reddito e per avere, conseguentemente, ritenuto che, anche in tale ipotesi, incombesse all’Ufficio l’onere di fornire ulteriori prove del maggior imponibile accertato;

che con il terzo motivo la ricorrente denuncia altresì insufficiente motivazione, in ordine a fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la C.T.R. deciso in maniera apodittica e immotivata, senza tenere in considerazione per un verso che lo studio di settore applicato recava in sè la valutazione delle circostanze allegate e non provate dal contribuente e, per altro verso, senza considerare che quest’ultimo, con il suo contegno non collaborativo in sede di contraddittorio, aveva legittimato l’impiego dei soli studi di settore a sostegno della motivazione dell’avviso di accertamento e per avere altresì omesso ogni valutazione su specifici elementi indicati dall’Ufficio, volti a sconfessare le giustificazioni addotte (quale, in particolare, l’avviamento consolidato dell’attività svolta dal contribuente);

ritenuto che i primi due motivi di ricorso, congiuntamente esaminabili per la loro intima connessione, sono fondati;

che, invero, secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standards o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standards al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte. In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli standards, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito (Cass. Sez. U. 18/12/2009, n. 26635);

che nel caso di specie la Commissione regionale si è evidentemente discostata da tale principio, avendo deciso sulla base della aprioristica negazione della idoneità della applicazione degli studi di settore a giustificare, da sola, l’avviso di accertamento, erroneamente postulando la necessità, in ogni caso, di “ulteriori e maggiormente circostanziati elementi di riscontro” e negando di contro che lo scostamento tra i ricavi dichiarati e quelli risultanti dall’applicazione degli studi medesimi – salvo il caso che questo sia “abnorme e irragionevole” – possa giustificare un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente;

che il ricorso merita pertanto accoglimento, restando assorbito l’esame del terzo motivo;

che la sentenza deve conseguentemente essere cassata, con rinvio al giudice a quo, anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

 

accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso; dichiara assorbito il terzo; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti; rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 3 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2017

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