Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18072 del 05/07/2019

Cassazione civile sez. III, 05/07/2019, (ud. 17/05/2019, dep. 05/07/2019), n.18072

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20503-2016 proposto da:

F.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

MAZZINI 8 SC.G INT 6, presso lo studio dell’avvocato ANGELA GRAZIA

RUGGIERO, rappresentato e difeso dall’avvocato UGO VETERE;

– ricorrente –

contro

BANCA DI CREDITO COOPERATIVO ALTO TIRRENO CALABRIA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 931/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 03/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/05/2019 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. In data non precisata nel ricorso, F.G. convenne dinanzi al Tribunale di Paola, sezione di Scalea, la Banca di Credito Cooperativo dell’Alto Tirreno della Calabria (d’ora innanzi, “la Banca”), esponendo che:

-) la Banca, sua creditrice, aveva avviato l’esecuzione per espropriazione immobiliare su vari immobili di proprietà dell’attore;

-) nelle more di tale procedura, egli aveva raggiunto un accordo transattivo con la Banca, in virtù della quale quest’ultima si era obbligata a rinunciare agli atti del processo esecutivo;

-) sebbene la rinuncia sarebbe dovuta avvenire alla fine del 1999, la Banca depositò il proprio atto di rinuncia soltanto a settembre del 2001;

-) in questo arco di tempo nella procedura esecutiva iniziata dalla Banca intervennero altri due creditori, circostanza la quale impedì al giudice dell’esecuzione di dichiarare l’estinzione della procedura esecutiva per avvenuta rinuncia;

-) l’inadempimento della Banca al proprio obbligo di depositare tempestivamente la rinuncia agli atti della procedura esecutiva aveva perciò causato all’attore sia un danno patrimoniale, consistente “nell’avvenuta vendita all’asta e conseguente assegnazione ai nuovi proprietari di quasi tutti i beni immobili sottoposti a pignoramento”; sia un danno non patrimoniale, rappresentato “dall’ansia scaturente dalla continua paura di perdere i beni immobili di appartenenza”.

Concluse pertanto chiedendo la condanna della società convenuta al risarcimento dei danni sopra descritti.

2. La Banca si costituì e negò qualsiasi propria responsabilità.

Con sentenza 22 aprile 2010 il Tribunale di Paola accolse la domanda e condannò la banca al risarcimento in favore dell’attore del danno, quantificato in Euro 45.000 oltre accessori.

3. La Corte d’appello di Catanzaro, adita dalla società soccombente, con sentenza 2 luglio 2015 n. 931 accolse il gravame e rigettò la domanda.

La Corte d’appello, pur ritenendo sussistente l’inadempimento da parte della Banca convenuta alle proprie obbligazioni, ritenne la domanda attorea infondata per due ragioni:

-) da un lato perchè non vi era nesso di causa tra l’inadempimento della Banca ed i danni lamentati dall’attore; questi ultimi erano infatti conseguenza “dell’autonoma e lecita iniziativa esecutiva assunta” dagli altri creditori intervenuti nella procedura, circostanza da sola sufficiente a produrre la vendita all’incanto dei beni pignorati;

-) con autonoma ratio decidendi la Corte d’appello ha aggiunto che “deve negarsi che la vendita all’incanto possa dare luogo ad un danno ingiusto, trattandosi di atti leciti posti in essere in base ai titoli esecutivi” vantati dai creditori intervenuti.

4. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da F.G. con ricorso fondato su un solo motivo.

La Banca non si è difesa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il motivo unico di ricorso.

1.1. Con l’unico motivo il ricorrente, senza formalmente inquadrare la propria censura in alcuno dei vizi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, lamenta la violazione dell’art. 1223 c.c..

Sostiene che, se la banca avesse adempiuto il proprio obbligo contrattualmente assunto di rinunciare agli atti della procedura esecutiva, quest’ultima sarebbe stata dichiarata estinta, e di conseguenza gli altri creditori intervenuti non avrebbero potuto proseguire un procedimento estinto.

Conclude sostenendo che la Corte d’appello, pertanto, ha erroneamente escluso il nesso causale tra l’operato della Banca e il danno.

1.2. Il motivo è in primo luogo inammissibile, perchè investe solo una delle due rationes decidendi poste dalla Corte d’appello a fondamento della propria decisione. Il ricorrente infatti censura l’affermazione di insussistenza del nesso causale, ma trascura l’altra, ovvero l’insussistenza dell’ingiustizia del danno.

In secondo luogo, il motivo è inammissibile, perchè stabilire se sussista o no un nesso di causa tra una condotta t un danno è un accertamento di fatto, non una valutazione in diritto, e come tale è incensurabile in questa sede (Sez. 3, Sentenza n. 4439 del 25/02/2014, Rv. 630127 – 01).

In terzo luogo, quel che più rileva, è dirimente il rilievo che correttamente la Corte d’appello ha ravvisato nel caso di specie la mancanza del requisito dell’ingiustizia del lamentato danno, ai sensi dell’art. 2043 c.c..

Il ricorrente, infatti, si duole del fatto di essere stato espropriato di beni a garanzia di obbligazioni da lui effettivamente contratte, e che non aveva adempiuto.

Tuttavia essere costretti ad adempiere forzatamente obbligazioni che si aveva effettivamente l’obbligo di adempiere non è un “danno” in senso giuridico, perchè di esso manca il carattere primo: ovvero che sia arrecato contra ius oppure non iure.

2. Le spese.

2.1. Non è luogo a provvedere sulle spese, a causa della indefensio della Banca.

2.2. L’inammissibilità del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

P.Q.M.

la Corte di cassazione:

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di F.G. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 17 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2019

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