Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18071 del 04/08/2010

Cassazione civile sez. trib., 04/08/2010, (ud. 04/06/2010, dep. 04/08/2010), n.18071

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – rel. Consigliere –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

R.G.P.C., elettivamente domiciliato in ROMA VIA

SALARIA 227 presso lo studio dell’avvocato JASONNA STEFANIA,

rappresentato e difeso dall’avvocato ROMANO GIOVANNI, giusta delega

in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 32/2005 della COMM. TRIB. REG. di TORINO,

depositata il 24/10/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/06/2010 dal Consigliere Dott. CARLO PARMEGGIANI;

udito per il ricorrente l’Avvocato JASONNA STEFANIA per delega Avv.

ROMANO GIOVANNI, che ha chiesto l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’accoglimento del 1^ e 2^

motivo, il rigetto del 2^ motivo.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Agenzia delle Entrate di Torino notificava a R.G.P. C., esercente attività professionale di consulenza, avviso di accertamento con il quale in forza dei parametri contabili di cui al D.P.C.M. 29 gennaio 1996, art. 3, commi 181 e segg, e D.P.C.M. 27 marzo 1997, rettificava in aumento i compensi da costui percepiti nell’anno 1996, determinando le conseguenti imposte a fini IRPEF, IVA, S.S.N. e le relative sanzioni.

Il contribuente impugnava l’avviso innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Torino, sostenendone la infondatezza.

La Commissione accoglieva il ricorso, ritenendo provata la natura saltuaria della attività professionale del contribuente, le cui parcelle erano conformi agli studi di settore.

Appellava la Agenzia delle Entrate, e la Commissione Tributaria Regionale del Piemonte accoglieva il gravame, dichiarando legittimo l’operato dell’Ufficio.

Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione il contribuente con tre motivi.

La Agenzia resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente deduce vizio di omessa ed insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto la Commissione Regionale in primo luogo aveva valutato quale elemento probatorio a carico del contribuente l’esito negativo del contraddittorio con l’Ufficio nella fase preliminare alla emissione dell’avviso, elemento non idoneo in tal senso; in secondo luogo, non aveva motivato la asserzione secondo cui le prove dedotte dal contribuente erano irrilevanti: inoltre aveva considerato la qualità di pensionato in capo al medesimo quale elemento idoneo a giustificare lo svolgimento a tempo pieno della attività professionale, sulla base di una mera congettura; infine, non aveva motivato in ordine alla sussistenza a favore dell’Ufficio di presunzioni gravi, precise e concordanti per la applicazione del metodo parametrico, valutazione necessaria nel caso di specie. In via subordinata sostiene che l’assunto secondo cui il ricorrente quale pensionato aveva tempo da dedicare all’esercizio della professione, non era sostenuto da sufficiente motivazione ed era rimasto al livello di mera ipotesi.

Con il secondo motivo deduce violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 sostenendo un vizio procedurale nella formazione dei D.P.C.M. del 1996 e del 1997, in quanto, avendo questi in via sostanziale natura di un regolamento di esecuzione di un provvedimento legislativo (L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 181) erano stati emanati senza il preventivo parere del Consiglio di Stato; pertanto, ad avviso del ricorrente, erano illegittimi e dovevano essere disapplicati.

Formula conseguente quesito di diritto.

Con un terzo motivo, svolto in via subordinata, deduce violazione di legge in quanto la Commissione aveva ritenuto che la applicazione dei parametri costituisse di per sè presunzione idonea a giustificare l’accertamento D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, laddove occorrevano ulteriori indizi, anche al fine di disconoscere una contabilità correttamente tenuta.

Fa presente di avere prodotto documentazione comprovante che in applicazione degli studi di settore, applicabili anche se entrati in vigore successivamente all’avviso di accertamento, il proprio reddito doveva ritenersi inferiore a quello stabilito in base ai parametri, e ciò era sufficiente a superare una eventuale presunzione a favore dell’Ufficio.

Formula conseguenti quesiti di diritto.

La Agenzia nel controricorso sostiene la infondatezza delle argomentazioni del contribuente.

Occorre prendere in considerazione in primo luogo il secondo motivo di ricorso, in quanto diretto a dimostrare la illegittimità dei decreti istitutivi dei parametri della cui applicazione si discute in causa.

Il motivo è inammissibile.

Poichè la sentenza non prende in alcun modo in considerazione la eccezione, il motivo manca in primo luogo di autosufficienza in quanto, risolvendosi in una richiesta di disapplicazione di un atto amministrativo, doveva essere oggetto di tempestiva domanda in primo grado, ed il punto doveva essere reiterato in appello, atti che non risultano nè allegati nè provati. In caso affermativo, comunque, la omissione doveva essere censurata per vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c..

Il primo motivo è infondato.

Giova procedere preliminarmente a puntualizzare i principi che regolano la applicabilità e le conseguenze del metodo parametrico di accertamento del reddito, quale premessa in ordine all’assunto del contribuente sull’onere della prova, valida anche in relazione alla prima parte del terzo motivo.

Secondo un orientamento consolidato nel passato, (v. Cass n. 26458 del 2008, n. 3288 del 2009) l’Ufficio che procedeva ad accertamento della imposta con metodo induttivo, avvalendosi dei parametri previsti dalla L. n. 549 del 1995, art. 3, commi 181 e segg., non doveva apportare alcun elemento ulteriore all’accertamento, in quanto gli elementi considerati nella elaborazione dei parametri stessi e l’applicazione di questi ai dati esposti dal singolo contribuente avevano già i caratteri della presunzione legale, quali richiesti dall’art. 2728 c.c., comma 1, ed erano di per sè idonei a fondare un corrispondente accertamento, restando comunque consentito al contribuente di provare anche con presunzioni, la cui valutazione era rimessa al prudente apprezzamento del giudice, la inapplicabilità dei parametri alla sua posizione reddituale.

Recentemente, la Corte a Sezioni Unite (Cass. n. 26635 del 2009) ha attenuato ma non escluso tale interpretazione del sistema, richiedendo a pena di nullità dell’accertamento il previo contraddittorio con il contribuente e la valutazione degli elementi forniti in tale sede da medesimo, con obbligo da parte della Amministrazione, di motivazione dell’eventuale dissenso.

I parametri, in tale ottica, mantengono il loro valore presuntivo, con carattere di presunzione semplice, che deve essere valutata dal giudice in sede contenziosa in concorso con gli altri elementi di prova acquisiti in atti, secondo una valutazione critica non censurabile in sede di legittimità ove logicamente corretta.

Poichè è incontroverso che tale contraddittorio vi è stato, l’accertamento secondo i parametri ha determinato la inversione della prova a carico del contribuente, che può ottemperare all’onere anche mediante presunzioni, purchè ovviamente dotate di concreto significato in relazione all’assunto di parte.

Tanto premesso, deve rilevarsi che la Commissione Regionale ha fatto buon governo dei predetti principi e che i vizi di motivazione contestati non sussistono.

In primo luogo, pur avendo dato atto del negativo esito del contraddittorio preventivo con l’Ufficio, la Commissione non ha attribuito alla circostanza alcun valore probatorio a carico del contribuente.

Ha invece dato atto che nella fase contenziosa questi non aveva fornito alcun argomento valido a contrastare la presunzione a favore dell’Ufficio.

In particolare ha osservato che un elemento a cui il contribuente attribuiva tale significato, ovvero il fatto di essere pensionato, non aveva rilievo, nè in sè in quanto non era ostativo all’esercizio della libera professione, nè quale indice di svolgimento solo saltuario di tale attività atteso che la condizione di pensionato consentiva di avere tutto il tempo disponibile.

Tale elementi sono stati considerati dal giudice di appello non in senso positivo, come prove a carico del contribuente, come pretende il ricorrente, ma in senso negativo, come elementi non idonei a vincere la presunzione contraria dell’Ufficio.

La motivazione è quindi corretta, immune da vizi logici e pertanto non è censurabile in questa sede di legittimità.

Quanto al terzo subordinato motivo, per la prima parte valgono le considerazioni contrarie all’assunto della parte privata esposte in premessa al primo mezzo di impugnazione; per la seconda, relativa alla applicabilità quale presunzione a favore del contribuente degli studi di settore, posteriormente entrati in vigore ove più favorevoli al predetto, deve rilevarsi da un lato la specifica asserzione del Giudice di appello di correttezza dell’uso dei parametri, non contestata sul punto; dall’altro che si tratta di questione non di diritto ma di fatto (cui si attribuisce infatti valore presuntivo) per cui doveva essere oggetto nel caso di censura per vizio di motivazione, in relazione al quale peraltro il motivo è privo di autosufficienza in quanto generico.

Anche il terzo motivo deve quindi essere respinto.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese a favore della Amministrazione, che liquida in complessivi Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 4 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2010

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