Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18068 del 02/09/2011

Cassazione civile sez. III, 02/09/2011, (ud. 22/06/2011, dep. 02/09/2011), n.18068

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

RAI RADIOTELEVISIONE ITALIANA SPA (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore, il Vicedirettore degli Affari

Legali, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTEZEBIO 32 INT. 2,

presso lo studio dell’avvocato TAMBURRO LUCIANO, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato BARRA CARACCIOLO FRANCESCO giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

L.V.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2898/2009 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI del

5/05/09, depositata il 19/05/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/06/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO IANNIELLO;

è presente il P.G. in persona del Dott. CARLO DESTRO.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

La causa è stata chiamata alla odierna adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:

“Con ricorso notificato in data 19 maggio 2010, la s.p.a. RAI chiede, con tre motivi, la cassazione della sentenza pubblicata il 19 maggio 2009, con la quale la Corte d’appello di Napoli ha confermato la decisione di primo grado di accoglimento della domanda di V. L. diretta all’accertamento della nullità del termine apposto al primo (dal 15 dicembre 1995) di sette contratti di lavoro con mansioni di truccatrice parrucchiera, stipulati con la società tra il 1995 e il 2000, i primi tre ai sensi della L. n. 230 del 1962, art. 1, comma 2, lett. e) e gli altri col richiamo ad ipotesi previste dal C.C.N.L. applicato, ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23, con le pronunce conseguenti.

I primi due motivi, per violazione degli artt. 1362, 1366, 1372 e 2729 c.c., nonchè per vizio di motivazione, investono la decisione di rigetto dell’eccezione formulata dalla RAI di scioglimento del contratto per mutuo consenso; il terzo denuncia la violazione della L. n. 230 del 1962, art. 1, comma 2, lett. e) anche in relazione all’art. 12 preleggi, comma 1.

L’intimata non si è costituita in questo giudizio di cassazione.

Il procedimento, in quanto promosso con ricorso avverso una sentenza depositata successivamente alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 e antecedentemente alla data di entrata in vigore della L. 18 giugno 2009, n. 69, è regolato dagli artt. 360 e segg. c.p.c. con le modifiche e integrazioni apportate dal D.Lgs. citato.

Il ricorso è manifestamente infondato e va pertanto trattato in camera di consiglio per essere respinto.

Va infatti ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, è suscettibile di essere sussunto nella fattispecie legale di cui all’art. 1372 cod. civ., comma 1, il comportamento delle parti che determini la cessazione della funzionalità di fatto del rapporto lavorativo a termine in base a modalità tali da evidenziare il loro disinteresse alla sua attuazione, trovando siffatta operazione ermeneutica supporto nella crescente valorizzazione, che attualmente si registra nel quadro della teoria e della disciplina dei contratti, del piano oggettivo del contratto, a discapito del ruolo e della rilevanza della volontà psicologica dei contraenti, con conseguente attribuzione del valore di dichiarazioni negoziali a comportamenti sociali valutati in modo tipico; e ciò con particolare riferimento alla materia lavoristica ove operano, nell’anzidetta prospettiva, principi di settore che non consentono di considerare esistente un rapporto di lavoro senza esecuzione (cfr., ad es., Cass. 6 luglio 2007 n. 15264, 7 maggio 2009 n. 10526).

In proposito, l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di voler porre fine al rapporto grava sul datore di lavoro che deduce la risoluzione dello stesso per mutuo consenso (cfr. ad es. Cass. 2 dicembre 2002 n. 17070 e 2 dicembre 2000 n. 15403).

E’ poi consolidato l’orientamento secondo cui il relativo giudizio, sulla configurabilità o meno, in concreto, di un tale accordo per facta concludentia, viene devoluto al giudice di merito, la cui valutazione, se congruamente motivata, si sottrae a censure in sede di controllo di legittimità della decisione (cfr., diffusamente, tra le altre, le sentenze citate).

Ciò posto in via di principio, si rileva che la Corte territoriale, dichiarando che la mera inerzia della lavoratrice non poteva essere interpretata da sola come fatto estintivo del rapporto, ha fatto corretta applicazione di tali principi al caso in esame, facendo riferimento proprio a valutazioni di tipicità sociale con riguardo al significato da attribuire alla semplice inerzia della L. nella situazione descritta, in cui non risulta che il datore di lavoro abbia dedotto alcuna ulteriore circostanza significativa dell’assunto.

Quanto infatti dedotto col secondo motivo di ricorso, nel senso che la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto che alcuni dei contratti a termine successivi al primo erano stati risolti anticipatamente rispetto al termine stabilito, non è supportato dalla riproduzione del testo del contratto nella parte in cui individua il termine finale, necessaria per valutare la rilevanza della deduzione, atteso che la menzionata comunicazione – riprodotta questa nel ricorso – di risoluzione del rapporto per cessazione del programma appare coerente con l’ipotesi di un termine stipulato ai sensi della L. n. 230 del 1962, art. 1, comma 2, lett. e).

Nella valutazione di fatto effettuata dalla Corte sul motivo di appello relativo alla pretesa tacita risoluzione consensuale del rapporto a tempo indeterminato sono state infine evidentemente tenute in considerazione circostanze notorie rappresentate dal tempo necessario a valutare l’eventuale illegittimità del termine e quindi rivolgersi al sindacato e/o all’avvocato, dalla necessità per quest’ultimo di impostare la causa e provvedere al tentativo di conciliazione di cui all’art. 410 c.p.c. nonchè della altrettanto notoria circostanza relativa all’affidamento che il lavoratore “precario” normalmente fa sulla prospettiva di futuri contratti a termine e al timore di pregiudicare tale esito con l’iniziativa giudiziaria.

Una tale valutazione, proprio perchè ragionevolmente ancorata a parametri di tipicità sociale, non appare censurabile in questa sede di legittimità.

Infine, anche il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

A norma della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1, comma 2, lett. e), nel testo modificato dalla legge 23 maggio 1977 n. 266, vigente all’epoca dei fatti, è consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro “nelle assunzioni di personale riferite a specifici spettacoli ovvero a specifici programmi radiofonici o televisivi”.

Questa Corte ha ripetutamente affermato (cfr., per tutte, Cass. 24 gennaio 2006 n. 1291) che ai fini della legittimità dell’apposizione del termine nel caso in esame e necessario che ricorrano i requisiti:

a) della temporaneità della occasione lavorativa rappresentata dalla trasmissione o dallo spettacolo, che non devono essere necessariamente straordinari od occasionali ma di durata limitata dell’arco di tempo della programmazione complessiva e quindi destinati ad esaurirsi (per cui non consentono l’utilizzazione di un lavoratore a tempo indeterminato); b) della specificità del programma, che deve essere quantomeno unico (anche articolato in più puntate o ripetuto nel tempo) e presentare una sua connotazione particolare; c) della connessione reciproca tra specificità dell’apporto del lavoratore e specificità del programma o spettacolo (il ed. vincolo di necessità diretta), per cui il primo concorra a formare la specificità del secondo o sia reso necessario da quest’ultima specificità.

In altri termini, anche un programma specifico e temporaneo non legittima di per sè una assunzione a termine per prestazioni generiche (comunque reperibili attingendo all’organico stabile dell’impresa), ma solo quando alla specificità dello spettacolo concorre necessariamente il peculiare apporto professionale, tecnico o artistico degli autori che lo realizzano, gli attori che lo interpretano, etc, che non è facilmente fungibile col contributo realizzabile dal personale a tempo indeterminato dell’impresa.

A quest’ultimo proposito, la situazione descritta è riferibile anche al personale diverso da quello tecnico o artistico portatore di un contributo creativo rispetto alla realizzazione del programma, ma unicamente dotato di una professionalità specialistica normalmente non necessaria nell’assetto complessivo dell’attività dell’impresa (ad es. l’operatore subacqueo, o l’interprete di una lingua poco usata).

L’interpretazione della norma di legge adottata dalla giurisprudenza di questa Corte appare corrispondere appieno al ragionevole equilibrio tra esigenze di garanzia di stabilità del rapporto di lavoro ed esigenze, anche culturali, della produzione di spettacoli e programmi radiotelevisivi perseguito dal legislatore dell’epoca alla luce delle condizioni economiche e sociali esistenti.

Essa resiste alla rivisitazione tentata dalla difesa della ricorrente principale, la quale propone una lettura della norma di legge, che anticipa e addirittura supera i futuri sviluppi della disciplina del contratto a tempo determinato, tuttora qualificato dalla legge come ipotesi eccezionale rispetto alla regola del contratto di lavoro a tempo indeterminato e sopravvaluta il significato della modifica apportata alla L. n. 230 del 1962, art. 1, comma 2, lett. e) dalla L. n. 266 del 1977, limitato viceversa ad una semplice estensione, rispetto allo schema originario, dell’istituto, senza che da tale estensione si possano trarre conclusioni relativamente ad eventuali stravolgimenti di quest’ultimo.

Va infine ribadito che l’accertamento della sussistenza in concreto dei requisiti di legittimità dell’apposizione del termine nell’ipotesi considerata costituisce giudizio di merito, che i giudici di merito hanno adeguatamente condotto col rilevare la genericità dell’apporto lavorativo della L. in esecuzione di contratti a termine indicati, non sufficientemente contrastata dalle deduzioni della società, rimaste in proposito generiche e non pertinenti sul piano dell’accertamento del vincolo di necessità diretta enunciato.” E’ seguita la rituale notifica della suddetta relazione, unitamente all’avviso della data della presente udienza in camera di consiglio.

La Rai ha depositato una memoria.

Il Collegio condivide il contenuto della relazione, sia quanto ai requisiti necessari per ritenere realizzato un mutuo consenso tacito alla risoluzione di un rapporto di lavoro (sui quali non esercita alcuna incidenza la L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 3, lett. d), che disciplina de futuro un istituto tutt’affatto diverso) che con riguardo all’interpretazione della L. n. 230 del 1962, art. 1, comma 2, lett. e), (anche con le modifiche di cui alla L. n. 266 del 1977), corrispondente all’orientamento costante di questa Corte, che qui si intende ribadire, nell’esercizio della funzione normofilattica affidata dall’ordinamento a tale istituzione.

Il ricorso va pertanto respinto. Nulla per le spese della L., che non ha svolto difese in questa sede.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 22 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 2 settembre 2011

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