Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18067 del 31/08/2020

Cassazione civile sez. VI, 31/08/2020, (ud. 16/06/2020, dep. 31/08/2020), n.18067

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 34604/2018 R.G. proposto da:

D.C.A., domiciliato, in difetto di elezione di

domicilio in ROMA, per legge ivi presso la CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato DELLA VENTURA FRANCESCO;

– ricorrente –

contro

D.C.C., domiciliata, in difetto di elezione di

domicilio in ROMA, per legge ivi, presso la CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato VASSALLO ARTURO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 486/2019 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 04/04/2019;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata

del 16/06/2020 dal relatore Dott. DE STEFANO Franco.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

D.C.A. ricorre, affidandosi ad atto articolato su due motivi e notificato dal 31/05/2019, per la cassazione della sentenza del 04/04/2019 della Corte di appello di Salerno, di riforma della sentenza di primo grado e conseguente accoglimento dell’opposizione proposta da D.C.C. avverso l’intervento dal primo dispiegato in opposizione immobiliare ai suoi danni e fondato su titolo esecutivo pronunciato nei confronti anche di altri ex soci della D.C. s.n.c., recante condanna al pagamento della somma di complessivi Euro 141.000 e reputata solidale dal creditore e parziaria dalla debitrice in ragione del riferimento all’entità del credito in ragione di Euro 35.250 per ciascuno degli ingiunti;

resiste l’intimata, notificando controricorso;

è stata formulata proposta di definizione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1, come modificato dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. e), conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197;

entrambe le parti depositano memoria ai sensi del medesimo art. 380-bis, comma 2, u.p..

Diritto

CONSIDERATO

Che:

il ricorrente formula due motivi: un primo, di “violazione o falsa applicazione dell’art. 474 c.p.c. e dell’art. 1294 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”; un secondo, di “violazione o falsa applicazione degli artt. 474 e 615 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”; nel complesso dolendosi dell’interpretazione, da parte della corte territoriale, come parziaria o ripartita tra i quattro soci ingiunti, anzichè solidale, della condanna recata dal titolo esecutivo;

la doglianza è inammissibile: in difetto di trascrizione adeguata in ricorso (e neppure potendo, per consolidata giurisprudenza, valere successive integrazioni di quello) del titolo azionato in relazione alla strutturazione della causa petendi a sostegno del petitum in concreto sollecitato e, vista la natura del titolo, pedissequamente conseguito, è impossibile, attesa la conseguente violazione del n. 6 dell’art. 366 c.p.c. in relazione alle concrete esigenze della presente controversia, apprezzare se e come l’operazione della qui gravata sentenza abbia trasmodato in una violazione del comando contenuto nel giudicato o non si sia limitata ad un’interpretazione del titolo esecutivo;

quest’ultima, com’è noto, è riservata al giudice dell’opposizione: essa si risolve (tra le ultime: Cass. ord. 13/06/2018, n. 15538, ove richiami ai precedenti, tra i quali Cass. 06/07/2010, n. 15852; nello stesso senso, v. Cass. ord. 12/12/2018, n. 32196) nell’apprezzamento di un fatto, come tale incensurabile in Cassazione se esente da vizi logici o giuridici: nè può diversamente opinarsi, neppure alla luce dei poteri di rilievo officioso e di diretta interpretazione del giudicato esterno da parte del giudice di legittimità, atteso che, in sede di esecuzione, il provvedimento passato in giudicato, pur ponendosi come giudicato esterno (in quanto decisione assunta fuori dal processo esecutivo), non opera come decisione della controversia, bensì come titolo esecutivo e, pertanto, non va inteso come momento terminale della funzione cognitiva del giudice, ma come presupposto fattuale dell’esecuzione, ossia come condizione necessaria e sufficiente per procedere ad essa;

del resto (Cass. ord. 21/12/2016, n. 26567), il titolo esecutivo giudiziale, ai sensi dell’art. 474 c.p.c., comma 2, n. 1, non si identifica, nè si esaurisce, nel documento giudiziario in cui è consacrato l’obbligo da eseguire, risultando insufficiente, ad esempio, il solo dispositivo del provvedimento posto a base dell’esecuzione;

nella specie, la compresenza, in uno al totale, dell’espressa – e non strettamente necessaria – menzione di quanto spettante a ciascun socio non è implausibilmente interpretata dalla corte territoriale nel senso del riconoscimento di una suddivisione dell’obbligazione fra i quattro titolari e con esclusione della solidarietà, che di norma, ma non necessariamente e appunto salvo quanto specificato nel titolo, assiste le obbligazioni con pluralità di soggetti e latere debitoris: anche in difetto, come detto, in ricorso, di validi od idonei elementi sulla cui base ricostruirne il fondamento poi consacrato nel titolo;

il ricorso va quindi dichiarato inammissibile ed il soccombente ricorrente condannato al pagamento delle spese di questo giudizio;

va infine dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra moltissime altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti processuali (a tanto limitandosi la declaratoria di questa Corte: Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315) per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato eventualmente dovuto per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 16 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2020

 

 

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