Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18066 del 05/07/2019

Cassazione civile sez. III, 05/07/2019, (ud. 29/04/2019, dep. 05/07/2019), n.18066

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20262-2017 proposto da:

CITTA’ DI MILANO SRL, in persona dell’amministratore unico e legale

rappresentante LORENZA CARAFA, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA DELLE QUATTRO FONTANE, 161, presso lo studio dell’avvocato

ANGELO ANGLANI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

CARLO STRAULINO;

– ricorrente –

contro

BIRRERIA BARBANERA SRL, in persona del legale rappresentante p.t.

D.Z.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE,

71, presso lo studio dell’avvocato ANGELO COMNENO ALESSIO FERRARI,

che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati EDOARDO

ANDREOTTI LORIA, ALVISE DAVANZO;

RECO SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PAOLO EMILIO 32,

presso lo studio dell’avvocato MARA CURTI, che la rappresenta e

difende unitamente agli avvocati GIOVANNI MOLIN, ANDREA ANDRICH;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 274/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 22/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/04/2019 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza resa in data 22/2/2017, la Corte d’appello di Venezia ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha rigettato la domanda proposta dalla Città di Milano s.r.l. per la condanna della Reco s.r.l. al rilascio, in proprio favore, del complesso aziendale di proprietà della società attrice;

che a fondamento della domanda proposta, la Città di Milano s.r.l. aveva dedotto come il contratto di affitto del proprio complesso aziendale, concluso con la Barbanera s.r.l. nel novembre del 1995, fosse venuto meno per il recesso operato dalla Città di Milano s.r.l. nel corso del 2013, con la conseguente estinzione del contratto di subaffitto concluso nel 1997 tra la Barbanera s.r.l. e la Reco s.r.l.;

che, nel disattendere l’appello proposto dalla Città di Milano s.r.l., la corte territoriale ha evidenziato, tra i restanti argomenti, come, sulla base degli elementi di prova acquisiti al giudizio, fosse rimasta comprovata la circostanza della conclusione, tra Città di Milano s.r.l. e l’originaria conduttrice Barbanera s.r.l., di un nuovo contratto di affitto (sostitutivo del precedente titolo negoziale del 1995) tuttora efficace, con la conseguente permanenza, in capo alla Reco s.r.l., di un legittimo titolo di godimento del complesso aziendale rivendicato dalla società appellante;

che, avverso la sentenza d’appello, la Città di Milano s.r.l. propone ricorso per cassazione sulla base di sette motivi d’impugnazione;

che la Reco s.r.l. e la birreria Barbanera s.r.l. resistono con controricorso;

che Città di Milano s.r.l. ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il primo motivo, la società ricorrente si duole della nullità della sentenza impugnata per carenza di motivazione (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), per avere la corte territoriale dettato una motivazione meramente apparente in relazione al punto concernente il mancato riconoscimento del diritto del concedente di agire direttamente nei confronti del subaffittuario per l’adempimento dell’obbligazione di rilascio dell’azienda derivante dal contratto di subaffitto, ai sensi dell’art. 1595 c.c., comma 1;

che, con il secondo motivo, la ricorrente si duole della nullità della sentenza impugnata per vizio di motivazione (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), per avere la corte territoriale omesso di pronunciarsi sull’illegittimità della perdurante detenzione dell’azienda de qua, da parte della società subaffittuaria, per l’intervenuta cessazione del contratto principale di affitto del 1995 tra Città di Milano s.r.l. e Barbanera s.r.l., e sulla conseguente cessazione del derivato contratto di subaffitto;

che, con il terzo motivo, la società ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 1595 c.c., comma 1, nonchè degli artt. 99 e 112 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale illegittimamente trascurato di riconoscere il diritto del concedente ad agire direttamente nei confronti della società subaffittuaria per la riconsegna dell’azienda concessa in godimento, avendo il giudice a quo deciso la causa sull’erroneo presupposto (del tutto estraneo al perimetro delle domande proposte dalle parti) della mancata adozione di alcuna pronuncia sulla nullità o la risoluzione del principale contratto di locazione, ai sensi dell’art. 1595 c.c., comma 3;

che tutti e tre i motivi – congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione – sono inammissibili;

cha, al riguardo, varrà evidenziare come, con le doglianze in esame, la società ricorrente non consideri (nè, conseguentemente, censuri) i passaggi della motivazione della sentenza impugnata (e la decisiva ratio decidendi in essi consacrata) in cui risulta espressamente attestata l’avvenuta acquisizione della prova della persistente efficacia di un contratto di affitto (sia pure nuovo e diverso rispetto a quello originariamente concluso nel 1995) tra Città di Milano s.r.l. e Barbanera s.r.l., con il conseguente positivo accertamento dell’infondatezza dell’azione di rilascio proposta nei confronti della società subaffittuaria (sul presupposto dell’avvenuta estinzione del contratto d’affitto principale), attesa l’impossibilità di predicare l’invalidità/inefficacia del contratto di subaffitto in conseguenza dell’estinzione del suo presupposto negoziale costituito dal contratto d’affitto principale, viceversa accertato come esistente;

che, ciò posto, varrà richiamare il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale, il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, siccome per denunciare un errore occorre identificarlo (e, quindi, fornirne la rappresentazione), l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito, considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4 (Sez. 3, Sentenza n. 359 del 11/01/2005, Rv. 579564 – 01);

che, con il quarto motivo, la ricorrente, “in stretto subordine” rispetto alla proposizione del terzo motivo, censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 1595 c.c., comma 3, (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente omesso di riconoscere il carattere incontestato della circostanza costituita dall’intervenuta cessazione degli effetti del contratto principale di affitto, con i conseguenti effetti di tale riconoscimento anche nei confronti della società subaffittuaria, ai sensi del richiamato art. 1595 c.c., comma 3;

che, con il quinto motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 115,116,416 e 420 c.p.c., nonchè degli artt. 2697 e 2556 c.c., oltre che per omessa motivazione (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4), per avere la corte territoriale omesso di pronunciarsi sul rilievo della mancata contestazione, da parte della Reco s.r.l., in sede di costituzione in giudizio, dei fatti allegati dalla società ricorrente in ordine alla cessazione del principale contratto di affitto, e per aver erroneamente tratto conseguenze giuridiche dalle tardive, inammissibili e, in ogni caso, infondate deduzioni sollevate dalla Barbanera s.r.l. in ordine alla pretesa esistenza di un nuovo contratto d’affitto d’azienda tra le originarie parti principali, in ogni caso inidoneo a fondare un valido titolo di detenzione in capo a Reco s.r.l.;

che il quarto e il quinto motivo – anch’essi congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione – sono infondati;

che, con particolare riferimento al tema costituito dall’incidenza del principio di non contestazione invocato nei confronti della Reco s.r.l., varrà al riguardo la regola che limita l’efficacia di detto principio alle sole circostanze proprie dell’interessato, e non già a quelle riferibili alla sfera di terzi (cfr. Sez. L -, Ordinanza n. 87 del 04/01/2019, Rv. 652044 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 14652 del 18/07/2016, Rv. 640518 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 3576 del 13/02/2013, Rv. 625006 – 01);

che, ciò posto, nessun rilievo potrà ascriversi alla mancata contestazione, da parte di Reco s.r.l., delle sorti del principale contratto di affitto tra Città di Milano s.r.l. e Barbanera s.r.l., trattandosi, all’evidenza, di un rapporto giuridico rispetto al quale Reco s.r.l. risulta del tutto estranea;

che, sotto altro profilo, del tutto inammissibile deve ritenersi la censura concernente l’inammissibilità e/o la tardività delle contestazioni sollevate in giudizio dalla Barbanera s.r.l., avendo l’odierna ricorrente non adeguatamente assolto all’adempimento degli oneri di puntuale e completa allegazione di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4, con particolare riguardo all’allegazione degli atti processuali da cui sarebbero potuti emergere gli estremi di riconoscibilità della tardività o dell’inammissibilità delle deduzioni o delle eccezioni sollevate dalla Barbanera s.r.l.;

che, con riguardo alla censura concernente la pretesa nullità/inesistenza del nuovo contratto di affitto tra Città di Milano s.r.l. e Barbanera s.r.l. (in relazione alla pretesa violazione delle regole formali di cui all’art. 2556 c.c.), varrà rilevare, da un lato, l’inammissibilità del motivo, dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, riferito alla sussistenza di un’adeguata prova scritta del contratto, trattandosi della denuncia di una pretesa erronea ricognizione della fattispecie concreta e, quindi, di un’inammissibile invocazione della rilettura nel merito dei fatti di causa, e, dall’altro, l’infondatezza della doglianza, nella parte in cui afferma che il deposito per l’iscrizione nel registro delle imprese del contratto di affitto sia imposto a pena di validità o di efficacia del contratto;

che, a tale ultimo riguardo, è appena il caso di richiamare l’insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale l’affitto d’azienda non richiede la forma scritta per la sua validità, a meno che tale forma non sia richiesta per la natura dei singoli beni trasferiti o per la particolare natura del contratto, nè il capoverso dell’art. 2556 c.c. contraddice detta affermazione, atteso che detta disposizione non attiene alla validità del contratto, ma al regime dell’opponibilità ai terzi, per la quale la norma in questione richiede l’iscrizione nel Registro delle imprese, che a sua volta postula l’atto pubblico o la scrittura privata autenticata (v., in tal senso, Sez. 1, Sentenza del 18 giugno 2015, n. 12648);

che del pari infondate devono ritenersi le censure riferite all’interpretazione delle dichiarazioni negoziali delle parti (ai fini della ritenuta avvenuta conclusione di un nuovo contratto di affitto tra Città di Milano s.r.l. e Barbanera s.r.l.), non avendo la società ricorrente adeguatamente articolato le proprie censure in rapporto alla pretesa violazione, da parte del giudice a quo, delle regole legali di ermeneutica contrattuale;

che, infine, devono ritenersi inammissibili le deduzioni svolte dalla società ricorrente in ordine all’inesistenza, in ogni caso, di un valido titolo a fondamento della detenzione dell’azienda oggetto di causa da parte di Reco s.r.l. (pur quando dovesse ritenersi comprovatà la sussistenza di un nuovo contratto di affitto tra Città di Milano s.r.l. e Barbanera s.r.l.), trattandosi di una questione nuova, di cui non vi è traccia nella sentenza impugnata;

che, rispetto a tale questione, in ogni caso, la società ricorrente non avrebbe alcun titolo di dolersi (siccome estranea al rapporto), al di là dell’assorbente rilievo per cui l’esistenza di un valido ed efficace contratto di subaffitto costituisce lo specifico fondamento di ammissibilità dell’azione diretta di rilascio così come proposta dalla società originaria ricorrente;

che, con il sesto motivo, la ricorrente, “in stretto subordine” rispetto alla proposizione del quinto motivo, censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c., degli artt. 115,116,416 e 420 c.p.c., degli artt. 2697 e 2556 c.c., nonchè per assoluta mancanza di motivazione (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4), per avere la corte territoriale (in ipotesi) accertato la sussistenza di un nuovo contratto di affitto tra Città di Milano s.r.l. e Barbanera s.r.l., successivo a quello del 1995, in assenza di alcuna domanda sul punto e in violazione di tutti i parametri normativi sostanziali e processuali invocati;

che il motivo è infondato;

che, sul punto – ferma l’incidenza delle argomentazioni esposte in relazione al quinto motivo di censura (con particolare riguardo alla pretesa violazione di tutti i parametri normativi sostanziali e processuali invocati dalla ricorrente) – osserva il Collegio come l’accertamento relativo alla sussistenza o all’insussistenza di un valido titolo giustificativo del godimento dell’azienda in capo a Barbanera s.r.l. (e, conseguentemente, in capo a Reco s.r.l.) costituisce una premessa (e un passaggio logico-giuridico) indispensabile ai fini dell’accertamento della fondatezza del diritto fatto valere in giudizio da Città di Milano s.r.l. nei confronti della società subaffittuaria, avendo Città di Milano s.r.l. propriamente legato l’esercizio dell’azione di rilascio proposta in questa sede al venir meno di detto presupposto negoziale;

che, conseguentemente, la corrispondente eccezione di merito sollevata da Barbanera s.r.l. (e fatta propria da Reco s.r.l.), circa l’esistenza di un nuovo valido contratto principale di affitto, è certamente valsa a integrare, estendendolo, il contenuto del thema deci-dendum sottoposto alla cognizione dei giudici di merito;

che, con il settimo motivo, la ricorrente, “in via subordinata generale”, censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente condannato Città di Milano s.r.l. a rimborsare le spese del giudizio anche in favore di Barbanera s.r.l. chiamata in causa da Reco s.r.l.;

che il motivo è infondato;

che, al riguardo, osserva il Collegio come l’originaria chiamata in causa di Barbanera s.r.l., da parte di Reco s.r.l., costituì evenienza immediatamente conseguente ai termini della domanda di rilascio proposta da Città di Milano s.r.l., avendo quest’ultima legato l’invocato accoglimento della propria domanda sul presupposto della negata validità e/o efficacia del rapporto d’affitto tra Citta di Milano s.r.l. e Barbanera s.r.l., con la conseguente coerenza, rispetto al principio di causalità nella ripartizione delle spese di lite, della pronunciata condanna di Città di Milano al rimborso delle spese di lite anche nei confronti di Barbanera s.r.l. (cfr. Sez. L, Sentenza n. 3010 del 24/05/1979, Rv. 399350 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 6757 del 17/05/2001, Rv. 546722 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 12235 del 20/08/2003, Rv. 566050 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 7674 del 21/03/2008, Rv. 602543 – 01; Sez. 6 – 3, Sentenza n 2492 del 08/02/2016, Rv. 638998 – 01);

che, sulla base delle argomentazioni che precedono, rilevata la complessiva infondatezza delle censure esaminate, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso, con la conseguente condanna della società ricorrente al rimborso, in favore di ciascuna controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, secondo la liquidazione di cui al dispositivo, oltre all’attestazione della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, copmma 1 bis.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore di ciascuna controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate, per ciascuna parte, in complessivi Euro 7.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 29 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2019

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