Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18064 del 04/08/2010

Cassazione civile sez. trib., 04/08/2010, (ud. 03/06/2010, dep. 04/08/2010), n.18064

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. MELONCELLI Achille – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MAR – Magazzini Alimentari Risparmio s.p.a., con sede in Palermo, in

persona del legale rappresentante Dott. C.M.,

rappresentata e difesa per procura a margine del ricorso dagli

Avvocati prof. Lupi Raffaello e Claudio Lucisano, elettivamente

domiciliata presso lo Studio di Consulenza Giuridico Tributanti, in

Roma, via Boezio n. 16.

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate.

– intimata –

avverso la sentenza n. 74/25/05 della Commissione tributaria

regionale della Sicilia, depositata l’8 novembre 2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 3

giugno 2010 dal consigliere relatore Dott. Mario Bertuzzi;

Viste le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SEPE Ennio Attilio, che ha chiesto il rigetto del

ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto spedito a mezzo posta il 27.12.2006 e notificato il 3.1.2007, la Mar s.p.a. ricorre, sulla base di un unico, articolato motivo per la cassazione della sentenza n. 74/25/05 dell’8.11.2005 della Commissione tributaria regionale della Sicilia, che, accogliendo l’appello dell’Agenzia delle Entrate, aveva respinto il suo ricorso per l’annullamento dell’avviso di rettifica iva che, sulla base di un accertamento della Guardia di Finanza, le aveva contestato, per fanno 1994, l’omessa registrazione di corrispettivi per L. 1.333.407.000, irrogando sanzioni ed interessi, in particolare, il giudice di appello aveva riformato la pronuncia appellata sul punto in cui essa aveva dichiarato illegittimo il metodo di valutazione utilizzato dall’Ufficio finanziario per il calcolo presuntivo dei ricavi, affermando, in contrario, che l’Amministrazione aveva correttamente applicato il criterio della media ponderata, nonchè operalo sulla scorta dell’analisi di numerosi prodotti considerando anche la fluttuazione dei prezzi nell’arco dell’anno e la documentazione contabile e fiscale dell’azienda, giudicando infine non condivisibile l’esito della consulenza tecnica d’ufficio svolta nel procedimento penale instaurato per i medesimi fatti e che determinava il credito erariale in misura inferiore.

L’Agenzia delle Entrate non si è costituita.

Parte ricorrente ha depositato memoria, nonchè, all’udienza, note scritte di replica alle conclusioni del Procuratore Generale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’unico, articolato motivo di ricorso denunzia “Violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) in relazione all’art. 2697 c.c. e art. 116 c.p.c., per assenza dei presupposti sostanziali di una rettifica induttiva nonchè insufficiente e/o contraddittoria motivazione su punto (art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5)”.

La società ricorrente lamenta che la sentenza impugnata non abbia per nulla affrontato la questione da essa sollevata con l’appello incidentale, in cui aveva dedotto l’illegittimità dell’accertamento induttivo per difetto dei presupposti di legge, tenuto conto che l’omessa contabilizzazione di ricavi costituisce un fenomeno inverosimile per una società di grande distribuzione qua è la MAR, in cui è netta la scissione tra la proprietà aziendale ed i commessi preposti agli incassi.

Il mezzo assume inoltre l’erroneità della statuizione nella parte in cui ha ritenuto corretto il procedimento di calcolo dei presunti ricavi adottato dall’Ufficio, condotto sulla base di prezzi soltanto orientativi, ricavati essenzialmente dalle note di consegna ai vari punti vendita da parte della società che centralizzava gli acquisti del gruppo ed ivi indicava il prezzo preferibile da praticare, anzichè di quelli effettivamente applicati alla clientela; si lamenta, altresì, che non sono state considerare le strategie di vendita dei prodotto e gli omaggi e non si è soprattutto dato adeguatamente conto delle diverse indicazioni emergenti dalla consulenza tecnica d’ufficio svolta per i medesimi fatti nel procedimento penale. Si assume che la motivazione della sentenza è contraddittoria laddove da un lato afferma che il verbale ha tenuto conto delle oscillazioni dei prezzi in tutto l’anno e dall’altro osserva che tali fluttuazioni sono state considerate con medie non influenzate da campagne promozionali, senza indicare i parametri e la documentazione da cui sia possibile desumere tale oscillazione dei prezzi. Si osserva, infine, che l’accertamento compiuto dal giudice territoriale appare in contrasto con quanto risulta dallo stesso verbale di verifica della Guardia di Finanza, dove l’esame dei prezzi degli articoli di merce aveva preso le mosse solo ed esclusivamente dalle bolle di consegna, senza altri riscontri.

Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

Inammissibile, in particolare, appare la censura che contesta l’omessa valutazione da parte del giudice a qua della questione relativa alla sussistenza, nel caso di specie, dei presupposti per l’accertamento induttivo. Tale conclusione si impone in quanto il vizio in parola avrebbe dovuto essere proposto come violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 112 c.p.c., e non come violazione della legge sostanziale (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39); si osserva, inoltre, che dall’esame della sentenza impugnata non risulta che tale questione sia stata sollevata nel giudizio di secondo grado e che il ricorso non riproduce, in osservanza del principio di autosufficienza, il testo dell’appello incidentale – della cui proposizione del resto la sentenza non da nemmeno atto – con il quale asserisce di averla formulata, nè rappresenta, comunque, di averla avanzata fin dal ricorso introduttivo. Costituisce orientamento costante di questa Corte che il ricorso per Cassazione – per il principio di autosufficienza – deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito (Cass. n. 15952 del 1997; Cass. n. 14767 del 2007; Cass. n. 12362 del 2006). Nè d’altra parte la censura di violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), appare sostenuta da elementi specifici, idonei a palesare l’inesistenza dei presupposti richiesti dalla legge per 1″accertamento induttivo.

Analoga conclusione, in termini di inammissibilità, deve estendersi alla censura che lamenta l’omessa valutazione da parte del giudice a qua di circostanze desunte dai verbale redatto dalla Guardia di Finanza ovvero dal decreto di archiviazione e della consulenza tecnica espletata nel corso delle indagini del pubblico ministero.

Anche in questa parte, infatti, il ricorso difetta del requisito di autosufficienza, non indicando nè riproducendo gli elementi di fatto che sarebbero stati trascurati dal giudice di appello in questa valutazione. indicazione necessaria al fine di consentire a questa Corte di verificare non solo l’esistenza dell’omissione lamentata, ma anche la decisività degli elementi che si assumono trascurati ai fini dell’accertamento dei fatti rilevanti per la decisione. In disparte il rilievo che, premessa l’efficacia probatoria non vincolante, nel processo tributario, del decreto penale di archiviazione e della consulenza tecnica espletata nel corso delle indagini dal pubblico ministero, dalla sentenza impugnata risulta che il giudice territoriale ha considerato e valutato questi atti ed ha indicato le ragioni per cui ha disatteso la consulenza tecnica, per non avere essa chiarito il procedimento in forza del quale era pervenuta a quantificare il credito erariale in misura inferiore rispetto all’avviso di accertamento, ragioni che non risultano investite da alcuna specifica critica da parte della società ricorrente.

Il ricorso va invece dichiarato infondato con riferimento alla censura di insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza nella parte in cui essa ha dichiarato legittimo e corretto il procedimento utilizzato dall’Ufficio per determinare il prezzo di vendita dei prodotti e quindi l’ammontare dei ricavi non contabilizzati dalla contribuente. Sul punto giova premettere che il relativo accertamento operato dal giudice di merito ha natura di apprezzamento di fatto e, come tale, è censurabile in sede di giudizio di legittimità solo sotto il profilo della completezza e congruità della motivazione, ma non già con riferimento al giudizio di completezza e persuasività degli elementi raccolti ai fini della formazione dei convincimento del giudice, atteso che, per principio di diritto vivente, l’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, non conferisce alla Corte di legittimità il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, valutare le risultanze processuali, controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere, tra le stesse. quelle ritenute più idonee per la decisione (Cass. n. 4770 del 2006).

Tanto precisato, si ritiene che la Commissione tributaria regionale abbia dato pieno conto in sentenza del percorso logico giuridico su cui ha fondato la propria conclusione, laddove in particolare ha affermato che l’avviso di accertamento impugnato era fondato sull’esame di oltre quattromila articoli di vendita e sul confronto dei relativi prezzi in tutto Parco dell’anno e che si è tenuto conto del venduto risultante dalla documentazione fiscale confrontandolo con i dati analiticamente rilevati da fatture e bolle di accompagnamento, che la fluttuazione dei prezzi nell’arco dell’anno è stata considerata con medie “influenzate da campagne promozionali, peraltro non provate”, precisando ulteriormente che l’Ufficio ha applicato “il metodo ortodosso della media aritmetica ponderata valutando l’ammontare dell’omesso ricavo procedendo, pur induttivamente, anche dal suggerimento offerto dalle bolle di acquisto della surriferita merce in cui, per ogni articolo, la società di approvvigionamento facente parte dell’unico gruppo indicava il ricavo complessivo che l’azienda destinataria avrebbe dovuto conseguire”. Trattasi di motivazione logica ed adeguata, che da conto delle ragioni per cui il giudicante ha ritenuto corretto il procedimento seguito dall’Ufficio nella determinazione dei ricavi oggetto di contestazione e che smentisce, altresì, la principale critica della ricorrente secondo cui la Commissione regionale non avrebbe considerato che l’avviso di accertamento era fondato solo sui prezzi orientativi indicati sulle bolle di accompagnamento della merce, in luogo di quelli effettivi praticati, avendo il giudicante affermato al riguardo che l’Ufficio finanziario aveva tenuto conto anche della documentazione contabile e fiscale dell’azienda.

Il ricorso va pertanto respinto.

Nulla si dispone sulle spese di giudizio, non avendo l’Agenzia delle Entrate svolto attività difensiva.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 3 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2010

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