Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18062 del 14/09/2016


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Cassazione civile sez. trib., 14/09/2016, (ud. 08/07/2016, dep. 14/09/2016), n.18062

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto ai n. 3241/2011 R.G. proposto da:

SIGEMI s.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avv. Andrea Russo presso il cui studio

in Roma, Viale Castro Pretorio, 12, è elettivamente domiciliata,

giusta procura speciale in Notar Colombo del 28 gennaio 2011;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Lombardia, n. 55/4/2010, depositata il 18/6/2010.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell’8

luglio 2016 dal Relatore Cons. Dott. Emilio Iannello;

udito per la ricorrente l’Avv. Tonio Di Iacovo, per delega dell’Avv.

Andrea Russo;

udito per la controricorrente l’Avvocato dello Stato Alessandro

Maddalo;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, il quale ha concluso per l’accoglimento del

secondo motivo di ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con ricorso alla C.T.P. di Milano la Sigemi S.r.l. impugnava l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate, Ufficio di Milano 3, aveva determinato, per l’anno d’imposta 2002, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, una maggiore imposta Irpeg di Euro 28.335,00 e una maggiore imposta Iva di Euro 40.359,00, sulla base di un controllo della Guardia di Finanza.

La Commissione provinciale dichiarava inammissibile il ricorso in quanto presentato da persona priva del potere di rappresentanza giudiziale.

La decisione era confermata dalla C.T.R. della Lombardia che, con la sentenza in epigrafe, rigettava l’appello, rilevando che “la Sigemi S.r.l. agisce in giudizio non a mezzo di chi la rappresenta a norma di statuto, ma in persona del procuratore C.A. (procura notarile conferita in data 19/2/2007)” e che, però, tra i poteri conferiti con detta procura, “estremamente puntualizzati e non generici, non figura quello di proporre ricorso davanti alle Commissioni Tributarie, nè può essere desunto, come sostenuto dall’appellante, dai punti nn. 1, 3 e 7 o attraverso un’interpretazione estensiva delle intenzioni del mandante-conferente”.

Soggiungeva che la inammissibilità del ricorso, correttamente rilevata e dichiarata dai giudici di primo grado per difetto dei necessari poteri di rappresentanza nella persona del Dottor C.A., non poteva considerarsi sanata con efficacia retroattiva attraverso la presentazione dell’atto di appello.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la Sigemi S.r.l. sulla base di tre motivi, cui resiste l’Agenzia delle entrate depositando controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3. Con il primo motivo di ricorso, la società contribuente deduce violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 12 e 18 e degli artt. 83 e 125 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la C.T.R. confermato la declaratoria di inammissibilità del ricorso senza che fosse stato emanato dalla commissione – e rimasto inadempiuto dalla parte – l’ordine di regolarizzare l’eventuale inefficacia della procura.

Sostiene che, in ossequio alle citate norme, la C.T.R. avrebbe piuttosto dovuto annullare la sentenza di primo grado e rimettere la causa alla C.T.P. affinchè quest’ultima ordinasse ad essa ricorrente la regolarizzazione della situazione relativa alla inefficacia della procura.

4. Con il secondo e con il terzo motivo la ricorrente denuncia, rispettivamente, violazione di legge e error in procedendo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per avere la C.T.R. escluso che il difetto dei necessari poteri di rappresentanza in capo al procuratore conferente il mandato difensivo potesse considerarsi sanata dalla intervenuta ratifica da parte del legale rappresentante della società costituitosi nel giudizio di secondo grado.

5. Con il proposto controricorso l’Agenzia delle Entrate deduce l’infondatezza in punto di fatto della prima doglianza, rilevando che, come desumibile dalla lettura della sentenza di primo grado, nel corso di quel giudizio, a seguito dell’eccezione sollevata dall’ufficio circa l’assenza di valida procura, la società aveva chiesto e ottenuto termine per la regolarizzazione, attraverso il rinvio a una successiva udienza, rimasto però infruttuoso.

Quanto ai restanti motivi osserva che gli stessi fanno riferimento a un principio di carattere processuale che non può trovare applicazione nel processo tributario, per il carattere di specialità che lo connota e segnatamente in ragione della previsione di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 18, che sancisce espressamente la sanzione dell’inammissibilità del ricorso non sottoscritto da difensore munito di valida procura alle liti.

6. Il secondo e il terzo motivo di ricorso, congiuntamente esaminabili e di rilievo preliminare e assorbente, sono infondati.

Giova muovere dal rilievo per cui, come questa Corte ha ripetutamente chiarito, qualora la persona giuridica sia stata presente nel processo per mezzo di persona fisica non abilitata a rappresentarla, il vizio che ne consegue attiene alla capacità processuale della persona medesima, concernendo la titolarità del potere di proporre la domanda, e non invece la legittimazione ad agire (ossia il suo prospettarsi quale titolare del diritto azionato) e integra, pertanto, un difetto di legittimazione processuale (Cass. n. 15304 del 2007; n. 21811 del 2006; n. 20913 del 2005; n. 19164 del 2005; n. 6720 del 1996).

Relativamente alla sanatoria di questo vizio, dalla premessa che la ratifica dell’atto del falsus procurator con efficacia retroattiva (art. 1399 c.c.) non opera nel campo processuale e che, in ipotesi di procura alle liti, fuori del caso previsto dall’art. 125 c.p.c., non vale a sanare le decadenze nel frattempo intervenute, si è talora desunta la conseguenza che, qualora per una persona giuridica abbia agito un soggetto privo di poteri rappresentativi, la sanatoria conseguente alla spontanea costituzione in giudizio del soggetto munito di rappresentanza processuale avrebbe efficacia ex nunc, ai sensi dell’art. 182 c.p.c. (in tal senso, n. 5175 del 2005; n. 17525 del 2003).

Un contrario, maggioritario, orientamento ha invece ritenuto che occorre distinguere la questione della validità della procura alla lite, sotto il profilo dello jus postulandi del procuratore (al quale si riferisce la disciplina dell’art. 125 c.p.c.), da quella della capacità processuale, regolata dall’art. 182 c.p.c.. Questa norma, secondo un principio più volte affermato da questa Corte, rende sanabile il difetto di legittimazione processuale in qualunque stato e grado del giudizio, con efficacia retroattiva e con riferimento a tutti gli atti processuali già compiuti, a seguito della costituzione in giudizio del soggetto dotato della effettiva rappresentanza dell’ente stesso, il quale manifesti la volontà, anche tacita, di ratificare la precedente condotta difensiva del falsus procurator.

Siffatta sanatoria – si afferma – non è impedita dalla previsione dell’art. 182 c.p.c. (nel testo, applicabile alla fattispecie ratione temporis, anteriore alla modifica introdotta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46, comma 2), in virtù della quale sono fatte salve le decadenze già verificatesi, “non riferendosi detto limite a quelle che si esauriscono nell’ambito del processo” (Cass. n. 21811 del 2006; n. 12494 del 2001; cfr. anche Cass. n. 5135 del 2004; n. 12494 del 2001; n. 8426 del 1998). La conseguenza è che, secondo il prevalente e più recente orientamento di questa Corte, il difetto di legittimazione processuale della persona fisica o giuridica, che agisca in giudizio in rappresentanza di un altro soggetto, può essere sanato, in qualunque stato e grado del giudizio, e dunque anche in appello, con efficacia retroattiva e con riferimento a tutti gli atti processuali già compiuti, per effetto della costituzione in giudizio, del soggetto dotato della effettiva rappresentanza, il quale manifesti la volontà di ratificare la precedente condotta difensiva del faisus procurator (Cass. n. 5343 del 2015; n. 21811 del 2006; n. 12088 del 2006; n. 20913 del 2005; n. 4468 del 2005; n. 5135 del 2004; n. 12494 del 2001; n. 15031 del 2000; n. 2239 del 1978; n. 458 del 1975).

Un tale principio non può però giovare alla tesi sostenuta dalla società ricorrente nella presente sede, ostandovi (non già la specialità del processo tributario D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 1, comma 2, in mancanza, nel detto decreto, di disposizioni specificamente dirette a regolare diversamente o in modo con esso incompatibile l’ipotesi considerata del falsus procurator: disposizioni di tal genere non potendosi in particolare ricavare nè dall’art. 11, nè, diversamente da quanto assunto dall’amministrazione controricorrente, dall’art. 18, il quale sanziona con l’inammissibilità solo la mancanza o l’assoluta incertezza di requisiti di forma-contenuto del ricorso, ma) proprio il limite dettato dallo stesso art. 182 c.p.c., nel testo previgente, come detto applicabile al caso in esame ratione temporis: limite rappresentato dalla salvezza delle decadenze già avveratesi e che, bensì riferibile a situazioni di natura sostanziale e non meramente processuale, assume un rilievo pregnante in materia tributaria, derivando dalla proposizione del ricorso da soggetto privo del potere di rappresentanza l’inidoneità dello stesso ad impedire che l’atto impugnato divenga definitivo: effetto – questo – sostanziale cui, per quanto detto, non può porre rimedio la successiva ratifica ove intervenuta al di là del termine dettato dall’art. 21 D.Lgs. cit., per proporre ricorso (termine, come noto, nella gran parte dei casi, e segnatamente in quello in esame, di soli 60 giorni).

7. A diversa conclusione si sarebbe potuti giungere sotto il vigore del nuovo testo dell’art. 182 c.p.c., che, infatti, attribuisce alla successiva ratifica efficacia retroattiva anche sul piano sostanziale (v. in tal senso Cass. Sez. 6-5, n. 3084 del 17/02/2016, in una fattispecie in cui, come chiaramente rimarcato dalla S.C., la nuova norma trovava applicazione); l’applicabilità del nuovo testo normativo, però, giova ripetere, non è predicabile nel caso in esame, stante il disposto della norma transitoria di cui alla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58, comma 1, che limita l’applicabilità della massima parte delle modifiche introdotte al codice di rito, tra cui quella che qui interessa all’art. 182 c.p.c., “ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore” (4/7/2009), quale certamente non è il giudizio di che trattasi, promosso in primo grado nell’anno 2008.

8. Per le stesse considerazioni deve negarsi fondatezza anche al primo motivo.

E’ evidente infatti che – indipendentemente dalla verifica in punto di fatto se la facoltà del giudice, comunque per pacifica giurisprudenza meramente discrezionale, di assegnare un termine ex art. 182 c.p.c., comma 2, “per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l’assistenza” sia stato concesso oppure no dalla C.T.P. – un regresso a tal fine al giudizio di primo grado sarebbe del tutto inutile e privo di significato, per le decadenze sostanziali comunque nel frattempo già ampiamente maturate.

E’ al riguardo appena il caso di segnalare che la giurisprudenza evocata a sostegno dalla ricorrente, riguarda il diverso caso, previsto dagli artt. 12 e 18 D.Lgs. cit., della parte privata che stia in giudizio senza assistenza tecnica.

9. Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna della società ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 4.700, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 8 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2016

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