Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18061 del 04/08/2010

Cassazione civile sez. trib., 04/08/2010, (ud. 28/05/2010, dep. 04/08/2010), n.18061

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.F., residente negli (OMISSIS), in persona del

procuratore

generale Avvocato Z.L. per atto notaio Battoli del

14.4.1992 rep. n. 71115, racc. n. 6664, rappresentato e difeso come

da procura in calce a ricorso dall’Avvocato prof. Adonnino Pietro,

elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, via Agostino

Depretis n. 86.

– ricorrente –

contro

Comune di Ladispoli.

– intimato –

avverso la sentenza n. 55/31/04 della Commissione tributaria

regionale del Lazio, depositata il 23 novembre 2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28

maggio 2010 dal consigliere relatore Dott. Mario Bertuzzi;

Viste le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott.ssa ZENO Immacolata, che ha chiesto il rigetto del

primo motivo di ricorso, l’accoglimento del secondo e del terzo

motivo e l’assorbimento degli altri.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato a mezzo del servizio postale il 5.1.2006, C. F., in persona de suo procuratore generale Avvocato Z. L., ricorre, sulla base di sei motivi, illustrati successivamente con memoria, per la cassazione della sentenza n. 55/31/04 della Commissione tributaria regionale del Lazio, depositata il 23 novembre 2004, che, in riforma della pronuncia di primo grado, aveva respinto i suoi ricorsi per l’annullamento di sei avvisi di accertamento emessi dal Comune di Ladispoli in relazione ad un immobile e sette terreni per le annualità dal 1993 al 1998, reputando i giudice di secondo grado infondate le eccezioni della contribuente che contestavano la legittimità degli atti impugnati per essere state determinate le aliquote di imposta dalla giunta comunale invece che dal consiglio e per non trovarsi la ricorrente nel possesso di uno dei terreni, in quanto occupato senza titolo da altra persona.

Il Comune di Ladispoli non si è costituito.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, censurando la sentenza impugnata per non avere dichiarato inammissibile l’appello del Comune per genericità dei motivi, essendosi esso limitato a richiamare, a sostegno degli avvisi di accertamento emessi, una perizia extragiudiziale, senza specificatamente contestare le affermazioni della pronuncia di primo grado che aveva accolto le ragioni della contribuente rilevando che i terreni tassati non erano edificabili in quanto ricadenti alcuni in zona cd. bianca, non edificabile (terreni dal n. 1 al n. 5) ed altri in zona destinata ad attrezzature di gioco e verde pubblico (terreni nn. 6 e 7).

Il motivo è inammissibile.

La censura svolta appare generica ed altresì formulata senza rispettare il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, atteso che la ricorrente omette completamente di indicare e di riprodurre l’atto di appello proposto dal comune, adempimento necessario al fine di dimostrare il proprio assunto che esso avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile per genericità dei motivi.

Costituisce diritto vivente di questa Corte il principio che il ricorso per cassazione – per il principio di autosufficienza – deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito (Cass. n. 15952 del 1997; Cass. n. 14767 del 2007; Cass. n. 12362 de 2006).

Il secondo motivo di ricorso, che denunzia omessa e insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5, lamenta che la Commissione tributaria regionale abbia disatteso l’eccezione di nullità degli atti opposti per essere state le aliquote di imposta determinale dalla Giunta comunale in luogo che dal Consiglio motivando la propria decisione mediante semplice richiamo ad un precedente della Corte di Cassazione (la sentenza n. 7602 del 2002), senza indicare le ragioni del proprio convincimento.

Anche il secondo mezzo è inammissibile.

La parte lamenta l’omessa o insufficiente motivazione della sentenza in ordine al rigetto della sua eccezione di nullità degli avvisi di accertamento impugnati senza considerare che il vizio di motivazione è riscontrabile unicamente in relazione agli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito, non già con riferimento all’applicazione delle disposizioni di diritto, sostanziali o processuali (Cass. S.U. n. 21712 del 2004), qual’è quella investita dal motivo. In quest’ultimo caso, infatti, potendo questa Corte correggere la motivazione della sentenza laddove ritenga esatto il decisimi (art. 384 cod. proc. civ., comma 2), la questione prospettabile investe direttamente l’applicazione della legge fatta propria dal giudice di merito ed il vizio denunziabile è quello di violazione di legge. L’unica censura di cui la Corte di legittimità può essere investita e che può portare alla cassazione della sentenza impugnata non concerne pertanto, in questi casi, la sufficienza o la congruità della motivazione, bensì la corretta interpretazione o applicazione delle norme di diritto da parte del giudice di merito.

Il terzo motivo di ricorso, che lamenta omessa e insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5, e violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 6, nonchè della L. n. 142 del 1990, art. 32, comma 1, lett. g) e art. 35, censura la sentenza impugnata per non avere congruamente motivato sulla questione, decisiva per la controversa, in ordine alla competenza, se della Giunta o del Consiglio comunale, a determinare le aliquote ici, e per avere affermalo la competenza della Giunta sul punto in relazione a tutte le annualità di imposta oggetto degli avvisi di accertamento impugnati senza considerare che, come emerge chiaramente dalla stessa pronuncia della Corte di Cassazione da essa richiamata, tale competenza, a seguito delle modifiche apportate al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 6 dalla L. n. 662 del 1996, art. 3, comma 53, – che chiaramente designa come organo competente il Consiglio comunale – poteva essere affermata solo fino al 1996, mentre a partire dal 1^ gennaio del 1997 e quindi in relazione alle annualità in discussione 1997 e 1998 la Giunta comunale difettava del relativo potere. Si aggiunge, inoltre, che poichè tale impostazione appare seguita anche dal Comune nel proprio atto di appello, la statuizione del giudice di primo grado, laddove aveva dichiarato l’illegittimità degli avvisi per incompetenza funzionale della Giunta a determinare le aliquote, doveva ritenersi passata in giudicato, per mancanza di impugnazione, relativamente alle annualità 1997 e 1998.

Il motivo è fondato con riferimento a quest’ultima censura, con assorbimento dell’ulteriore doglianza di violazione di legge, mentre è inammissibile, per le ragioni esposte in sede di esame del mezzo precedente, in relazione al denunziato difetto di motivazione.

Fondata risulta, in particolare, l’eccezione di preclusione per intervenuto giudicato interno in ordine alla richiesta di annullamento degli avvisi ici per le annualità 1997 e 1998, che, attesa l’autonomia di tali atti discendente dall’autonomia dei diversi periodi di imposta, formando domande distinte, costituiscono anche differenti capi della sentenza impugnata, suscettibili, come tali, di progressivo passaggio in giudicato.

La decisione di primo grado aveva infatti accolto tutti i ricorsi della contribuente sul presupposto che le aliquote d’imposta applicate fossero state determinate illegittimamente dalla giunta comunale invece che dal consiglio: l’atto di appello aveva contestato tale conclusione, osservando in contrario che ” il potere deliberativo in ordine alla fissazione delle aliquote d’imposta ICI nel periodo riguardante gli anni 1993-1996 spetta alla Giunta, così come sancito esplicitamente nella formulazione originaria di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 6, comma 1″. Il motivo, pertanto, si limitava ad investire la decisione appellata in relazione alle annualità di imposta dal 1993 al 1996, lasciando fuori le annualità 1997 e 1998, dal momento che, con riferimento ad esse, non formulava alcuna critica avverso la decisione impugnata. Per queste ultime annualità, pertanto, la pronuncia di primo grado era divenuta definitiva e del tutto erroneamente il giudice di appello, nel reputare fondate le ragioni del Comune, ha travolto la decisione appellata anche sul punto, affermando la legittimità dell’accertamento anche in relazione a tale periodo di imposta e respingendo in loto i ricorsi della contribuente.

Il quarto motivo di ricorso lamenta omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, artt. 2 e 5, censurando al sentenza impugnata per avere affrontato la questione controversa circa la natura edificatoria dei terreni de quibus mediante un semplice ed incerto richiamo alla perizia extragiudiziale depositata dal Comune, senza emettere alcun giudizio in modo esplicito sul punto, tenuto conto che la pronuncia di primo grado aveva accolto i ricorsi espressamente riconoscendo che terreni tassati non erano edificabili in quanto ricadenti alcuni in zona cd. bianca, non edificabile (terreni dal n. 1 al n. 5) ed altri in zona destinata ad attrezzature di gioco e verde pubblico (terreni nn. 6 e 7). Si aggiunge che tale accertamento della sentenza appellata non era stato investito dai motivi di appello del Comune, che si era limitato a riproporre la questione relativa alla determinazione del valore delle aree, questione nemmeno affrontata dal giudice di appello. Questi, pertanto, è incorso in un evidente vizio di extrapetizione e di contraddittorietà della motivazione in quanto ha accolto le ragioni del Comune affrontando unicamente una questione diversa, quella relativa alla sussistenza del presupposto di imposta, che però riguardava pacificamente soltanto il terreno n. 5 – questione impropriamente indicata in sentenza con il punto 5 -.

senza dibattere il punto relativo ai requisiti necessari per il riconoscimento della natura edificatoria dell’area, ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, quesito a cui avrebbe dovuto rispondere riconoscendo nel caso concreto la natura non edificatoria dei terreni in questione, tenuto conto che, anche ad accogliere la tesi secondo cui a tal fine è sufficiente che il bene sia qualificato come edificatorio dal piano urbanistico generale, senza necessità che intervengano piani attuativi idonei a conferirgli l’utilizzabilità edificatoria) immediata, nel caso di specie il piano regolatore generale era stato adottato ma non era stato ancora approvato e quindi non era operativo, con l’effetto che gli atti impugnati dovevano considerarsi illegittimi in quanto applicavano, ai fini della determinazione della base imponibile, il criterio del valore venale.

Il motivo è solo in parte fondato, con riferimento in particolare al vizio di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia.

Per evidenti ragioni di ordine logico e giuridico, va tuttavia esaminata per prima l’argomentazione della ricorrente secondo cui, non avendo l’atto di appello del Comune investito direttamente la statuizione del primo giudice che aveva negato natura edificatoria ai terreni de quibus, la relativa questione doveva ormai reputarsi coperta dal giudicato e quindi sottratta alla cognizione del giudice di appello, che, pertanto, avrebbe errato nel pronunciare sul punto.

Questa censura è infondata in quanto dalla lettura del ricorso in appello – consentito a questa Corte, anche in questo caso, in ragione della natura processuale del vizio denunziato – emerge chiaramente che il Comune aveva contestato la pronuncia di primo grado non solo con riferimento ai criteri di valutazione dei terreni in questione, ma anche in relazione alla affermata non edificabilità degli stessi – questioni che, del resto, costituiscono temi tra loro strettamente interdipendenti a mente del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5 – richiamando sul punto in toto la perizia extragiudiziale, che, per l’appunto, dichiarava la natura edificatoria dei terreni.

Tanto precisato, la sentenza impugnata è affetta, sul punto relativo della natura edificatoria delle aree tassate, da evidente vizio di omessa motivazione. La Commissione tributaria regionale, infatti, ha riformato la pronuncia di primo grado in ragione del puro e semplice rilievo che essa era stata adottata “disattendendo completamente le indagini fornite dalla perizia extragiudiziale”, senza fornire i necessari ragguagli in ordine agli elementi di fatto contrari che risulterebbero dalla menzionata perizia ed alle ragioni per le quali essi sarebbero rilevanti e decisivi al line di ritenere edificabili i terreni in discorso. La sentenza omette del tutto, pertanto, di indicare gli elementi di fatto sui quali il giudice di appello ha ritenuto di fondare il proprio convincimento, nonchè il percorso logico che egli seguito al fine di pervenire e giustificare la conclusione accolta.

La mancanza di qualsiasi motivazione della sentenza sul punto spinge a dichiarare assorbite le altre questioni investite dal motivo e, in particolare, anche quella relativa ai criteri legali che debbono essere applicati ai fini della qualificazione edificatoria dei terreni ai sensi del D.Lgs. n. 504, art. 2, lett. b), tema sul quale, pertanto, il giudice di rinvio dovrà pronunciarsi, tenendo debitamente conto dell’evoluzione normativa (D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 11 quaterdecies, comma 16, convertito con modificazioni dalla L. 2 dicembre 2005, n. 248, ed D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 36, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, che hanno fornito l’interpretazione autentica del D.Lgs n. 504 citato, art. 2, lett. b)) e degli arresti della giurisprudenza di legittimità (Cass. S.U. n. 25506 del 2006).

Il quinto motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 1, comma 2, e art. 3, lamentando che la decisione impugnata abbia riconosciuto la soggettività passiva in capo alla ricorrente anche in relazione al terreno che non possedeva, in quanto occupato da altri sine titulo. Ad avviso del ricorso la statuizione è errata, in quanto il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 1, individua nel “possesso” il presupposto di imposta, disposizione che non appare derogata dall’art. 3 che indica tra i soggetti passivi il proprietario.

Il mezzo è infondato.

La statuizione del giudice di secondo grado merita conferma alla luce del preciso disposto di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 3, comma 1, che individua espressamente il soggetto passivo dell’imposta nel proprietario dell’immobile (ovvero nel titolare di altro diritto reale di godimento). A ciò si aggiunga che il mezzo, per come formulato, difetta anche del requisito di autosufficienza in quanto, premesso che nel caso di specie fatto pacifico può considerarsi la sola circostanza relativa all’occupazione del terreno da parte di un terzo, ma non già le condizioni con cui tale occupazione è iniziata e si è protratta, il ricorso non indica gli elementi di prova dedotti nel corso del giudizio da cui emergerebbe che detta occupazione, in relazione agli anni di imposta per cui è causa, è avvenuta contro la volontà della contribuente.

Il sesto motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 199, art. 8 nonchè della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, assumendo che l’incertezza obiettiva all’epoca esistente in ordine ai requisiti necessari per qualificare come edificatoria una determinata area avrebbero dovuto portare a ritenere la buona fede della contribuente e quindi non applicabili le sanzioni irrogate con gli avvisi impugnati.

Il motivo si dichiara assorbito in ragione dell’accoglimento parziale del ricorso.

In conclusione, si dichiarano fondati in parte i motivi terzo e quarto del ricorso, in relazione, rispettivamente, alle annualità di imposta 1997 e 1998 ed al vizio di omessa motivazione della sentenza impugnata sul punto relativo alla natura edificatoria dei terreni, assorbito il sesto e respinti gli altri. La sentenza, impugnata va quindi cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Lazio, che provvederà anche alla liquidazione delle spese di giudizio.

PQM

Accoglie in parte, nei limiti di cui in motivazione, il terzo e quarto motivo di ricorso, dichiara assorbito il sesto e respinge gli altri; cassa, in relazione ai motivi accolti, la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per la liquidazione delle spese di giudizio, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Lazio.

Così deciso in Roma, il 28 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2010

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