Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18058 del 05/07/2019

Cassazione civile sez. III, 05/07/2019, (ud. 08/03/2019, dep. 05/07/2019), n.18058

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 30064-2017 proposto da:

N.M., D.P., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA GIOSUE’ BORSI 4, presso studio dell’avvocato FEDERICA

SCAFARELLI, rappresentati e difesi dall’avvocato LUIGI GAROFALO;

– ricorrenti –

contro

G.M., C.P., UNIPOL SAI ASSICURAZIONI SPA;

– intimati –

Nonchè da:

G.M., (OMISSIS), C.P. (OMISSIS), UNIPOLSAI

ASSICURAZIONI in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI GRACCHI, 320, presso lo

studio dell’avvocato FRANCESCO MALATESTA, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ANDREA LANA;

– ricorrenti incidentali –

contro

D.P., N.M., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA GIOSUE’ BORSI 4, presso lo studio dell’avvocato FEDERICA

SCAFARELLI, rappresentati e difesi dall’avvocato LUIGI GAROFALO;

– controricorrenti all’incidentale –

avverso la sentenza n. 992/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/03/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI Corrado, che ha concluso per l’inammissibilità in subordine

rigetto del ricorso principale, assorbimento del ricorso incidentale

condizionato;

udito l’Avvocato FEDERICA SCAFARELLI;

udito l’Avvocato FRANCESCO MALATESTA.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. D.P. e N.M. ricorrono, affidandosi a dodici motivi illustrati anche con memoria, per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Venezia che aveva accolto solo parzialmente l’impugnazione avverso la pronuncia del Tribunale di Padova con la quale, in relazione ai gravi danni alla persona subiti dal D. a causa del sinistro stradale del quale era stato ritenuto esclusivo responsabile il conducente del veicolo antagonista G.M., aveva respinto le ulteriori pretese rispetto alle somme già corrisposte a titolo di acconto dalla compagnia di assicurazioni Unipolsai Spa.

Per ciò che interessa in questa sede, la Corte veneziana, in parziale riforma della sentenza impugnata, ha ulteriormente riconosciuto il danno patrimoniale relativo alla diminuzione di reddito dell’infortunato per il periodo di invalidità temporanea, respingendo tutte le altre voci risarcitorie domandate, inclusa quella vantata dalla moglie per l’assistenza prestata al marito.

2. Hanno resistito gli intimati depositando anche memoria ex art. 378 c.p.c. e proponendo ricorso incidentale condizionato, affidato ad un unico motivo rispetto al quale i ricorrenti si sono difesi.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I primi cinque motivi di ricorso devono essere congiuntamente esaminati per l’intrinseca connessione logica, in quanto sono tutti riferiti alla posizione della ricorrente N.M. ed alla critica proposta contro il rigetto della domanda risarcitoria per il pregiudizio che assume di aver subito in relazione all’assistenza, prestata al marito, di natura anche sanitaria.

Con essi si deduce:

a. ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. in combinato disposto con gli artt. 112,324 e 342 c.p.c. relativamente alla presunta novità della domanda prospettata come “danno non patrimoniale”: si lamenta che erroneamente la Corte territoriale aveva affermato che si trattava di “domanda nuova”, visto che il Tribunale, rigettandola, l’aveva esaminata pronunciandosi con una statuizione che era stata oggetto di specifica censura in appello, circostanza questa che contraddiceva il rilievo dei giudici d’appello;

b. ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043,2059,2697 c.c. in combinato disposto con gli artt. 115,116,132,157,167,244 e 253 c.p.c., nonchè dell’art. 111 Cost; inoltre, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, si deduce la nullità della sentenza assumendo che la Corte aveva confermato il rigetto della domanda (condividendo la valutazione di carenza probatoria) nonostante che: 1) la Unipol Spa non avesse mai contestato lo svolgimento delle prestazioni infermieristiche ed assistenziali prospettate nell’atto di citazione; 2) fosse stata chiesta, invano, l’ammissione di prova testimoniale; 3) nella CTU di primo grado fosse stato attestato che per tutto il periodo della malattia il D. era stato da lei assistito;

c. ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per la decisione,e cioè le specifiche prestazioni da lei svolte e puntualmente indicate nell’atto introduttivo;

d. ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 143,1227 e 2043 c.c. e dell’art. 116 c.p.c.: contesta, al riguardo, la affermazione contenuta nella sentenza secondo cui, in nome del principio di solidarietà familiare, il tempo dedicato all’assistenza del marito non doveva essere oggetto di ristoro in favore della moglie. Cita Cass.5795/2008 ed assume che le prestazioni assistenziali da lei rese personalmente, in quanto medico, senza ricorrere a risorse infermieristiche esterne, erano finalizzate, anche, a non aggravare il danno ex art. 1227 c.c.

e. ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio consistente nella quantità e qualità dell’assistenza prestata, corrispondente ad una significativa alterazione della propria vita.

2. Le censure sintetizzate sono complessivamente inammissibili: la prima rappresenta l’antecedente logico delle altre che vengono da essa assorbite.

La ricorrente, infatti, lamenta che il Collegio aveva ritenuto, in limine, che doveva ritenersi “nuova” la prospettazione di un “danno non patrimoniale” nonostante che nelle conclusioni formulate nell’atto di citazione la somma fosse stata esattamente quantificata (in Euro 282.426,14) e fosse stata dettagliatamente riferita al “riepilogo danni”; e che, soprattutto, il primo giudice, dopo aver ingiustamente affermato che il tempo dedicato dalla moglie all’assistenza del marito poteva essere valutabile soltanto come danno non patrimoniale, aveva deciso che nel caso concreto non sussistevano i presupposti per procedere alla liquidazione richiesta, per inidoneità della prova testimoniale al riguardo articolata.

2.1. Tanto premesso, si osserva che il motivo non consente di apprezzare la denunciata erroneità della statuizione della Corte territoriale che ha ragionevolmente affermato che la importante somma richiesta a titolo risarcitorio per le spese di assistenza e cura – rispetto alla quale il Tribunale aveva statuito che difettava la prova in relazione all’unica possibile qualificazione (di danno non patrimoniale) – era stata, solo nel giudizio d’appello in tal modo declinata: da ciò, deve ritenersi che la domanda formulata in primo grado fosse stata effettivamente ricondotta dalla parte attrice ad un danno patrimoniale, desumibile anche dalla specifica indicazione dei costi delle prestazioni sanitarie ed assistenziali che si assumevano fornite, tale da indurre il giudicante ad una qualificazione della domanda che, invero, è rimasta priva di specifica censura e rispetto alla quale, pertanto, la “nuova” prospettazione “aggiunta” in appello, correttamente colta dalla Corte territoriale, rende inammissibile anche il motivo proposto in questa sede con il quale si aggredisce una statuizione che risulta coperta dal “giudicato” (cfr. al riguardo Cass. SU 24664/2007; Cass. 26041/2010; Cass. 12159/2011; Cass. 28247/2013; Cass. 30838/2018).

2.2. Tutti i restanti motivi articolati in relazione alla posizione della N. devono ritenersi logicamente assorbiti.

3. Le successive censure riguardano la posizione del D..

3.1. Con il sesto motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti ed, in particolare, la gravità dell’infortunio da lui subito e le conseguenze complessivamente residuate.

Lamenta che la Corte territoriale aveva confermato la liquidazione del Tribunale che, nella quantificazione dell’invalidità temporanea, pur applicando i valori tabellari, aveva omesso qualsiasi valutazione concernente la gravità del fatto storico accaduto, attestandosi ingiustamente sui valori minimi; e, nella determinazione dell’invalidità permanente era stato applicato il c.d. “punto base”, senza alcuna considerazione del danno morale subito che doveva essere ricondotto alla “quantità ed alla qualità” delle rinunce alle quali era stato costretto in conseguenza della grave menomazione che aveva dovuto affrontare (subamputazione della caviglia destra).

3.2. Il motivo è inammissibile.

Questa Corte ha avuto modo di affermare che “il grado di invalidità permanente indicato da un “bareme” medico legale esprime in misura percentuale la sintesi di tutte le conseguenze ordinarie che una determinata menomazione si presume riverberi sullo svolgimento delle attività comuni ad ogni persona; in particolare, le conseguenze possono distinguersi in due gruppi: quelle necessariamente comuni a tutte le persone che dovessero patire quel particolare grado di invalidità e quelle peculiari del caso concreto che abbiano reso il pregiudizio patito dalla vittima diverso e maggiore rispetto ai casi consimili. Tanto le prime quanto le seconde costituiscono forme di manifestazione del danno non patrimoniale aventi identica natura che vanno tutte considerate in ossequio al principio dell’integralità del risarcimento, senza, tuttavia, incorrere in duplicazioni computando lo stesso aspetto due o più volte sulla base di diverse, meramente formali, denominazioni. Soltanto in presenza di circostanze specifiche ed eccezionali allegate dal danneggiato, che rendano il danno più grave rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età, è consentito al giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, incrementare le somme dovute a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione.” (cfr. ex multis Cass. 23778/2014; Cass. 10912/2018).

3.3. La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi sopra riportati, motivando adeguatamente sul punto (cfr. pag. 13, secondo cpv della sentenza impugnata) ed argomentando con riferimento agli ormai consolidati approdi sulla “omnicomprensività” del danno non patrimoniale, in relazione a tutti i pregiudizi che traggono origine dalla ragioni medico legali e non siano ad esse estranee.

3.4. La censura, pertanto, maschera una richiesta di rivalutazione di merito non consentita in questa sede (cfr. Cass. 8758/2017; Cass. 18721/2018).

4. Con il settimo motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione alla riconducibilità al sinistro delle spese da lui sostenute; deduce altresì la nullità della sentenza e/o del procedimento, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per la mancata valutazione delle prove documentali relative alla pertinenza degli esborsi.

4.1. Censura, in sintesi, la conferma della statuizione di rigetto delle spese per soggiorni, pasti e spese viaggi collegate alle cure necessarie per il grave danno alla persona subito, con particolare riferimento alle fatture prodotte attestanti tutti gli esborsi che aveva dovuto affrontare, insieme alla moglie che lo assisteva. Si duole, altresì, del mancato riconoscimento delle spese documentate relative al danno al mezzo di trasporto, richiamando i documenti SP 215/216 (doc. 84)

4.2. Il motivo è inammissibile perchè su tutte le questioni la motivazione mostra di aver esaminato i documenti prodotti e di averli ritenuti complessivamente inidonei a dimostrare le pretese vantate (cfr. pag. 14 della sentenza impugnata): per cui, le censure mascherano la richiesta di rivalutazione di merito delle emergenze processuali, rispetto alle quali il percorso argomentativo della Corte risulta certamente al di sopra della sufficienza costituzionale.

5. Le successive censure devono essere esaminate congiuntamente sia per intrinseca connessione logica sia per la parziale sovrapponibilità di esse.

5.1. Con i due motivi indicati con il medesimo numero “otto” il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 1223, 1226,1350,2043, 2065,2722,2729 e 2697 c.c. anche in combinato disposto con gli artt. 115 e 116 c.p.c.; nonchè la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 degli artt. 2722 e 2729 c.c. in combinato disposto con gli artt. 1223,2043 e 2056 c.c.

5.2. Lamenta il mancato riconoscimento del danno conseguente alla menomazione della capacità lavorativa specifica che era stata liquidata con mero riferimento al danno non patrimoniale da perdita della cenestesi lavorativa, nonostante le conclusioni della CTU, senza ricorrere ai criteri presuntivi che avrebbero potuto certamente sostenere, in presenza del grave danno, un giudizio prognostico di diminuzione dei redditi.

5.3. Contesta la motivazione della Corte che aveva omesso di tenere presente, nella valutazione delle fatture prodotte, il “principio di cassa” e si duole, ancora, del fatto che non erano stati utilizzati i criteri presuntivi da riferire anche alla gravità delle conseguenze dell’incidente.

6. Con il nono motivo, il ricorrente deduce la nullità della sentenza e/o del procedimento, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per mancata valutazione delle prove documentali relative al conferimento di incarichi al ricorrente, idonee a dimostrare la diminuzione reddituale subita.

7. Con- il decimo motivo, deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione fra le parti e cioè la prova acquisita in ordine al trend “rialzista” degli incarichi (nel periodo antecedente al sinistro) ai quali, in ragione delle sue condizioni fisiche, aveva dovuto rinunciare; deduce altresì, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 115,116 e 244 c.p.c. in combinato disposto con gli artt. 1350 e 2222 c.c., ed assume che la Corte territoriale non aveva considerato che la sua carriera professionale, al momento dell’incidente, era in ascesa e la dimostrazione delle circostanze invocate ben poteva ben essere fondata su presunzioni e sulla prova testimoniale che non era stata ammessa.

8. Con l’undicesimo motivo, infine, lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1223,1226,1350,2043,2065 e 2697 c.c. in combinato disposto con gli artt. 115,116 e 244 c.c.; nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’attività professionale da lui svolta.

8.1. Assume, in sintesi, che la Corte non aveva esaminato che la sua specializzazione professionale era quella di coordinatore della sicurezza e, nell’escludere la perdita di proventi, si era fondata su un fatto notorio inesistente (e cioè che tale figura professionale doveva essere per forza “terza” rispetto al direttore dei lavori).

8.2. Tutte le censure sopra sintetizzate – al netto del rilievo di cui al punto 5.3. il quale non risulta, anche in termini di autosufficienza del ricorso, che sia mai stato dedotto nel gravame nè può assurgere a fatto notorio – contestano la valutazione dei giudici d’appello in ordine al mancato riconoscimento del danno futuro ed attuale per l’incapacità lavorativa specifica riportata a seguito dell’incidente.

8.3. In ordine ai danni futuri il ricorrente assume che la Corte non avrebbe applicato il principio di legittimità secondo cui “il danno patrimoniale da riduzione della capacità lavorativa specifica, derivante da lesioni personali, deve essere valutato, in quanto danno futuro, su base prognostica anche a mezzo di presunzioni semplici, salva la determinazione equitativa, in assenza di prova certa, del suo ammontare” (cfr. Cass. 20003/2014 richiamata), e lamenta che la Corte avrebbe deciso acriticamente, senza far ricorso alle presunzioni ed all’equità.

8.4. Si osserva, tuttavia, che il principio sopra richiamato, pur confermato nelle premesse, risulta sviluppato, in ordine al quantum, secondo il rigoroso e condivisibile approdo interpretativo in relazione al quale “il danno patrimoniale futuro, derivante da lesioni personali, va valutato su base prognostica ed il danneggiato può avvalersi anche di presunzioni semplici, sicchè, provata la riduzione della capacità di lavoro specifica, se essa non rientra tra i postumi permanenti di piccola entità, è possibile presumere, salvo prova contraria, che anche la capacità di guadagno risulti ridotta nella sua proiezione futura – non necessariamente in modo proporzionale – qualora la vittima già svolga un’attività lavorativa. Tale presunzione, peraltro, copre solo l'”an” dell’esistenza del danno, mentre, ai fini della sua quantificazione, è onere del danneggiato dimostrare la contrazione dei suoi redditi dopo il sinistro, non potendo il giudice, in mancanza, esercitare il potere di cui all’art. 1226 c.c., perchè esso riguarda solo la liquidazione del danno che non possa essere provato nel suo preciso ammontare, situazione che, di norma, non ricorre quando la vittima continui a lavorare e produrre reddito e, dunque, può dimostrare di quanto quest’ultimo sia diminuito” (cfr. Cass. 15737/2018).

A tale principio questo Collegio intende dare seguito.

8.5. E, tanto premesso, tutte le critiche prospettate si appuntano sulla valutazione delle prove espressa nella motivazione della sentenza impugnata e denunciano inammissibili questioni di fatto sulle quali la Corte territoriale ha già compiutamente argomentato, condividendo la circostanziata analisi del Tribunale, relativa, anche, alla documentazione prodotta (cfr. pagg. 15,16 e 17 dell’a sentenza impugnata): e, al riguardo, va precisato, in ordine all’ultima censura riportata (riferita al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), concernente il diminuito reddito in relazione all’attività di coordinamento della sicurezza dei cantieri, che il fatto di cui si contesta l’omesso esame non risulta decisivo in relazione alla complessiva valutazione delle prove, espressa attraverso le numerose ed ulteriori argomentazioni sviluppate dalla Corte territoriale che ha fatto corretta applicazione di tutti i principi sopra richiamati.

9. In conclusione, il ricorso principale deve dichiararsi inammissibile.

10. Il ricorso incidentale condizionato – con il quale i controcorrenti deducono, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti, concernente l’omessa pronuncia della Corte d’Appello in ordine alla compiuta prescrizione, ex art. 2967 c.c., del diritto al risarcimento del danno domandato da N.M. – deve ritenersi logicamente assorbito.

11. La complessità della controversia e la gravità del danno riportato dalla vittima dell’incidente in tutte le sue implicazioni configurano i presupposti per la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13. comma 1 bis.

PQM

La Corte,

dichiara inammissibile il ricorso principale ed assorbito quello incidentale.

Spese del giudizio di legittimità compensate.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 8 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2019

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