Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18054 del 04/08/2010

Cassazione civile sez. un., 04/08/2010, (ud. 15/06/2010, dep. 04/08/2010), n.18054

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAPA Enrico – Primo Presidente f.f. –

Dott. PREDEN Roberto – Presidente di sezione –

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente di sezione –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. SALME’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – rel. Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.G. ((OMISSIS)), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA EMILIO ALBERTARIO 21, presso lo studio dell’avvocato DAVOLI

VINCENZO, che lo rappresenta e difende, per delega a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE, MINISTERO DELLA

GIUSTIZIA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 9/2010 del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA

MAGISTRATURA, depositata il 20/01/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/06/2010 dal Consigliere Dott. SAVERIO TOFFOLI;

udito l’Avvocato Vincenzo DAVOLI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata il 20 gennaio 2010, a seguito dell’udienza del 4 dicembre 2009, la Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura dichiarava la responsabilità del Dott. G. G., giudice presso il Tribunale di Cosenza, per l’illecito disciplinare di cui era stato incolpato, in riferimento al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 4, comma 1, lett. d), per aver posto in essere un comportamento, idoneo a ledere la sua immagine di magistrato e integrante il delitto di cui all’art 343 c.p., consistito nell’avere,, il 24 gennaio 2008, durante la celebrazione di un’udienza preliminare a suo carico presso il Tribunale di Salerno, rivolgendosi al giudicante con tono irato ed agitato, pronunciato la seguente espressione di sfida: “si assuma le sue responsabilità”, contemporaneamente lanciando sul banco del magistrato un telefono cellulare, e infliggeva all’incolpato la sanzione disciplinare dell’ammonimento.

Il Consiglio superiore in motivazione richiamava le prove assunte durante la fase istruttoria, assumendo che le stesse erano state dichiarate utilizzabili, e in particolare la deposizione della Dott. B., svolgente le funzioni giudicanti nell’udienza in questione, la quale aveva confermato che il telefono cellulare era stato lanciato sulla scrivania del giudicante a conclusione di un’udienza burrascosa, nella quale l’imputato aveva dovuto essere invitato alla calma, e specificamente a seguito del mancato accoglimento della richiesta dell’imputato stesso di rinvio per l’indisposizione del suo difensore calabrese. Il Consiglio ricordava anche la richiesta di archiviazione formulata nel giudizio penale, conclusosi in senso conforme, richiesta con cui era stato dato credito alla B. e in cui la esclusione del reato di oltraggio era motivata con il rilievo che dal fatto non poteva chiaramente desumersi l’intenzione di offendere il giudice e di non riconoscerne l’autorevolezza.

Il Consiglio prendeva atto dell’archiviazione del procedimento penale e riteneva di affermare la responsabilità disciplinare del G. per il comportamento dallo stesso tenuto, ritenuto indubbiamente lesivo dell’immagine del magistrato. Nè doveva comunque trascurarsi il comportamento inurbano tenuto dal G. durante tutta l’udienza, che aveva costretto la giudicante a richiamarlo più volte e alla fine a sospendere l’udienza. Il comportamento doveva essere giudicato autonomamente a prescindere dal giudicato penale (che, peraltro, nell’escludere la sussistenza del reato aveva ritenuto il comportamento del G. lesivo dell’immagine del magistrato). Al riguardo rilevavano non solo il gesto finale del lancio del telefonino, ma anche le intemperanze che avevano caratterizzato la sua condotta durante tutte l’udienza, nonchè la fase finale di sfida “Lei si assuma le sue responsabilità”. Escludere l’illiceità disciplinare significherebbe tradire lo spirito della legge disciplinare, che all’art. 1 prevede che il magistrato deve esercitare le sue funzioni con correttezza, riserbo ed equilibrio, attributi che devono accompagnare il magistrato in qualunque momento della vita (semel index semper index).

La sanzione veniva determinata in quella dell’ammonimento, tenendo conto della situazione processuale in cui il G. si era trovato, stante l’assenza del suo difensore di fiducia e il timore che le sue ragioni di conseguenza non venissero tutelate adeguatamente.

Il G. ricorre per cassazione con quattro motivi. Ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso deduce violazione, falsa ed errata applicazione del D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, artt. 1 e 4, lett. d), e dell’art. 343 c.p.; mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione della sentenza (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e)). Il ricorrente critica la decisione impugnata per essere pervenuta all’affermazione di responsabilità non già perchè la condotta ascritta all’incolpato integrava il reato di cui all’art. 343 c.p. (in relazione al quale era stata disposta l’archiviazione dal giudice per le indagini preliminari di Napoli), quanto perchè il fatto era da ritenere comunque in contrasto con il generale dovere di correttezza, riserbo ed equilibrio imposto al magistrato dal D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 1. Ciò in contrasto sia con questa stessa norma, che riferisce tali doveri al solo esercizio delle funzioni e non ai fatti commessi al di fuori di essi, sia con l’art. 4, lett. d), che fa riferimento a fatti costituenti reato (oltre che idonei a ledere l’immagine del magistrato), mentre una qualificazione in tal senso non era stata affatto compiuta dalla sentenza impugnata.

In tal modo l’incolpato è stato ritenuto responsabile di un illecito non previsto dal D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, in contrasto con il principio di tipicità su cui lo stesso si fonda.

Il secondo motivo deduce violazione ed erronea applicazione dell’art. 521 c.p.p., in relazione al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 18, comma 4 (art. 606 c.p.p., lett. b)). Il ricorrente rileva che la sentenza impugnata è pervenuta all’affermazione di responsabilità in relazione a fatti diversi da quelli contestati (e a tutta evidenza non integranti alcuna fattispecie di reato), quali ” tutte le intemperanze tenute durante l’udienza e che avevano provocato il richiamo da parte del magistrato” così violando il principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato di cui all’art. 521 c.p.p..

Il terzo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 42 c.p., commi 2 e 3, relazione al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 4, lett. d), e all’art. 27 Cost.; mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione della sentenza (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e)). Il ricorrente rileva che la sentenza impugnata è pervenuta all’affermazione di responsabilità omettendo di motivare in ordine all’elemento soggettivo, in particolare del reato di cui all’art. 343 c.p., consistente nel dolo dell’oltraggio al magistrato in udienza.

Il quarto motivo, deducendo violazione o erronea applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., degli artt. 511 e 526 c.p.p., del D.Lgs. n. 109 del 2006 art. 18, comma 3, lett. b), e comma 4 (art. 606 c.p.p., lett. b)), sostiene che la sentenza impugnata ha violato tali norme in quanto: a) nessuna prova è stata assunta nel corso del dibattimento, in quanto l’unica richiesta di prova testimoniale è stata avanzata dal prevenuto e tale richiesta non è stata accolta;

b) l’imputato non ha espresso (nè gli è stato richiesto di prestare) il consenso all’acquisizione al fascicolo per il dibattimento delle prove assunte dal P.G. nel corso delle indagini preliminari; c) non è stata disposta l’acquisizione al fascicolo per il dibattimento di alcun atto; d) la Sezione disciplinare non ha disposto la lettura di alcuna prova acquisita nel corso delle indagini preliminari dal Procuratore Generale; e) la stessa Sezione non ha indicato gli atti utilizzabili ai fini della decisione.

Riguardo a tale ultimo punto, il ricorrente rileva l’erroneità sia del verbale di udienza, nella parte in cui si attesta che “il Presidente dichiara chiusa l’istruttoria dibattimentale ed utilizzabili gli atti”, sia della sentenza nella parte in cui afferma che “la difesa ha chiesto l’ammissione del teste avv. F. che la Sezione ha respinto dichiarando utilizzabili gli atti istruttori”, in quanto “dalla fonoregistrazione integrale del dibattimento (doc. n. 6) non risultava, in alcun modo e sotto nessuna forma, la dichiarazione di utilizzabilità degli atti”. Precisa di aver quindi chiesto la correzione dell’errore recato nel verbale d’udienza e del corrispondente errore riportato nella sentenza e che il Presidente della Sezione disciplinare del C.S.M., con ordinanza del 5 febbraio 2010 (doc. n. 5), pur dando atto, in motivazione, che dalla fonoregistrazione integrale del dibattimento non risultava la dichiarazione di utilizzabilità degli atti, ma solo che il Presidente, dopo avere dato lettura dell’ordinanza di rigetto della richiesta istruttoria avanzata dalla difesa, aveva dichiarato:

“quindi procediamo oltre. E a questo punto diamo la parola al Procuratore Generale”, aveva rigettato l’istanza di correzione, con la precisazione che “la dichiarazione di chiusura dell’istruttoria e di utilizzabilità degli atti è contenuta implicitamente nell’affermazione quindi procediamo oltre. E a questo punto diamo la parola al Procuratore Generale”. Il ricorrente critica tale pronuncia, rilevando che la stessa potrebbe avere qualche fondamento con riferimento alla dichiarazione di chiusura dell’istruttoria ma sicuramente non ha senso con riferimento alla dichiarazione di utilizzabilità degli atti.

In via subordinata il ricorrente ove la Suprema Corte “ritenesse che il combinato disposto di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 18, commi 3 e 4, legittimi la punizione in sede disciplinare (e tanto più quando si tratti di illecito che presuppone l’accertamento di un fatto penalmente rilevante) sulla base di atti compiuti unilateralmente dal Procuratore Generale e non acquisiti legittimamente al dibattimento disciplinare (sull’accordo delle parti ovvero per oggettiva irripetibilità) oltre che in assenza di alcun provvedimento acquisitivo degli stessi, chiede che sia sollevata “questione di legittimità costituzionale della predetta disposizione per manifesta violazione degli artt. 24, 27 e 111 Cost.” 2. Il G. conclude chiedendo in via principale la cassazione senza rinvio della decisione impugnata, in accoglimento del primo motivo, in quanto il fatto contestato non integrando il reato previsto e punito dall’art. 343 c.p., esula dalla previsione della norma di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 4, lett. d) e, in via subordinata, l’annullamento con rinvio, in accoglimento dei residui motivi di ricorso.

In via ulteriormente subordinata chiede che la Suprema Corte sollevi questione di legittimità costituzione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 18, commi 3 e 4, per manifesta violazione degli artt. 24, 27 e 111 Cost..

4. Deve essere esaminato per primo, per il rilievo preliminare delle relative questioni, il quarto motivo.

Poichè al giudizio davanti alla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura si applicano, nei limiti della compatibilità, le norme del codice di procedura penale sul dibattimento (D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 18, comma 4), è opportuno ricordare che nel processo penale, in attuazione dei principi del processo accusatorio, in linea di massima gli atti relativi alle indagini preliminari compiute dal pubblico ministero non sono destinati a fare parte del materiale probatorio utilizzabile nel dibattimento e, ai fini della rigorosa attuazione di tale direttiva, dopo l’emissione del decreto che dispone il giudizio, il giudice dell’udienza preliminare provvede, nel contraddittorio delle parti, alla formazione del fascicolo per il dibattimento, in cui confluiscono solo gli atti non ripetibili e i verbali degli atti istruttori assunti con le garanzie del contraddittorio (art. 431 c.p.p.). L’art. 511 c.p.p., prevede la formalità della lettura degli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento o della alternativa mera indicazione degli atti utilizzabili ai fini della decisione, ma in sede giurisprudenziale è stato rilevato che, poichè tale formalità non è prevista a pena di nullità, la sua omissione non determina alcuna nullità e neanche l’inutilizzabilità degli atti, anche perchè sia l’art. 191 che l’art. 526 c.p.p. fanno riferimento al solo concetto di (legittima) acquisizione, e quindi ad un’attività che, logicamente e cronologicamente, si distingue, precedendola, da quella di lettura o di indicazione degli atti inseriti nel fascicolo del dibattimento (Cass. pen. n. 1723/1994, 7895/1996, 38306/2005).

Nel giudizio disciplinare davanti al C.S.M. il “fascicolo del procedimento”, inviato dal procuratore generale al consiglio con le sue richieste (D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 17, comma 1), nel caso in cui si proceda al dibattimento diviene evidentemente, in difetto di ulteriori disposizioni in materia, il corpo iniziale del materiale probatorio utilizzabile nel dibattimento. Quanto alla previsione, in analogia alla disciplina del dibattimento penale, di una lettura (disposta o consentita dalla Sezione disciplinare) dei vari atti acquisiti al procedimento, e in particolare delle “prove acquisite nel corso del procedimento”, risulta applicabile il criterio interpretativo cui fa riferimento la giurisprudenza di questa Corte per il processo penale, e cioè il rilievo che si tratta di una norma non dettata a pena di nullità e che non preclude l’utilizzabilità degli atti istruttori legittimamente acquisiti.

Nel quadro di tale chiarificazione interpretativa, risulta non rilevante la questione posta dal motivo relativa all’allegato contrasto tra quanto affermato nel verbale di udienza e nella sentenza in merito ad una dichiarazione del presidente di utilizzabilità degli atti e quanto in realtà dichiarato in udienza dal presidente, come risultante dalla fonoregistrazione integrale.

Tenuto presente infine che con il ricorso per cassazione non sono state proposte censure specifiche relativamente al non espletamento di attività istruttoria su richiesta del medesimo ricorrente, e anzi si precisa che non si era ritenuto il suo interesse di chiedere nel dibattimento l’esame dei testi di accusa, deve rilevarsi l’infondatezza de) motivo. La circostanza, poi, della mancata utilizzazione della facoltà di chiedere la rinnovazione “dibattimentale” degli atti istruttori già compiuti, concorre con precedenti chiarimenti interpretativi ad evidenziare la manifesta infondatezza, o quanto meno l’irrilevanza con riferimento alla specie, delle proposte questioni di legittimità costituzionale sul tema del rispetto del diritto di difesa.

5. I primi tre motivi vengono esaminati congiuntamente in ragione della loro connessione.

Al riguardo ritiene la Corte che nella sentenza della Sezione disciplinare, nonostante alcune incertezze o imprecisioni nelle qualificazioni giuridiche formulate nel valutare l’incidenza del provvedimento di archiviazione intervenuto in sede penale, che certamente non ha effetti di giudicato e preclusivi nel giudizio disciplinare (cfr. D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 20, commi 1 e 2), si rinvenga una motivazione circa gli essenziali elementi di fatto (correlata peraltro alla corretta affermazione – salvo l’improprio utilizzo del termine “giudicato” per un esito di archiviazione – secondo cui “il comportamento va giudicato autonomamente e cioè prescindendo dal giudicato penale”), sufficiente a giustificare il dispositivo di dichiarazione di responsabilità per l’incolpazione ascritta all’attuale ricorrente e che resiste ai motivi di censura.

Ci si riferisce specificamente all’accertamento che l’episodio del lancio del telefonino sul banco del giudice dell’udienza preliminare è stato accompagnato, come peraltro precisato nel capo di incolpazione, dalla pronuncia della frase di sfida “Lei si assuma le sue responsabilità”, che risulta chiaramente idonea a offendere l’onore e il prestigio del magistrato in udienza, in quanto implicante l’affermazione che il giudice stava contravvenendo a un elemento essenziale della deontologia professionale. Rispetto a una.

contestazione di tal genere, del resto, risulta pertinente la distinzione giurisprudenziale, formulata a proposito proprio del reato di oltraggio a magistrato in udienza, tra legittimo esercizio del diritto di critica e apprezzamenti rivolti non al merito dell’atto del magistrato (o, in genere, al contesto processuale), ma alla sua persona. (Cass., sez. 6^ pen., n. 14201/2009). Nè data la natura di tal comportamento, consistente in una dichiarazione dalla portata in equivoca, era richiesta al giudice del merito una esplicita ricognizione circa l’elemento soggettivo, consistente nel dolo generico (Cass. pen. n. 2277/1984, 2285/1984; cfr. n. 5970/1985).

Il fatto che la sentenza impugnata abbia ricordato, sia pure complessivamente, anche il comportamento intemperante dell’attuale ricorrente nel precedente corso dell’udienza trova evidente e logica spiegazione nell’esigenza di considerare i fatti specificamente addebitati nel contesto in cui si sono svolti, in ragione in particolare della valutazione, richiesta dall’art. 4, lett. d), e compiuta dalla Sezione disciplinare, circa la idoneità del fatto a ledere l’immagine del magistrato.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Non essendo intervenuta costituzione in giudizio del Ministero della giustizia, non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio, tenuto presente che l’ufficio del pubblico ministero non può essere destinatario di pronunce sulle spese del giudizio nè in caso di sua soccombenza, nè quando soccombente sia uno dei suoi contraddittori (Cass. S.U. n. 5165/2004; Cass. n. 3824/2010).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 15 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2010

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