Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18053 del 21/07/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 21/07/2017, (ud. 02/03/2017, dep.21/07/2017),  n. 18053

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21350/2015 proposto da:

A.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANTONIO

BAIAMONTI, 10, presso lo studio dell’avvocato MASSIMILIANO CASADEI,

rappresentato e difeso dall’avvocato A.C.;

– ricorrente –

contro

M.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO

CESARE, 71, presso lo studio dell’avvocato ANDREA DEL VECCHIO,

rappresentato e difeso dall’avvocato MARIO CHIARINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 204/2015 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 03/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 02/03/2017 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che:

– nel 2004 l’avv. A.C. convenne dinanzi al Tribunale di Fermo M.R., chiedendone la condanna al pagamento degli onorari professionali dovutigli per l’adempimento del mandato professionale conferitogli dalla società “Cocktail Club Patrizio” di F.P. e c. s.n.c., della quale il convenuto era socio occulto;

– con sentenza 14 maggio 2008 n. 380 il Tribunale di Fermo rigettò la domanda;

– la Corte d’appello di Ancona, adita dal soccombente, con sentenza 3 febbraio 2015 n. 204 dichiarò inammissibile il gravame, perchè proposto oltre il 30 giorno dalla notifica della sentenza, effettuata personalmente all’attore, che si era difeso da sè ex art. 86 c.p.c.;

– la sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da A.C., con ricorso fondato su un motivo, ed illustrato da memoria; ha resistito con controricorso M.R.;

Considerato che:

– con l’unico motivo il ricorrente allega che la sentenza impugnata sia viziata da violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3; lamenta la violazione degli artt. 285 e 325 c.p.c., e art. 479 c.p.c., comma 2;

– nella illustrazione del motivo il ricorrente formula una tesi così riassumibile: la parte vittoriosa in primo grado aveva notificato la sentenza una prima volta in forma esecutiva presso la residenza dell’avvocato A.C.; e poi una seconda volta presso il domicilio da questi eletto ai sensi dell’art. 170 c.p.c.; sicchè solo da questa seconda notificazione si sarebbe dovuto far decorrere il termine breve per la proposizione dell’appello, termine che nella specie era stato rispettato;

– il ricorso è inammissibile per tardività: la sentenza d’appello è stata infatti notificata il 7.3.2015 (ancora una volta all’avvocato personalmente), mentre il ricorso per cassazione è stato passato per la notifica il 10.8.2015;

– va soggiunto che, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, la circostanza che la sentenza d’appello gli sia stata notificata nella sua residenza non impedisce il decorso del termine breve di cui all’art. 325 c.p.c., in virtù del principio già affermato da questa Corte, secondo cui la notificazione della sentenza eseguita personalmente alla parte che, rivestendo la qualità necessaria per esercitare l’ufficio di difensore con procura presso il giudice adito, sia stata in giudizio di persona senza il ministero di altro procuratore, è idonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione, a nulla rilevando che la notifica sia avvenuta in forma esecutiva e contestualmente al precetto a norma dell’art. 479 c.p.c. (Sez. 2, Sentenza n. 13536 del 20/06/2011);

– nella memoria depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., il ricorrente ha dedotto che la notifica della sentenza d’appello in forma esecutiva presso la sua residenza fu inidonea a far decorrere il termine breve di cui all’art. 325 c.p.c.: sia a causa della sopravvenuta modifica dell’art. 479 c.p.c.; sia perchè l’art. 170 c.p.c., “vieterebbe” la notifica della sentenza alla parte personalmente; sia in virtù di quanto statuito dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 12898 del 2011;

– tali argomentazioni non appaiono tuttavia persuasive;

– quanto alla prima, v’è da osservare che il presente giudizio è iniziato in primo grado nel 2004, mentre l’art. 479 c.p.c., è stato modificato con decorrenza dal 1 marzo 2006; e la modifica, ai sensi del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, art. 2, comma 3 sexies, (come introdotto dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 16, e successivamente modificato dal D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, art. 39quater, comma 1, conv., con modificazioni, dalla L. 23 febbraio 2006, n. 51), “si applica anche alle procedure esecutive pendenti” alla data del 1.3.2006; sicchè, avendo il presente giudizio ad oggetto una ordinaria domanda di cognizione, la novella è inapplicabile;

– quanto al secondo rilievo, basterà ricordare che l’art. 170 c.p.c., comma 3, stabilisce che “le notificazioni e le comunicazioni alla parte che si è costituita personalmente si fanno nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto”; dal che si desume che la notifica nella residenza è alternativa a quella nel domicilio;

– quanto al terzo rilievo, infine, non sembra rilevante nel caso di specie il decisum di Sez. U, Sentenza n. 12898 del 13/06/2011, giacchè quella decisione si fondava sull’assunto della diversità tra le persone della parte e del suo procuratore domiciliatario; ed è inapplicabile nell’ipotesi di coincidenza di tali persone;

– le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo;

– il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

PQM

 

(-) rigetta il ricorso;

(-) condanna A.C. alla rifusione in favore di M.R. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 2.300, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di A.C. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte di Cassazione, il 2 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2017

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