Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18052 del 28/08/2020

Cassazione civile sez. II, 28/08/2020, (ud. 27/02/2020, dep. 28/08/2020), n.18052

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19704-2019 proposto da:

I.E., rappresentato e difeso dall’avv.to STEFANIA RUSSO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso. AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BRESCIA, depositato il

28/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/02/2020 dal Consigliere Dott. VARRONE LUCA.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. Il Tribunale di Brescia, con decreto pubblicato il 28 maggio 2019, respingeva il ricorso proposto da I.E., cittadino della Nigeria, avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva, a sua volta, rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria);

2. Il Tribunale respingeva la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato atteso che gli elementi posti a base della richiesta non integravano neppure in astratto i presupposti per carenza dei motivi di persecuzione sulla base delle stesse dichiarazioni del richiedente. Peraltro, le stesse non potevano essere ritenute attendibili attesa la genericità del racconto senza alcun dettaglio circa i motivi degli scontri tra i due villaggi confinanti e, in ogni caso, secondo il suo stesso racconto, il richiedente si era trasferito per le cure presso il villaggio materno, dedicandosi anche all’attività dell’agricoltura.

Parimenti non erano integrati i presupposti per l’accoglimento della domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14.

Dalla stessa narrazione fatta dal richiedente, infatti, emergeva l’infondatezza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria il D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), pur estensivamente interpretate. Il motivo dell’espatrio, infatti, era stato ricondotto dallo stesso ricorrente al mero pericolo di subire nuovi attacchi da parte degli abitanti del villaggio confinante. Da un lato dunque non era stata alcuna specifica minaccia di morte dall’altro non erano stati dedotti elementi dai quali desumere che tale minaccia avesse una qualche concretezza.

Non sussistevano neanche i presupposti di cui al citato D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). Il richiedente non aveva allegato che in caso di rimpatrio fosse a rischio la sua vita o la sua incolumità personale a causa di una situazione di generare indiscriminata violenza derivante da un conflitto armato.

Inoltre, sulla base delle fonti internazionali lo Stato federale di Edo Nigeria era una zona che sulla base dei report più accreditati non poteva ritenersi soggetta a una violenza generalizzata.

Doveva, infine, respingersi la domanda di rilascio di un permesso motivi umanitari non emergendo alcuna situazione di vulnerabilità. Infatti, anche a prescindere dall’inattendibilità del ricorrente, doveva osservarsi che mancavano i presupposti per il riconoscimento di tale protezione, tanto quelli soggettivi che quelli oggettivi. Il richiedente godeva di buona salute e aveva una capacità lavorativa, La volontà di inserimento nel contesto sociale del paese ospitante non poteva essere elemento da solo idoneo a giustificare il diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, non delineando di per sè stesso una situazione di non vulnerabilità o la necessità di tutela dei diritti umani fondamentali. La situazione dello Stato di provenienza del richiedente non presentava criticità tali sotto il profilo del rispetto dei diritti fondamentali della persona da determinare una vera e propria emergenza umanitaria generalizzata.

3. I.E. ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di due motivi di ricorso.

4. Il Ministero dell’interno si è costituito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

La censura attiene alla violazione dei criteri previsti dal citato art. 3 per la valutazione del racconto del richiedente nel caso in cui lo stesso non sia suffragato da prove. Le dichiarazioni del ricorrente, infatti, sarebbero coerenti, lineari e assolutamente plausibili alla luce delle informazioni relative al luogo di provenienza, dove le confraternite detengono un vero e proprio potere sul territorio avendo tra le proprie file anche esponenti della politica e delle forze dell’ordine, tra le quali vi è un alto tasso di corruzione.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3.

La censura attiene alla valutazione circa la situazione generale della Nigeria senza l’acquisizione di informazioni precise ed aggiornate, in quanto la situazione sociopolitica della Nigeria sarebbe degenerata negli ultimi mesi, con una recrudescenza della violenza, sia da parte di gruppi privati, che delle forze dell’ordine. Il Tribunale avrebbe, dunque, sottovalutato i pericoli legati al rientro nel paese di origine senza peraltro accedere all’esercizio del potere istruttorio ufficioso il D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 8.

3. Il ricorso è inammissibile.

La procura spillata in calce al ricorso, infatti, non contiene alcun riferimento al provvedimento del Tribunale oggetto del ricorso per cassazione ma fa riferimento genericamente “all’instaurando procedimento volto all’ottenimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria ovvero della protezione umanitaria”, “ad ogni tipo di impugnazione ed istanza disciplinate dalle leggi vigenti in materia d’immigrazione” e ad “ogni atto propedeutico all’ottenimento del permesso di soggiorno compreso l’accesso agli atti amministrativi”.

Il difensore, dunque, risulta privo di idonea procura speciale ex art. 365 c.p.c., in quanto il mandato contenuto in foglio separato spillato di seguito all’atto, non solo non contiene alcun riferimento alla sentenza impugnata ma si riferisce ad una procura conferita genericamente con un tenore incompatibile con l’esigenza di dimostrare la specialità della procura medesima.

Questa Corte, infatti, ha più volte ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione allorquando la procura, apposta su foglio separato e materialmente congiunto al ricorso ex art. 83 c.p.c., comma 2, contenga espressioni incompatibili con la proposizione dell’impugnazione e con la specialità richiesta ed anzi dirette ad attività proprie di altri giudizi e fasi processuali (ex plurimis Sez. L, Ord. n. 28146 del 2018, Cass. n. 18257 del 2017; Cass. n. 6070 2005);

3.1 Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile.

4. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

5. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2100 più spese prenotate a debito;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 2 Sezione civile, il 27 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 agosto 2020

 

 

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