Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18050 del 05/07/2019

Cassazione civile sez. III, 05/07/2019, (ud. 05/12/2018, dep. 05/07/2019), n.18050

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 16435/2012 R.G. proposto da:

T.Z., rappresentato e difeso dall’Avv. Maurizio Pertile, con

domicilio eletto in Roma, viale delle Medaglie d’Oro, n. 84/86,

presso lo studio dell’Avv. Pietrina Soprano;

– ricorrente –

contro

Helvetia Compagnia Svizzera d’Assicurazioni s.p.a., in persona del

legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli

Avv.ti Massimo Tedeschi e Pietro Barolo, con domicilio eletto presso

lo studio di quest’ultimo in Roma, viale dell’Università, n. 27;

– controricorrente –

I.N.P.S. – Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, in persona

del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli

Avv.ti Vincenzo Triolo, Mauro Ricci, e Clementina Pulli, con

domicilio eletto in Roma, via della Frezza, n. 17, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto stesso;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

M.F.;

– intimata –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia pubblicata il 13

maggio 2011.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 5 dicembre 2018

dal Consigliere Dott. Cosimo D’Arrigo;

uditi gli Avv.ti Maurizio Pertile, Massimo Tedeschi e Clementina

Pulli;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Dott. PEPE Alessandro, che ha concluso chiedendo il rigetto

del ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale

condizionato.

Fatto

FATTI DI CAUSA

T.Z. conveniva dinanzi al Tribunale di Treviso M.F. e la Helvetia Assicurazioni s.p.a. esponendo che, in data 26 luglio 1997, mentre a bordo del suo ciclomotore percorreva la Strada statale 167, veniva investito dalla vettura Fiat Punto di proprietà della M. e dalla medesima condotta, che aveva omesso di concedergli la dovuta precedenza. Ritenendo l’esclusiva responsabilità di costei, l’attore chiedeva la condanna dei convenuti in solido al risarcimento dei danni subiti.

La Helvetia Assicurazioni s.p.a. si costituiva in giudizio, chiedendo il rigetto della domanda. La M. restava invece contumace.

Con atto depositato il 3 dicembre 1999, interveniva volontariamente in causa l’I.N.P.S. deducendo di aver corrisposto all’attore la somma di lire 21.904.963 per indennità di malattia e pensione di invalidità, dal 26 luglio 1997 al 15 luglio 1998, di cui chiedeva il rimborso.

Il Tribunale di Treviso, accertata l’esclusiva responsabilità della M. nella causazione del sinistro, condannava i convenuti in solido al pagamento, in favore del T., di Euro 404.664,59, detratta la somma (Euro 32.151,98) riconosciuta a titolo di provvisionale, maggiorata degli interessi di legge. Condannava altresì i convenuti in solido al pagamento, in favore dell’I.N.P.S., dell’importo di Euro 48.647,62, con rivalutazione monetaria e interessi, dalla data di ogni esborso al saldo effettivo.

La Helvetia Assicurazioni s.p.a. impugnava la sentenza.

La Corte d’appello, in parziale riforma, determinava il danno patrimoniale da lucro cessante del T. in Euro 55.777,32, oltre accessori, e disponeva che dall’importo sopra determinato fossero detratte le somme corrisposte dall’I.N.P.S., per complessivi Euro 48.547,63, attualizzate al maggio 2004.

Avverso tale decisione il T. ha proposto ricorso per cassazione con un unico motivo, illustrato da successiva memoria.

Hanno resistito, con separati controricorsi, la Helvetia Assicurazioni s.p.a. e l’I.N.P.S.; quest’ultimo ha proposto anche ricorso incidentale condizionato. La M., invece, non ha svolto attività difensiva.

Questa Corte ha rinviato la causa a nuovo ruolo, in attesa che le Sezioni Unite – cui era stata sottoposta questione di diritto analoga a quella illustrata con il primo motivo del ricorso principale – si pronunciassero sulla problematica dei limiti dell’istituto della compensatio lucri cum damno.

Dopo la pubblicazione della sentenza delle Sezioni Unite n. 12564 del 22 maggio 2018, la causa è stata rimessa sul ruolo d’udienza discussa e trattenuta in decisione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente principale deduce, quale unico motivo di ricorso, la violazione o falsa applicazione degli artt. 1223,1226 e 2056 c.c..

Nella sostanza, egli si duole della circostanza che la Corte d’appello ha detratto dal danno patrimoniale da lucro cessante, al cui pagamento sono stati condannati i convenuti, la somma che gli è stata corrisposta dall’I.N.P.S. a titolo di pensione di invalidità e indennità di malattia. Si tratterebbe, infatti, di poste risarcitorie differenti, aventi finalità diverse, non compensabili con il danno patrimoniale accertato dal Tribunale e quindi cumulabili con lo stesso. Non ricorrerebbero, dunque, le condizioni per la compesatio lucri cum damno.

Il motivo è infondato.

2. La questione di diritto sottoposta all’attenzione del Collegio è se, nella liquidazione del danno patrimoniale da lucro cessante nella specie derivante dalla perdita della capacità lavorativa debbano portarsi a deconto gli indennizzi erogati al danneggiato dall’ente previdenziale in ragione del sinistro.

Si tratta di una questione giuridica oggettivamente dibattuta, tradizionalmente indicata come “compensatio lucri cum damno”, in ordine alla quale anche la Corte di cassazione è approdata a soluzioni contrastanti, parte delle quali richiamate in ricorso.

Controversi, in particolare, sono la portata e l’ambito di operatività della figura soprattutto là dove il vantaggio acquisito al patrimonio del danneggiato in connessione con il fatto illecito derivi da un titolo diverso e vi siano due soggetti obbligati in base a fonti differenti. E’ la situazione che si verifica quando, accanto al rapporto tra il danneggiato e chi è chiamato a rispondere civilmente dell’evento dannoso, si profila un rapporto tra lo stesso danneggiato ed un soggetto diverso, a sua volta obbligato, per legge o per contratto, ad erogare al primo un beneficio collaterale (ad es., l’assicurazione privata contro i danni, le prestazioni di assistenza sociale a tutela contro gli infortuni e le malattie professionali, gli indennizzi o speciali elargizioni che lo Stato corrisponde, per ragioni di solidarietà, a coloro che subiscono un danno in occasione di disastri o tragedie e alle vittime del terrorismo o della criminalità organizzata).

3. Il contrasto è stato finalmente risolto con la menzionata sentenza delle Sezioni Unite n. 12564 del 22 maggio 2018.

In particolare, è stato affermato che non corrisponderebbe al principio di razionalità-equità, e non sarebbe coerente con la poliedricità delle funzioni della responsabilità civile, ritenere che la sottrazione del vantaggio sia consentita in tutte quelle vicende in cui l’elisione del danno con il beneficio pubblico o privato corrisposto al danneggiato a seguito del fatto illecito finisca per avvantaggiare esclusivamente il danneggiante, apparendo preferibile in tali evenienze favorire chi senza colpa ha subito l’illecito rispetto a chi colpevolmente lo ha causato.

Pertanto, secondo le Sezioni Unite è dirimente la circostanza che l’ordinamento preveda un meccanismo di surroga o di rivalsa a favore del “terzo”, nei confronti del danneggiante. Solo a queste condizioni, infatti, si evita che quanto erogato dal “terzo” al danneggiato si traduca in un vantaggio inaspettato per l’autore dell’illecito: la facoltà di surroga o di rivalsa assicura che il danneggiante, esposto all’azione di “recupero” da parte del terzo da cui il danneggiato ha ricevuto il beneficio collaterale, non potrà avvantaggiarsi della detrazione della posta positiva dal risarcimento.

In sostanza, l’elemento decisivo è costituito dalla “indifferenza del risarcimento”, ossia dalla circostanza che, quale che sia il soggetto che corrisponderà il risarcimento al danneggiato, a sopportarne il costo finale sia comunque l’autore dell’illecito.

Se così non fosse, se cioè il responsabile dell’illecito, attraverso il non-cumulo, potesse vedere alleggerita la propria posizione debitoria per il solo fatto che il danneggiato ha ricevuto, in connessione con l’evento dannoso, una provvidenza indennitaria grazie all’intervento del terzo, si finirebbe con l’avvantaggiare, senza merito specifico, chi si è comportato in modo negligente.

4. Sulla base di tali premesse, poichè il caso sottoposto dall’ordinanza remittente alle Sezioni Unite riguardava la possibilità di applicare la compensatio lucri cum damno fra il risarcimento del danno patrimoniale patito dal familiare di persona deceduta per colpa altrui e la pensione di reversibilità accordata dall’I.N.P.S. al familiare superstite in conseguenza della morte del congiunto, le Sezioni Unite hanno concluso che, trattandosi di una forma di tutela previdenziale connessa ad un peculiare fondamento solidaristico e non geneticamente connotata dalla finalità di rimuovere le conseguenze prodottesi nel patrimonio del danneggiato per effetto dell’illecito del terzo (Corte Cost., sentenza n. 286 del 1987), la predetta “compensazione” non può aver luogo (Sez. U, Sentenza n. 12564 del 22/05/2018, Rv. 648647).

Nell’ambito del medesimo percorso argomentativo, le Sezioni Unite hanno altresì chiarito che, nel caso di assicurazione sulla vita, l’indennità si cumula con il risarcimento, perchè si è di fronte ad una forma di risparmio posta in essere dall’assicurato sopportando l’onere dei premi, e l’indennità, vera e propria contropartita di quei premi, svolge una funzione diversa da quella risarcitoria ed è corrisposta per un interesse che non è quello di beneficiare il danneggiante.

Diversamente, continuano le Sezioni Unite, nel caso in cui un impiegato resti assente dal lavoro a causa di un infortunio, continuando a percepire la retribuzione, egli non ha diritto di chiedere al danneggiante anche il danno da incapacità temporanea, poichè in tale evenienza non si è prodotto un effettivo danno patrimoniale e pertanto non gli compete alcun risarcimento a questo titolo, a meno che il danneggiato non deduca di aver dovuto rinunciare a straordinari o trasferte o di avere subito pregiudizi nella carriera per la forzata assenza dal lavoro.

Dunque, le Sezioni Unite – in fin dei conti – per delimitare l’ambito di applicazione della compensatio lucri cum damno non fanno riferimento solamente al criterio dell’esistenza di un regime legale di surroga o rivalsa, che impedisca al danneggiante di avvantaggiarsi dell’indennizzo che il terzo ha corrisposto al danneggiato, ma anche quello della non omogeneità delle funzioni delle poste attive riscosse dal danneggiante.

5. Il caso che viene in evidenza nel ricorso in esame pone a confronto il danno patrimoniale da lucro cessante conseguente alla perdita della capacità lavorativa, da un lato, e l’indennità di malattia e la pensione di invalidità, dall’altro.

L’ipotesi è diversa da quella della pensione di reversibilità, che ha costituito l’oggetto specifico della decisione delle Sezioni Unite. La pensione di reversibilità – come s’è detto – costituisce una forma di tutela previdenziale volta a garantire la continuità del sostentamento ai superstiti (Corte Cost., sentenza n. 286 del 1987) e quindi non ha natura propriamente risarcitoria. La cumulabilità con il risarcimento del danno patrimoniale da perdita di congiunto dipende dalla eterogeneità delle finalità delle due voci (risarcimento del danno patrimoniale e pensione di reversibilità) e dall’inesistenza di sistemi di “recupero”, da parte dell’ente previdenziale, nei confronti del danneggiante di quanto verrà corrisposto al superstite.

L’indennità di malattia e la pensione di invalidità corrisposte al lavoratore che, per effetto dell’infortunio cagionatogli da un terzo, abbia ridotto o perso la propria capacità lavorativa in modo temporaneo o permanente sono, invece, direttamente compensative del danno patrimoniale per lucro cessante (perdita del reddito). Le due diverse prestazioni (il risarcimento del danno e le indennità previdenziali) assolvono, questa volta, ad una funzione omogenea, essendo entrambe dirette a compensare il danneggiato per la perdita del medesimo bene della vita (la capacità di produrre reddito).

Inoltre, l’ordinamento prevede la possibilità per l’ente previdenziale di recuperare presso il danneggiante quanto corrisposto al danneggiato, ai sensi del D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209, art. 148 (Codice delle assicurazioni) e, in precedenza, della L. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 28, nonchè della L. 12 giugno 1984, n. 222, art. 14. Si tratta di ipotesi specifiche di surroga previste dalla legge in favore dell’istituto di previdenza, riconducibili allo schema generale di cui agli artt. 1203 e 1916 c.c..

Sussiste, quindi, quella particolare condizione di “indifferenza del risarcimento”, in ragione della quale, se, da un lato, il danneggiato non può duplicare il risarcimento del danno del medesimo bene della vita, dall’altro il danneggiante non si avvantaggia dell’intervento dell’ente previdenziale, restando esposto alle azioni di recupero che potranno essere intentate da questo nei suoi confronti.

6. Va dunque affermato il seguente principio di diritto:

“In caso di sinistro che comporti la perdita totale o parziale, temporanea o definitiva, della capacità lavorativa, il danneggiato non può cumulare la prestazione previdenziale che abbia eventualmente percepito con l’integrale risarcimento del danno patrimoniale, essendo entrambe le poste finalizzate al ristoro della lesione del medesimo bene della vita (la capacità di produrre reddito). Pertanto, nel caso in cui l’ente previdenziale abbia corrisposto a tale titolo un’indennità al danneggiato, di quest’importo si dovrà tenere conto nella liquidazione del danno il cui risarcimento è posto a carico del danneggiante, fermo restando che quest’ultimo resta esposto alle azioni di recupero che potranno essere intentate contro di lui dall’ente previdenziale ai sensi ai sensi del D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209, art. 148 (Codice delle assicurazioni) e della L. 12 giugno 1984, n. 222, art. 14”.

In applicazione di tale principio, il ricorso principale deve essere rigettato.

7. Il ricorso incidentale proposto dall’I.N.P.S. è formulato espressamente in via condizionata e quindi è assorbito dal rigetto del ricorso principale.

8. In conclusione, il ricorso principale deve essere rigettato il ricorso incidentale condizionato deve essere dichiarato assorbito. Poichè la decisione del giudizio dipende da una questione controversa sulla quale la giurisprudenza si è consolidata, anche tramite la pronuncia delle Sezioni Unite sopra indicata, solo successivamente alla presentazione del ricorso, si ravvisano giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato e compensa le spese processuali fra le parti.

Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2019

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