Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18049 del 21/07/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 21/07/2017, (ud. 24/01/2017, dep.21/07/2017),  n. 18049

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12106-2015 proposto da:

F.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PONTEDERA 6,

presso lo studio dell’avvocato LUCIANA D’ANDREA, rappresentato e

difeso dall’avvocato Carmine Biasiello;

– ricorrente –

contro

MILANO ASSICURAZIONI S.P.A. – già Nuova Maa Assicurazioni, ora

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI S.P.A., elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA L. BISSOLATI 76, presso lo studio dell’avvocato TOMMASO SPINELLI

GIORDANO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

SIMEONE S.R.L., T.L.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2216/2014 della CORTE D’APPELLO di RONIA,

depositata il 03/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 24/01/2017 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO

ROSSETTI.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

– F.R. convenne dinanzi al Tribunale di Cassino T.L., la società Simeone s.r.l. e la società Nuova MAA Assicurazioni s.p.a. (che in seguitò muterà ragione sociale in UnipolSai Assicurazioni s.p.a.; d’ora innanzi, per brevità, “la UnipolSai”); chiedendone la condanna in solido al risarcimento dei danni patiti in conseguenza d’un sinistro stradale;

– la Corte d’appello di Roma, riformando la sentenza di primo grado, ha incrementato il quantum del danno non patrimoniale dovuto alla vittima, ma ha rigettato il gravame nella parte in cui mirava ad ottenere una più cospicua stima del danno patrimoniale consistito nella perdita dei redditi sperati, nella sua qualità di caporalmaggiore del Corpo degli Alpini, e segnatamente quelli ricavabili dalla partecipazione del suo reparto a missioni militari all’estero;

– la sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da Rinaldo F., con ricorso fondato su tre motivi;

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Che:

– col primo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1223 e 2056 c.c., nonchè l’omesso esame d’un fatto decisivo;

– deduce, al riguardo, che la sentenza d’appello sarebbe erronea nella parte in cui la Corte d’appello, male valutando le prove testimoniali, avrebbe ritenuto implausibile che l’attore, se fosse rimasto sano, avrebbe continuato a partecipare a missioni militari all’estero fino all’età di (OMISSIS) anni;

– tale motivo è inammissibile, in quanto da un lato censura un tipico apprezzamento di fatto (quale sarebbe stato il futuro sviluppo della carriera della vittima), e dall’altro sollecita indirettamente una nuova e diversa valutazione delle prove testimoniali;

– col secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1223 e 2056 c.c.; artt. 112 e 115 c.p.c.;

– deduce, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe errato nel rigettare la sua domanda di risarcimento del danno da perdita delle chances di incrementi patrimoniali futuri;

– tale motivo è manifestamente infondato, dal momento che qualsiasi danno da perdita di chance è alternativo rispetto al danno da lucro cessante futuro da perdita del reddito: se c’è l’uno non può esserci l’altro, e viceversa;

– delle due, infatti l’una; o la vittima dimostra di avere perduto un reddito che verosimilmente avrebbe realizzato, ed allora la spetterà il risarcimento del lucro cessante; ovvero la vittima non dà quella prova, ed allora le può spettare il risarcimento del danno da perdita di chance;

– nel nostro caso il giudice di merito ha liquidato alla vittima il risarcimento del danno patrimoniale da perdita dei redditi futuri, e dunque correttamente non ha preso in esame l’ipotesi della perdita di chance. Se si sommasse questo risarcimento a quello da lucro cessante si realizzerebbe una duplicazione risarcitoria, e la vittima verrebbe addirittura a trovarsi in una situazione patrimonialmente più favorevole di quella in cui si sarebbe trovata se fosse rimasta sana (come già ritenuto da questa Corte: Sez. 3, Sentenza n. 20630 del 13.10.2016);

– col terzo motivo il ricorrente lamenta che la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto generico il motivo di gravame con cui si censurava la mancata liquidazione degli interessi di mora con decorrenza dalla data dell’illecito;

– in merito a tale motivo di ricorso va preliminarmente rilevato come esso prospetti nella sostanza una violazione dell’art. 342 c.p.c., per avere la Corte d’appello ritenuto generico un motivo di gravame che tale – secondo il ricorrente – non era, e dunque invochi il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4;

– poichè, dunque, la illustrazione del motivo è sufficientemente chiara, nulla rileva che il ricorrente abbia erroneamente dichiarato di volere censurare, con esso, un vizio di “violazione di legge”, ed abbia poi invocato anche – a sproposito – il vizio di omesso esame d’un fatto decisivo, di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5; ciò in virtù del principio già affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui se il ricorrente incorra nel c.d. “vizio di sussunzione” (e cioè erri nell’inquadrare, in una delle cinque categorie previste dall’art. 360 c.p.c., l’errore commesso dal giudice di merito), il ricorso non può per ciò solo dirsi inammissibile, quando dal complesso della motivazione adottata dal ricorrente sia chiaramente individuabile il vizio censurato (Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013);

– nel merito, il motivo è fondato;

– il Tribunale, infatti, aveva ritenuto di procedere alla stima del danno patrimoniale da lucro cessante in questo modo:

(a) ha sommato i redditi già perduti dalla vittima fino al momento della liquidazione, e quelli che la vittima avrebbe verosimilmente perduto in futuro, quantificati in misura pari alla metà dell’intero credito per lucro cessante;

(b) ha ritenuto in astratto che sui redditi già perduti dovessero calcolarsi gli interessi di mora, mentre su quelli che si sarebbero perduti in futuro si sarebbe dovuta applicare una riduzione per tenere conto del “montante di anticipazione da calcolarsi sugli interessi a scalare”;

(c) ha di conseguenza compensato gli interessi sul risarcimento dovuto per i redditi già perduti, con la riduzione da applicare al risarcimento dovuto per i redditi che l’attore avrebbe perduto in futuro;

(d) ha quindi sommato tutte le voci di danno, detratto tutti gli acconti percepiti dalla vittima, ed applicato gli interessi di mora (nella misura legale) dalla data della sentenza sul credito residuo;

– F.R. impugnò tale statuizione (p. 7 dell’atto d’appello) deducendo che:

(a) il credito risarcitorio è una obbligazione di valore;

(b) esso deve essere quindi rivalutato alla data di liquidazione;

(c) sul credito rivalutato sono dovuti gli interessi di mora dalla data dell’illecito;

– l’appellante concluse pertanto sostenendo che gli interessi di mora dovessero farsi decorrere dalla data dell’illecito, “e non dalla data della pubblicazione della sentenza come immotivatamente ritenuto dal giudice di primo grado”;

– la Corte d’appello ritenne tuttavia tale censura “inammissibile per genericità, non essendo stato confutato il criterio in base al quale il Tribunale ha motivatamente escluso tale voce di danno sugli importi dovuti a titolo di lucro cessante”;

– tale statuizione della Corte d’appello è tuttavia erronea, in quanto confonde due questioni diverse e, confondendole, ha malamente interpretato tanto la sentenza di primo grado, quanto l’atto d’appello;

– il Tribunale, nel liquidare il danno, doveva compiere due operazioni: quantificare tale danno, e calcolare poi gli effetti della mora;

– poichè parte del risarcimento consisteva in un danno periodico e futuro, il Tribunale ha proceduto alla sommatoria dei redditi futuri perduti; si è, quindi, correttamente posto il problema di dover scontare il risultato di questo calcolo, in virtù della nota regola di matematica finanziaria per cui l’anticipato pagamento di una somma esigibile solo tra n anni comporta un esborso minore in valore nominale;

– il Tribunale, tuttavia, per semplicità ed evidentemente a fini equitativi, ritenne da un lato di non applicare alcuno sconto matematico sul credito per danno patrimoniale futuro; e dall’altro di non calcolare la mora sul credito per danno patrimoniale passato;

– così giudicando (giusta o sbagliata che fosse tale statuizione, essa non è stata censurata in appello) il Tribunale aveva tuttavia risolto solo il problema del capitale dovuto dal responsabile a F.R.: su questo capitale, però, c’era ancora da calcolare la mora debendi, che non ha nulla a che vedere ovviamente con lo sconto matematico;

– infatti anche chi causa un danno futuro è in mora dal giorno del fatto illecito, ai sensi dell’art. 1219 c.c., per il pagamento del relativo risarcimento; tale mora andrà calcolata sul credito risarcitorio scontato e reso attuale, ma andrà pur sempre calcolata con decorrenza dalla data dell’illecito;

– nel nostro caso, il Tribunale aveva calcolato il danno capitale senza applicare lo sconto matematico sul credito futuro, e poi aveva liquidato il danno da mora facendolo decorrere dalla sentenza: e l’appellante non aveva censurato la prima statuizione, ma la seconda sì, e lo aveva fatto in termini inequivoci (“gli interessi devono decorrere dal fatto illecito, non dalla sentenza”);

– erroneamente, pertanto, la Corte d’appello ha ritenuto generica una doglianza che, con riferimento alla questione del dies a quo della mora, era sufficientemente chiara;

– il rilevato errore della Corte d’appello non impone, tuttavia, la cassazione con rinvio della sentenza impugnata; infatti, non essendo necessari ulteriori accertamento di fatto, la causa può essere decisa nel merito;

– il motivo d’appello contraddistinto dalla lettera (E), di cui a pagina 7 dell’atto d’appello, col quale l’appellante si dolse dell’erronea liquidazione del danno da mora, è parzialmente fondato;

– il Tribunale, infatti, ha liquidato a titolo di danno patrimoniale per lucro cessante la somma (al netto degli acconti già pagati dall’assicuratore del responsabile) di Euro 63.599,52;

– di tale importo, secondo il Tribunale, la metà (e dunque Euro 31.799,76) andava a compensare i redditi già perduti al momento della liquidazione, e l’altra metà i redditi che sarebbero stati perduti in futuro;

– sul danno per lucro cessante passato il Tribunale ha dichiarato dovuti gli interessi di mora, ma li ha compensati con la mancata applicazione dello sconto matematico sul credito per danno patrimoniale futuro (statuizione non censurata);

– sull’altra metà del credito per danno patrimoniale, pertanto, il danno da mora era dovuto, ed era dovuto con decorrenza dalla data dell’illecito, non dalla data della sentenza, ex art. 1219 c.c.;

– non avendo l’odierno ricorrente censurato la misura del saggio da applicare per il calcolo della mora, potrà dunque in questa sede procedersi applicando i principi stabiliti da Sez. U, Sentenza n. 1712 del 17/02/1995, ovvero applicando gli interessi al saggio legale vigente de die in diem sul credito di Euro 31.799,76, devalutato alla data del sinistro (22.2.2001), e quindi rivalutato di anno in anno, sino alla data della presente decisione;

– il risultato è pari ad Euro 12.335,94;

– su tale importo, che come noto costituisce una componente del credito aquiliano, e non frutti civili come gli interessi veri e propri, dalla data della presente decisione decorreranno gli interessi legali;

– le spese del grado di appello possono essere regolate nella stessa misura a suo tempo ritenuta dalla Corte d’appello di Roma (e dunque 5.900 più le spese di consulenza;

– le spese del presente giudizio di legittimità in considerazione dello iato tra petitum e decisum possono essere compensate nella misura della metà; la restante metà va a poste a carico degli intimati, e sono liquidate nel dispositivo.

PQM

 

(-) dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso; rigetta il secondo motivo di ricorso;

(-) accoglie ilricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, condanna UnipolSai s.p.a., Simeone s.r.l. e T.L., in solido, al pagamento in favore di F.R. della somma di Euro 12.335,94, oltre interessi nella misura legale dalla data di deposito della presente decisione; (-) condanna UnipolSai s.p.a., Simeone s.r.l. e T.L., in solido, alla rifusione in favore di F.R. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 3.500, oltre 200 per spese vive, contributo unificato, I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 2, comma 2.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte di cassazione, il 24 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2017

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