Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18047 del 28/08/2020

Cassazione civile sez. II, 28/08/2020, (ud. 05/12/2019, dep. 28/08/2020), n.18047

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22559-2016 proposto da:

P.N., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI

114/B, presso lo studio dell’avvocato GIOVAMBATTISTA FERRIOLO, che

la rappresenta e difende unitamente agli avvocati RANIERI RODA,

FERDINANDO EMILIO ABBATE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso il Decreto n. cron. 371/2016 della CORTE D’APPELLO di

FIRENZE, depositato il 27/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/12/2019 dal Consigliere GRASSO GIUSEPPE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI CORRADO che ha concluso per il rigetto del ricorso principale

e l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato;

udito l’Avvocato Giovambattista Ferriolo, difensore della ricorrente,

che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

P.N., in difetto di spontanea esecuzione, avviò azione esecutiva nei confronti dello Stato, al fine di ottenere il pagamento dell’equo indennizzo stabilito dal giudice (la Corte d’appello di Perugia aveva dichiarato inammissibile la pretesa con provvedimento del 15/9/2011, annullato dalla Corte di cassazione con sentenza, con sentenza del 22/11/2012, la quale, cassando senza rinvio al decisione di merito, aveva condannato il Ministero della Giustizia al pagamento dell’indennizzo); al precetto, notificato il 20/5/2014, era seguito il pignoramento e, indi l’assegnazione ad opera del Giudice dell’esecuzione di Roma, in data 1/7/2014, divenuta definitiva il 21/7/2014.

Il Consigliere designato della Corte d’appello di Firenze, accolta la domanda d’indennizzo per irragionevole durata del processo svoltosi ai sensi della L. n. 89 del 2001, condannò il Ministero della Giustizia al pagamento d’un ulteriore indennizzo.

Proposta opposizione la P.A., la Corte d’appello di Firenze, con decisione collegiale resa pubblica il 27/2/2016, revocò il decreto monocratico e rigettò la domanda di equa riparazione.

Avverso il decreto collegiale propone ricorso, fondato su due motivi, ulteriormente illustrati da memoria, la P..

Il Ministero della Giustizia resiste con controricorso, in seno al quale avanza ricorso incidentale fondato su due motivi.

All’epilogo dell’adunanza camerale del 19/4/2018 il processo è stato rimesso alla pubblica udienza.

Appare utile, sia pure in estrema sintesi, riportare l’iter argomentativo della decisione collegiale impugnata. La Corte toscana, in primo luogo, afferma la propria competenza, reputando decisivo il fatto che il processo presupposto si fosse “estinto” davanti al Giudice di Perugia, non assumendo rilievo il procedimento esecutivo, svoltosi davanti al Giudice di Roma, non potendo “parlarsi di grado, bensì di fase”. Di poi, afferma la Corte fiorentina, “sarebbe del tutto irragionevole ricomprendere nella durata da prendere in considerazione agli effetti dell’equa riparazione il periodo di tempo, che potrebbe essere anche molto lungo (…) per l’inerzia del vincitore nel giudizio di cognizione, intercorrente fra la fine della fase della cognizione e l’inizio di quella di esecuzione”. Di conseguenza, computata la durata del processo di cognizione e sommata ad essa quella della fase esecutiva (in tutto due anni, otto mesi e 24 giorni), la durata ragionevole risultava superata di soli due mesi e 19 giorni, “ovverosia per un periodo che non supera i sei mesi di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 bis, comma 1”.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente denunzia violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2011, art. 2.

Questo l’assunto impugnatorio.

Valendo i principi di alla sentenza di legittimità n. 6312/2014, l’Amministrazione è tenuta pagare l’indennizzo e gli accessori determinati irrevocabilmente dal giudice nel termine di sei mesi (secondo le indicazioni della Corte edu), ulteriormente maggiorato di 5 giorni, ex art. 133 c.p.c., comma 2. Peraltro, già con il D.L. n. 669 del 1996, art. 14, alla P.A. era stato concesso il termine dilatorio di 120 giorni, fino allo scadere del quale non era consentito neppure notificare il precetto. La Corte di Strasburgo aveva reiteratamente affermato (vengono citati i precedenti Cocchiarella c. Italia e DI Pede c. Italia) che l’esecuzione rendeva effettiva e concreta la pronunzia di merito, con la conseguenza che del periodo di durata della prima si sarebbe dovuto tener conto al fine di verificare se fosse stata superata la ragionevole durata del processo.

In secondo luogo, la ricorrente, soggiunge che, poichè “nella presente fattispecie basterebbe soltanto comprendere nel computo della durata processuale, un ulteriore periodo di quattro mesi (120 gg.) termine (…) di necessaria attesa (…)”, la protrazione del giudizio presupposto di equa riparazione supera i tre anni, a fronte di una durata ragionevole di due anni, sei mesi e cinque giorni. Di talchè, lo sforamento di oltre sei mesi darebbe comunque diritto all’indennizzo.

2. Con il secondo motivo, con il quale si deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., la ricorrente lamenta la mancata compensazione delle spese, nonostante che la decisione di fosse posta in contrasto con il precedente orientamento della Cassazione.

3. Il Ministero della Giustizia, con l’impugnazione, espressamente qualificata condizionata, denunzia, con il primo motivo, violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 4, addebita alla Corte locale di non aver fatto corretta applicazione della norma denunziata “atteso che la inammissibilità della domanda per intervenuta decadenza doveva essere dichiarata in relazione all’intero giudizio presupposto unitariamente inteso”, non essendosi la parte attivata nel termine semestrale (il processo si era concluso davanti alla Corte di cassazione il 18/12/2012, anche a voler considerare l’avvio del procedimento esecutivo dal precetto, questo era stato notificato solo il 1876/2013, nel mentre il ricorso risaliva all’11/5/2015).

4. Con il secondo motivo (erroneamente nominato come terzo) l’Amministrazione denunzia violazione della L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 1, per difetto di competenza della Corte d’appello di Firenze, in quanto, conclusosi il processo presupposto (assegnazione in sede esecutiva) a Roma, la competenza era da attribuire alla Corte d’appello di Perugia.

5. Il primo motivo è infondato sulla scorta dell’assai recente statuizione delle Sezioni Unite (sentenza n. 19883, 23/7/2019, Rv. 654838), la quale dopo aver affermato il principio di diritto secondo il quale ai fini della decorrenza del termine di decadenza per la proposizione del ricorso la L. n. 89 del 2001, ex art. 4, nel testo modificato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 55, conv. dalla L. n. 134 del 2012, risultante dalla sentenza della Corte costituzionale n. 88 del 2018, la fase di cognizione del processo che ha accertato il diritto all’indennizzo a carico dello Stato-debitore va considerata unitariamente rispetto alla fase esecutiva eventualmente intrapresa nei confronti dello Stato, senza la necessità che essa venga iniziata entro sei mesi dalla definitività del giudizio di cognizione, decorrendo detto termine dalla definitività della fase esecutiva; ha, tuttavia, precisato che nel computo della durata del processo di cognizione ed esecutivo non va considerato come “tempo del processo” quello intercorso fra la definitività della fase di cognizione e l’inizio della fase esecutiva, quest’ultimo, invece, potendo eventualmente rilevare ai fini del ritardo nell’esecuzione come autonomo pregiudizio, allo stato indennizzabile in via diretta ed esclusiva, in assenza di rimedio interno, dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo.

Ciò posto, la ricorrente non può qui dolersi del tempo consumatosi tra la raggiunta esecutività della pronuncia, con la quale la P.A. era stata condannata al pagamento e l’effettivo inizio dell’azione esecutiva, resasi necessaria per l’inadempimento della debitrice. Or poichè la durata complessiva del processo presupposto, sommando la fase di cognizione quella esecutiva, non supera, secondo l’incontroverso computo di cui al decreto della Corte di Firenze, il termine di ragionevole durata, correttamente risulta essere stata disattesa la domanda.

6. Il secondo motivo deve essere rigettato del pari. Con la censura in discorso, invero, la ricorrente invoca un riesame della valutazione di merito, in questa sede incensurabile.

7. Consegue al rigetto del ricorso principale l’assorbimento di quello incidentale condizionato.

8. L’obiettiva difficoltà interpretativa sul punto controverso costituisce grave motivo per compensare le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale; compensa fra le parti le spese legali del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 2 Sezione Civile, il 5 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 agosto 2020

 

 

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