Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18046 del 04/08/2010

Cassazione civile sez. un., 04/08/2010, (ud. 16/02/2010, dep. 04/08/2010), n.18046

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARBONE Vincenzo – Primo Presidente –

Dott. PREDEN Roberto – Presidente di sezione –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. SALME’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto

stesso, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO ALESSANDRO,

VALENTE NICOLA, PATTERI ANTONELLA, per delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

L.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato ANGELOZZI GIOVANNI, che la

rappresenta e difende, per delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5231/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 13/09/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/02/2010 dal Consigliere Dott. FILIPPO CURCURUTO;

uditi gli avvocati Alessandro RICCIO, Giovanni ANGELOZZI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CENICCOLA Raffaele, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

L.R. ha convenuto in giudizio l’INPS dinanzi al Tribunale di Roma esponendo che l’Istituto le aveva chiesto la restituzione della somma di L. 4.269.340, erogatale nel periodo 1^ gennaio 1996-30 novembre 2000 a titolo di quota di integrazione al minimo sulla pensione di invalidità ordinaria, affermando trattarsi di somma non spettante, per il superamento della soglia di reddito stabilita quale condizione dell’integrazione.

Ciò premesso, la L., deduceva la genericità della comunicazione, affermava di aver ricevuto quanto dovutole e chiedeva che il Tribunale, annullato il provvedimento restitutorio dell’Inps.

dichiarasse che essa non era tenuta a restituire all’INPS gli importi richiestile.

Nella resistenza dell’Istituto, il Tribunale rigettava la domanda dichiarando l’irripetibilità dell’indebito nel limite di un quarto delle somme richieste e la fondatezza della pretesa dell’Istituto per il residuo.

La L. proponeva appello addebitando alla sentenza impugnata di non aver tenuto conto del mancato assolvimento da parte dell’Inps dell’onere di provare la sussistenza dell’indebito.

La Corte d’Appello di Roma, accogliendo il gravame, dichiarava non dovuta dalla L. all’INPS la somma di L. 4.269.340.

osservando che sarebbe spettato all’Inps, in applicazione dei principi generali, allegare e provare i fatti costitutivi della propria pretesa restitutoria, dando conto dell’effettiva sussistenza dell’indebito e dei fatti che lo avevano determinato.

L’INPS ha chiesto la cassazione di questa sentenza con ricorso, per un motivo, al quale la L. ha resistito con controricorso.

La sezione lavoro di questa Corte, con ordinanza 16 marzo 2009, ha rimesso il ricorso al Primo Presidente rilevando nella giurisprudenza della sezione un contrasto circa l’onere probatorio dell’ente previdenziale, convenuto nel giudizio promosso per contrastare la sua pretesa di restituzione, ritenendosi in talune decisioni, e negandosi in altre, che l’ente non abbia onere di dimostrare l’effettiva natura indebita dei pagamenti e che sia invece l’assicurato a dover dimostrare che la prestazione era effettivamente dovuta.

L’ordinanza di rimessione ha rilevato anche, in termini più generali, nella giurisprudenza della Corte, un contrasto circa la distribuzione dell’onere della prova nelle azioni di accertamento negativo.

Il Primo Presidente ha assegnato il ricorso a queste Sezioni unite, Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con l’unico motivo di ricorso è denunziata violazione ed errata applicazione dell’art. 2697 c.c.; violazione ed errata applicazione della L. 28 dicembre 2001, n. 448, art. 38, commi 7, 8, 9 e art. 10;

violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 del c.p.c..

Si addebita alla sentenza impugnata di non aver considerato che il giudizio instaurato dal pensionato che si opponga la richiesta di ripetizione del indebito da parte dell’istituto ha ad oggetto la fondatezza della pretesa dell’attore alla prestazione già erogata, che egli assume esser stata correttamente percepita secondo le leggi vigenti, sicchè spetta al ricorrente provare la bontà del vantato diritto previdenziale e non al convenuto dimostrare la sussistenza dell’indebito.

Il ricorso è fondato.

E’ opportuno chiarire anzitutto che lo specifico problema da esso posto riguarda il regime dell’onere della prova nell’azione promossa, da chi abbia ricevuto un pagamento, per accertamento negativo del diritto del convenuto a ripetere, siccome indebito, quanto pagato.

Più precisamente, nel caso di specie, per l’accertamento negativo del diritto dell’ente previdenziale di ripetere quanto corrisposto all’assicurato a titolo di integrazione al minimo della pensione di invalidità, in assenza dei presupposti reddituali per l’integrazione. Si tratta quindi di un azione con la quale si mira a far accertare l’assenza di obblighi restitutori, in relazione ad una specifica prestazione ricevuta dalla controparte.

L’azione di ripetizione dell’indebito, regolata dall’art. 2033 c.c., è generalmente considerata un rimedio contro ingiustificati spostamenti patrimoniali, in conformità ad un principio generale di causalità delle relative attribuzioni.

Colui che agisce in ripetizione, chiedendo la condanna alla restituzione di quanto pagato, deduce quindi necessariamente l’inesistenza del diritto della controparte a conseguire l’attribuzione patrimoniale della quale ha beneficiato, ossia l’inesistenza di un titolo che la giustifichi.

Ciò trova puntuale conferma nel costante orientamento della giurisprudenza che considera l’inesistenza della “causa debendi” elemento costitutivo (unitamente all’avvenuto pagamento e al collegamento causale) della domanda di indebito oggettivo (art. 2033 cod. civ.) e che grava pertanto l’attore della relativa prova (Cass. 1557/1998; conf. 12521/1998; 11029/2000; 9604/2000; 17146/2003;

14597/2005; 5896/2006; 2903/2007).

Nella specifica materia dell’indebito previdenziale, la giurisprudenza di questa Corte, fino alla sentenza 19762/2008, ha sempre ritenuto che nel giudizio promosso per l’accertamento dell’illegittimità della ripetizione dell’indebito pretesa dall’ente previdenziale a seguito della avvenuta corresponsione di somme non dovute, spetti all’attore in base al principio generale di cui all’art. 2697 cod. civ., l’onere di allegare e provare i fatti costitutivi del diritto la cui sussistenza esclude l’indebito (Cass. 11504/2004; 2032/2006; 4612/2006).

La cit. sentenza 19762/ 2008 ha abbandonato questo indirizzo, ritenendo non condivisibile la premessa secondo cui nelle azioni di accertamento negativo la distribuzione dell’onere probatorio debba avvenire in relazione al ruolo processuale (di attore o convenuto) assunto dalle parti, e patrocinando invece una soluzione in base alla quale il suddetto onere dovrebbe esser collegato alla loro posizione sostanziale.

Queste Sezioni Unite ritengono che la soluzione dello specifico problema oggetto di questo ricorso, possa prescindere dall’indagine della più ampia questione concernente le azioni di accertamento negativo.

In proposito va infatti osservato che se l’accertamento del diritto alla ripetizione implica accertamento della inesistenza di una valida causa dell’attribuzione patrimoniale. l’accertamento negativo di tale diritto, ossia la negazione del diritto di chi abbia effettuato il pagamento non dovuto alla ripetizione della somma erogata, implica simmetricamente e necessariamente. L’affermazione del diritto dell’attore in accertamento negativo di trattenere quanto ricevuto, e perciò la deduzione di un titolo che consenta di qualificare come adempimento quanto corrisposto dal convenuto. Quindi, se, come si legge in Cass. 19762/2008, nelle azioni di accertamento negativo Fattore non farebbe valere il diritto oggetto dell’accertamento giudiziale ma ne postulerebbe l’inesistenza, ciò non può dirsi per l’accertamento negativo dell’indebito perchè in tal caso l’inesistenza del diritto alla restituzione è solo il riflesso dell’esistenza del diritto alla prestazione già conseguita. Di conseguenza, con l’applicare all’accertamento negativo dell’indebito previdenziale il principio soprarichiamato, secondo cui spetta all’attore di allegare e provare i fatti costitutivi del diritto la cui sussistenza esclude l’indebito la giurisprudenza adotta una regola operativa pienamente conforme alla struttura della fattispecie sostanziale, onerando l’attore in accertamento negativo del diritto alla ripetizione della prova del fatto costitutivo del suo diritto, che è il diritto alla prestazione già ricevuta dalla controparte, rispetto al quale assume carattere meramente strumentale il diritto di “non restituire” quanto ricevuto. Ciò è chiaramente messo in rilievo nella cit. Cass. 2032/06, che esattamente sottolinea come la richiesta di accertamento negativo della sussistenza dell’indebito implichi la deduzione in giudizio di una ragione di credito il cui fondamento spetta all’attore di provare.

Ne deriva che, con riguardo allo specifico problema dell’onere probatorio nell’accertamento negativo dell’indebito, l’orientamento giurisprudenziale dal quale si è discostata Cass. 19762/2008, fa in sostanza gravare l’onere della prova sulla parte che invoca le conseguenze per lei favorevoli previste dalla norma, ove per questa si intenda la regola sostanziale che determina il sorgere del diritto.

Di conseguenza, non vi è qui ragione di esaminare il più ampio problema dell’onere della prova nelle azioni di accertamento negativo, in genere, perchè se anche esso venisse risolto alla stregua del principio di distribuzione dell’onere in relazione alla posizione sostanziale, anzichè processuale, delle parti la decisione da assumere in questo ricorso non sarebbe diversa.

Deve allora essere affermato il principio secondo cui in tema di indebito, anche previdenziale, ove l’accipiens chieda l’accertamento negativo della sussistenza del suo obbligo di restituire quanto percepito egli deduce necessariamente in giudizio il diritto alla prestazione già ricevuta, ossia un titolo che consenta di qualificare come adempimento quanto corrispostogli dal convenuto, sicchè egli ha l’onere di provare i fatti costitutivi di tale diritto.

Sulla base di tale principio la sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendovi necessità di ulteriori accertamenti, la causa può esser decisa nel merito, limitando l’irrepetibilità ad un quarto delle somme pretese dall’INPS, e dichiarando dovuto il residuo.

Nulla per le spese dell’intero giudizio, in relazione alla data del ricorso introduttivo della controversia.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara irripetibile l’indebito nel limite di un quarto delle somme richieste dall’INPS, dichiarando dovuto il residuo; nulla per le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 16 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2010

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