Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18042 del 21/07/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 21/07/2017, (ud. 06/06/2017, dep.21/07/2017),  n. 18042

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10283-2016 proposto da:

B.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA

GIULIANA 83-A, presso lo studio dell’avvocato WLADIMIRA ZIPPARRO,

rappresentato e difeso dall’avvocato PASQUALE REGINA;

– ricorrente –

contro

CHIESI FARMACEUTICI SPA, in persona del procuratore speciale,

elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO TRIESTE 87, presso lo

studio dell’avvocato BRUNO BELLI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato PAOLO BANZOLA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 577/2016 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 22/04/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 06/06/2017 dal Consigliere Dott. PAOLA GHINOY.

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte d’appello di Bari, nel procedimento L. n. 92 del 2012, ex art. 1, commi 47 ss. confermò la sentenza del Tribunale di Foggia che (in coerenza con la decisione adottata all’esito della fase sommaria) aveva rigettato l’impugnativa proposta da B.S. avverso il licenziamento per giusta causa intimatogli da Chiesi farmaceutici S.p.A., sull’addebito di avere effettuato, in qualità di informatore scientifico, false rapportazioni inerenti alle sue visite ai medici assegnati.

2. Per la cassazione della sentenza B.S. propone ricorso, al quale resiste con controricorso la Chiesi farmaceutici S.p.A. Il ricorrente ha depositato anche memoria ex art. 380 bis c.p.c.

3. Il Collegio ha autorizzato la redazione della motivazione in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. il ricorso attinge con tre motivi la sentenza della Corte barese, laddove ha ritenuto confermato che il B. avesse effettivamente redatto le false rapportazioni oggetto dell’addebito sulla base delle copie dei rapporti dell’informatore prodotte con nota telematica nel corso del giudizio di secondo grado (peraltro in data differente da quella indicata in motivazione) riferendo, in difformità dal vero, che tale produzione era stata autorizzata e senza valutare le osservazioni critiche formulate dalla difesa del lavoratore.

In proposito deduce: la nullità della sentenza e del procedimento per delibazione di atti decisivi al rigetto del reclamo nell’assoluta inesistenza di provvedimenti dispositivi e o acquisitivi, nonchè per violazione dell’art. 112 c.p.c..; la violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 5 in combinato disposto con l’art. 2697 c.c. e dell’art. 416 c.p.c., la violazione dell’art. 437 c.p.c. e dell’art. 421 c.p.c. in combinato disposto con la L. n. 92 del 2012, art. 1, commi 59 e 60; omesso esame circa un fatto decisivo della controversia.

2. Il primo e secondo motivo sono infondati.

Questa Corte ha in più occasioni ribadito il principio secondo il quale nel rito del lavoro, il giudice, ove reputi insufficienti le prove già acquisite, ha il potere-dovere di provvedere d’ufficio agli atti istruttori idonei a superare l’incertezza dei fatti costitutivi dei diritti in contestazione, nonchè, ex artt. 421 e 437 c.p.c., di provvedere d’ufficio agli atti istruttori sollecitati da tale materiale probatorio idonei a superare l’incertezza sui fatti costitutivi di diritti in contestazione, purchè gli stessi siano allegati nell’atto introduttivo (Cass. S.U. 17/6/2004, n. 11353, Cass. 01/08/2013 n. 18410, Cass. 29/09/2016 n. 19305). Ne consegue che, essendo la “prova nuova” disposta d’ufficio funzionale al solo indispensabile approfondimento degli elementi già obiettivamente presenti nel processo, non si pone una questione di preclusione o decadenza processale a carico della parte (Cass. 5 dicembre 2012, n. 18924).

2.1. E’ vero che gli stessi arresti hanno precisato che il giudice ha l’obbligo – in ossequio a quanto prescritto dall’art. 134 c.p.c., ed al disposto di cui all’art. 111 Cost., comma 1, sul “giusto processo regolato dalla legge” – di esplicitare le ragioni per le quali reputi di far ricorso all’uso dei poteri istruttori o, nonostante la specifica richiesta di una delle parti, ritenga, invece, di non farvi ricorso.

2.2. Nel caso, pur in assenza di un provvedimento di ammissione nel corso del giudizio, la ragione dell’attivazione dei poteri istruttori officiosi è comunque adeguatamente esplicitata nella motivazione della sentenza, laddove a fronte dell’incertezza verificatasi nel corso del giudizio di primo grado – tenuto conto che i rapporti dell’informatore prodotti in primo grado dalla società erano privi di intestazione e traccia codificata informatica (pg. 8 della sentenza) e non consentivano quindi di escludere una contraffazione successiva alla registrazione, e che la difesa del lavoratore, nel negare l’addebito, non aveva precisato il contenuto dei reports – la Corte barese ha ritenuto di ammettere la nuova documentazione onde dirimere le residue incertezze.

2.3. Sussistevano quindi i requisiti per l’esercizio dei poteri istruttori officiosi, individuati da questa Corte, nell’opportunità di integrare un quadro probatorio tempestivamente delineato dalle parti, nonchè nell’indispensabilità dell’iniziativa, volta non a superare gli effetti inerenti ad una tardiva richiesta istruttoria o a supplire ad una carenza probatoria totale sui fatti costitutivi della domanda, ma solo a colmare una lacuna delle risultanze di causa (Cass. 11/03/2011 n. 5878).

2.4. Nè può dubitarsi, in ragione del carattere strumentale insito nella natura e funzione processuale delle ordinanze e della loro modificabilità e revocabilità ad opera della sentenza (v. in proposito ancora da ultimo Cass. 16/12/2013 n. 28021), che quest’ultima possa anche provvedere ad integrarne il contenuto, esplicitando le ragioni del ricorso alle integrazioni istruttorie officiose, in uno con la relativa valorizzazione ai fini della decisione.

3. Il terzo motivo è inammissibile, considerato che la Corte territoriale ha argomentato nell’ultima pagina della motivazione in ordine alla genuinità della prova presentata, laddove ha rilevato che nelle note di deposito dei documenti era correttamente dedotto, e confermato dall’allegata email sottoscritta dal dottor P.M., che il sistema di archiviazione CSM in utilizzo presso la Chiesi registra oltre al nome utente che compare sotto la colonna “lastname” anche il codice identificativo dello stesso ubicato sotto la colonna “app user”, identificando in maniera automatica l’utente che ha portato l’ultima modifica al dato inserito nell’archivio, così superando le opposte argomentazioni contenute nelle note della difesa del lavoratore, implicitamente ritenendole non decisive in senso contrario.

3.1. Laddove quindi la parte lamenta che non si sia dato peso alle proprie osservazioni critiche, sollecita in sostanza una nuova valutazione delle medesime risultanze di fatto, inammissibile in questa sede, specie considerato che al presente giudizio si applica ratione temporis la formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, che ha ridotto al “minimo costituzionale” il sindacato di legittimità sulla motivazione, nel senso chiarito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 8053 del 2014, secondo il quale la lacunosità e la contraddittorietà della motivazione possono essere censurate solo quando il vizio sia talmente grave da ridondare in una sostanziale omissione, nè può fondare il motivo in questione l’omesso esame di una risultanza probatoria, quando essa attenga ad una circostanza che è stata comunque valutata dal giudice del merito.

4. Per tali motivi, condividendo il Collegio la proposta del relatore, il ricorso, manifestamente infondato, va rigettato con ordinanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5.

5. Le spese del giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

6. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

Motivazione semplificata.

PQM

 

rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre ad Euro, 200,00 per esborsi, rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 6 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2017

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