Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18040 del 04/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 04/07/2019, (ud. 06/03/2019, dep. 04/07/2019), n.18040

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23091-2017 proposto da:

N.A.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA C. LISIPPO

123, presso lo studio dell’avvocato GABRIELLA STASI, rappresentata e

difesa dagli avvocati CLAUDIO RIZZELLI, BARBARA FERNANDO;

– ricorrente –

contro

ISPETTORATO TERRITORIALE DEL LAVORO DI LECCE (OMISSIS), in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 231/2017 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 24/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 06/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCA

SPENA.

Fatto

RILEVATO

Che:

con sentenza in data 9- 24 febbraio 2017 n. 231 la Corte d’Appello di Lecce confermava la sentenza del Tribunale della stessa sede, che aveva rigettato la opposizione proposta da N.A.R. nei confronti della Direzione Territoriale del Lavoro di Lecce avverso l’ordinanza-ingiunzione di irrogazione delle sanzioni amministrative (pari a complessivi Euro 9.530) per la violazione della normativa sulla assunzione dei lavoratori subordinati;

che a fondamento della decisione la Corte territoriale respingeva il rilievo di tardività della contestazione amministrativa per mancato rispetto del termine di novanta giorni cui alla L. n. 689 del 1981, art. 14; esponeva che detto termine decorreva non dal momento in cui il fatto veniva acquisito nella sua materialità ma dall'”accertamento” della violazione. Pertanto andava neutralizzato il tempo necessario alla valutazione, sulla base dei dati acquisiti, degli elementi oggettivi e soggettivi dell’infrazione, da collegare alla complessità delle indagini.

Nella fattispecie di causa correttamente il Tribunale aveva considerato come momento di decorrenza del termine la data del 20 dicembre 2007: la Direzione Provinciale del Lavoro aveva ricevuto il verbale di accertamento della Guardia di Finanza in data 16 ottobre 2007 ed aveva terminato gli accertamenti documentali presso il consulente del lavoro dell’impresa, indispensabili alla contestazione, in data 20 dicembre 2007.

Nel merito, le infrazioni contestate erano supportate da quanto accertato dai funzionari in sede di sopralluogo e dalle dichiarazioni rese dai lavoratori nell’immediatezza dei fatti, che dovevano ritenersi privilegiate rispetto a quelle assunte successivamente in sede di esame testimoniale; i testi non avevano alcun motivo per rendere dichiarazioni false agli ispettori del lavoro e non avevano fornito alcuna plausibile giustificazione della diversità delle dichiarazioni rese in giudizio.

I verbali dei funzionari, pur essendo liberamente valutabili in ordine al contenuto delle dichiarazioni raccolte da terzi, potevano costituire anche prova esclusiva dell’illecito amministrativo.

che avverso la sentenza ha proposto ricorso N.A.R., articolato in tre motivi, cui ha opposto difese l’Ispettorato Territoriale del Lavoro di Lecce;

che la proposta del relatore è stata comunicata alle parti-unitamente al decreto di fissazione della adunanza camerale-ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

la parte ricorrente ha dedotto:

– con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, impugnando la sentenza per avere considerato tempestiva la contestazione dell’illecito.

Ha esposto non essere stato provato dalla Direzione Provinciale del Lavoro che la trasmissione del verbale di accertamento della Guardia di Finanza fosse avvenuta in data 16 ottobre 2007, nonostante la contestazione mossa sul punto (pagina 3 delle repliche in appello).

Occorreva, invece, presumere che l’inizio dell’attività accertativa della Direzione Provinciale del Lavoro risalisse alla data del 12 agosto 2007, data dell’accesso della Guardia di Finanza;

– con il secondo motivo- ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione della L. n. 689 del 1981, art. 14.

La ricorrente ha esposto che il giudice del merito si era sottratto al proprio compito di valutare in concreto, in ragione della complessità delle indagini e dell’assenza di una inerzia ingiustificata, la congruità del termine impiegato per accertare l’illecito.

La Corte territoriale non aveva effettuato alcuna analisi concreta sul punto, limitandosi a richiamare alcune massime di giurisprudenza.

Nel caso concreto tra la data dell’accesso ispettivo della Guardia di Finanza (12 agosto 2007) e quella in cui la Direzione Provinciale del Lavoro sosteneva di aver acquisito il relativo verbale (16 ottobre 2007) erano trascorsi più di due mesi, senza che si conoscesse l’attività istruttoria svolta nè fossero indicati gli elementi di complessità giustificativi del ritardo di trasmissione nè fosse dimostrato che tale lasso di tempo non era dovuto ad inerzia ovvero a limiti organizzativi dell’amministrazione.

Analogamente, non si conoscevano le ragioni per le quali l’accertamento della Direzione Provinciale del Lavoro presso l’ufficio del consulente del lavoro fosse terminato soltanto in data 20 dicembre 2007.

– con il terzo motivo- ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c..

Con la censura si contesta il rilievo assegnato dal giudice del merito al contenuto dei verbali ispettivi rispetto alle prove raccolte in sede giudiziaria.

Si assume che dalla lettura della sentenza non si comprendeva il ragionamento seguito dalla Corte territoriale, che non trovava altra motivazione che quella di ritenere prevalenti sulle prove acquisite in giudizio quelle formatesi in sede stragiudiziale.

Si aggiunge che le dichiarazioni verbalizzate nel corso dell’accesso ispettivo erano state rese da due lavoratori stranieri, uno di origine marocchina l’altro singalese, che mal comprendevano la lingua italiana ed uno dei quali non era in grado di leggere l’italiano, tanto da non avere sottoscritto il verbale; non vi era stata assistenza di un interprete nè qualsiasi altra assistenza che aiutasse i due lavoratori a comprendere il significato dell’accertamento. Tale questione non era stata affrontata nella sentenza impugnata;

che ritiene il Collegio si debba dichiarare la inammissibilità del ricorso;

che, invero, giova premettere che nello svolgimento del procedimento sanzionatorio dell’illecito ammnistrativo ove non sia avvenuta la contestazione immediata della violazione i suoi estremi debbono essere notificati agli interessati (residenti in Italia) entro il termine di novanta giorni, decorrente dall’accertamento della violazione, come disposto dalla L. n. 689 del 1981, art. 14.

Per consolidata giurisprudenza di questa Corte (per tutte: Cassazione civile sez. VI, 06/02/2019, n. 3524 e giurisprudenza ivi richiamata) l'”accertamento della violazione” coincide con il compimento delle indagini necessarie per riscontrare l’esistenza di tutti gli elementi dell’infrazione. La norma della L. n. 689 del 1981, art. 14, comma 2, nel riferirsi all’accertamento e non alla data di commissione della violazione, va cioè intesa nel senso che il termine di 90 giorni comincia a decorrere dal momento in cui è compiuta o si sarebbe dovuta compiere, anche in relazione alla complessità o meno della fattispecie, l’attività volta a verificare tutti gli elementi dell’infrazione.

Nella ipotesi di causa il giudice dell’appello ha ritenuto che l’accertamento della violazione fosse avvenuto in data 20 dicembre 2007, senza alcuna colpevole inerzia, conformemente a quanto già ritenuto dal Tribunale.

Si tratta di un giudizio non censurabile in questa sede.

Il relativo accertamento, in quanto vertente sulla complessità della fattispecie esaminata e sulla congruità dei tempi impiegati per le verifiche, costituisce un tipico giudizio di fatto, sindacabile in questa sede di legittimità unicamente con la deduzione di un vizio di motivazione e non già con la allegazione di un errore di diritto, come operata con il secondo motivo di ricorso.

Nella presente sede non è tuttavia deducibile il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, prospettato con il primo motivo, a mente dell’art. 348 ter c.p.c., comma 4 e 5, applicabile ratione temporis, in quanto i due giudici di merito hanno espresso sul fatto il medesimo convincimento.

Analoga ragione di inammissibilità ricorre quanto al terzo motivo di ricorso; si contesta ivi, pur qualificandosi la censura in termini di violazione di norme di diritto, l’accertamento di fatto della responsabilità della parte sanzionata per la violazione, assumendosi la prevalenza delle risultanze testimoniali rispetto alle dichiarazioni raccolte in sede ispettiva.

La ponderazione degli elementi di prova e la selezione tra essi di quelli più convincenti costituisce accertamento di merito sindacabile unicamente con la deduzione del vizio di motivazione; in questa sede è preclusa ogni discussione sul fatto della responsabilità della N. -prima ancora che in ragione dei limiti di ammissibilità del vizio di motivazione- a mente del già richiamato art. 348 ter c.p.c., comma 4 e 5, essendo stata resa pronunzia conforme nel doppio grado di merito;

che, pertanto, essendo condivisibile la proposta del relatore, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con ordinanza in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c.;

che le spese di causa, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;

che, trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto- ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

P.Q.M.

La Corte dichiara la inammissibilità del ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200 per spese ed Euro 2.500 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 6 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2019

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