Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18039 del 02/09/2011

Cassazione civile sez. II, 02/09/2011, (ud. 08/06/2011, dep. 02/09/2011), n.18039

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MALICA spa p.iva (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GORIZIA 52,

presso lo studio dell’avvocato JANNONI SEBASTIANINI ALBERTO CESARE,

che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

PROMEDIL 84 SRL incorporata dalla LA MARCHESINA SPA in virtù di

fusione, in persona del legale rappresentante pro tempore

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLE TRE MADONNE 16, presso

lo studio dell’avvocato RICCIO GIANFRANCO, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato TROPIANO MARIA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2945/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 30/06/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/06/2011 dal Consigliere Dott. LINA MATEFA;

udito l’Avvocato JANNONI SEBASTIANI Alberto Cesare, difensore del

ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato TROPIANO Maria, difensore del resistente che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo che ha concluso per l’accoglimento per quanto di

ragione dei due motivi, rigetto del 3 motivo, assorbito il quarto

motivo.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato l’11-11-1992 la Promedil 84 s.r.l.

conveniva dinanzi al Tribunale di Roma la Malica s.p.a., per sentir accertare l’inadempimento della società convenuta alle obbligazioni assunte con il contratto preliminare di compravendita del 5-6-1992, avente ad oggetto due appartamenti, cantina e posto auto siti in (OMISSIS); con il conseguente diritto alla ritenzione della caparra versata dalla promittente acquirente, che aveva mostrato di non volere stipulare l’atto definitivo di compravendita, inviando una lettera in cui dichiarava, immotivatamente, la risoluzione del preliminare.

Nel costituirsi, la Malica s.p.a. eccepiva l’inadempimento, da parte della promittente venditrice, di vari obblighi assunti con il contratto preliminare, tra cui l’omessa consegna, entro il termine pattuito e successivamente prorogato con l’atto di diffida, della documentazione necessaria per la stipulazione del contratto definitivo. Deduceva altresì la grave difformità dell’immobile rispetto alla descrizione contenuta nel contratto preliminare;

l’indicazione, nell’atto di provenienza, di una licenza urbanistica errata, con il conseguente rischio di incommerciabilità del bene ai sensi della L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 40; l’esistenza, nel regolamento condominiale predisposto dalla promittente venditrice, di servitù onerose, ulteriori rispetto a quella dichiarata nel preliminare. La convenuta, pertanto, concludeva per il rigetto della domanda attrice, chiedendo in via riconvenzionale la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento della Promedil 84 s.r.l., con la condanna di quest’ultima alla restituzione della caparra di L. 238.000.000, oltre al risarcimento dei danni e alla rivalsa della provvigione pagata alla mediatrice Gabetti s.p.a..

Con separata citazione notificata il 4-12-1992, la Malica s.p.a., richiamate le premesse in fatto e in diritto sopra esposte, conveniva dinanzi al Tribunale di Roma la Promedil 84 s.r.l. e la Gabetti s.p.a. – quest’ultima quale mediatrice inadempiente all’obbligo di controllare in via preventiva la regolarità urbanistica degli immobili oggetto della trattativa -, per sentirle condannare in solido al risarcimento dei danni.

A seguito della riunione della due cause, con sentenza del 30-5-2000 il Tribunale di Roma, ritenuti infondati i motivi addotti dalla Malica s.p.a. per l’esercizio del diritto di recesso (così convertita in corso di causa la domanda di risoluzione) e, per contro, giustificato il recesso esercitato dalla Promedil 84 s.r.l., dichiarava la risoluzione del contratto preliminare del 5-6-1992 per inadempimento della promittente acquirente, con il conseguente f diritto della promittente venditrice di trattenere la caparra;

rigettava altresì la domanda proposta nei confronti della Gabetti e condannava la Malica s.p.a. alla rifusione delle spese di giudizio.

La Malica s.p.a., proponeva appello avverso tale sentenza, deducendo che il Tribunale aveva definito non essenziale il termine per l’adempimento dell’obbligo di consegna della documentazione necessaria per la stipulazione dell’atto definitivo, senza rilevare che non era in questione il ritardo nell’adempimento della Promedil 84, bensì l’assoluta inesecuzione dell’obbligo di consegna; che il giudice di primo grado non aveva considerato la presenza di un abuso edilizio, consistente nell’aumento della superficie utile abitabile, ottenuto mediante la chiusura di un balcone dell’appartamento posto all’ottavo piano, dando, invece, valore esimente ad una generica attestazione di condono contenuta nell’atto di provenienza, che si riferiva, in realtà, ad abusi diversi; che il Tribunale non aveva apprezzato nella sua gravità l’abuso di mandato insito nella redazione del regolamento condominiale ad opera della Promedil 84, con cui erano state aumentate le servitù di insegna luminosa, che nel contratto preliminare erano Imitate ad una; che, infine, era erronea anche l’affermazione del diritto di ritenere la caparra e l’esclusione della corresponsabilità della Gabetti..

La Corte di Appello di Roma, con sentenza parziale del 3-6-2002, rigettava l’appello proposto dalla Malica s.p.a. nei confronti della Gabetti s.p.a. e, con sentenza definitiva depositata il 30-6-2005, il gravame proposto nei confronti della Promedil 84.

Per la cassazione di tale ultima sentenza ricorre la Malica s.p.a., sulla base di quattro motivi.

Resiste con controricorso la Marchesina s.p.a., società che ha incorporato la Promedil s.r.l. in virtù di atto di fusione per notaio Giorgio Pozzi di Milano del 16-2-2004, rep. n. 24833.

In prossimità dell’udienza entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Con il primo motivo la ricorrente lamenta F. applicazione degli artt. 1218 ss.., artt. 1453 e 1454 c.c. e l’omessa e insufficiente motivazione in ordine al dedotto inadempimento, da parte della promittente venditrice, dell’obbligo di consegnare al notaio C., designato per il rogito definitivo, la documentazione indicata negli artt. 6 e 7 del preliminare.

Premette, in punto di fatto, che, secondo il preliminare, tale consegna avrebbe dovuto essere effettuata almeno sette giorni prima della data del rogito, da stipularsi il 10-9-1992, e quindi entro il 3-9-2002. Rileva che, avendo la Promedil trasmesso al notaio solo una parte della documentazione, il 23-9-1992 la Malica s.p.a notificava a tale società, ai sensi dell’art. 1454 c.c., formale diffida ad adempiere, invitandola a provvedere alla consegna dell’ulteriore documentazione entro e non oltre il termine di quindici giorni; e che, avendo nelle more la controparte provveduto solo al deposito parziale dei documenti mancanti, il 6/10-11-1992 la Malica inviava alla promittente venditrice un ulteriore atto di significazione e diffida stragiudiziale, con il quale, precisata la gravità delle inadempienze della Promedil, dichiarava la risoluzione del preliminare per fatto e colpa della controparte.

Sostiene che la motivazione resa dalla Corte di Appello per disattendere le censure mosse dall’appellante è insufficiente ed omissiva per due ordini di ragioni:

a) perchè ha stravolto il contenuto del primo motivo di gravame addotto dalla Malica, la quale non ha mai affermato che la promittente venditrice non aveva consegnato nessuno dei documenti indicati dagli artt. 6 e 7 del preliminare, ma ha sempre evidenziato che la Promedil, dopo aver consegnato parte della documentazione dovuta, ha omesso completamente la consegna dell’ulteriore documentazione prevista ai n. 4, 5, 6, 7, 9 dell’art. 6 del preliminare e al successivo art. 7;

b) perchè la contestazione d’inadempimento sollevata dalla Malica s.p.a. non si riferiva al periodo successivo alla seconda diffida ricevuta dalla Promedil il 10-11-1992, bensì al periodo compreso tra la stipula del contratto preliminare e la scadenza del termine ad adempiere di quindici giorni assegnato ex art. 1454 c.c. con la prima diffida notificata alla controparte il 23-9-2002.

Entrambe le censure -con le quali, al di là del riferimento, contenuto nell’intestazione, a violazione di norme di legge, vengono prospettati esclusivamente vizi di motivazione- devono essere disattese.

La Corte di Appello, nel richiamare una lettera del notaio C., dalla quale si desumeva che alla data del 5-10-1992 risultava già consegnata dalla Promedil una serie di documenti, ha ritenuto infondato l’assunto dell’appellante, secondo cui la promittente venditrice non aveva fornito nessuno dei documenti necessari per la stipula. Essa, tuttavia, non si è limitata a tale affermazione, ma ha ritenuto altresì priva di pregio l’ulteriore deduzione della Malica, secondo cui la documentazione consegnata era incompleta e i documenti mancanti non erano mai pervenuti al notaio “nè entro il termine contrattualmente previsto nè successivamente, nè mai”.

Nella specie, pertanto, non vi è stato alcuno “stravolgimento” del contenuto del primo motivo di appello, avendo la Corte territoriale concretamente esaminato e confutato quelle che, secondo il ricorrente, erano le effettive doglianze fatte valere dall’appellante.

Il giudice del gravame, d’altro canto, ha illustrato, con motivazione adeguata e logica e come tale non censurabile in sede di legittimità, le ragioni per le quali ha escluso la gravità del dedotto inadempimento della Promedil; ragioni che risultano fondate da un lato sull’adempimento, sia pure parziale, della promittente venditrice all’obbligo di consegna della documentazione indispensabile per la vendita, e dall’altro sulla natura non essenziale del termine di consegna e sulla sussistenza di successivi accordi intercorsi tra le parti, diretti a prorogare il termine di stipula del contratto definitivo e, conseguentemente, anche quello di consegna della documentazione, ad esso collegato.

2) Con il secondo motivo la Malica s.p.a. denuncia la violazione della L. n. 47 del 1985, artt. 7, 8, 31 e 40 e l’errata e insufficiente motivazione in ordine al secondo motivo di appello, con il quale si denunciava l’esistenza di un abuso edilizio gravante sull’appartamento promesso in vendita e la sua mancata sanatoria.

Afferma che la Corte di Appello, nel disattendere le deduzioni svolte dall’appellante, ha omesso di pronunciarsi sull’esistenza o meno dell’abuso, sulla sua mancata sanatoria e sui suoi effetti sul preliminare e sul rogito definitivo. Rileva che il giudice del gravame, nel ritenere che la variazione di superficie e di volume prodotta dalla chiusura del vano balcone non si configura come un abuso, essendo la sua incidenza rispetto agli indici di misura (superficie e cubatura) inferiore al 2% della normativa regionale, ha erroneamente applicato alla fattispecie in esame la L. n. 47 del 1985, artt. 7 e 8, i quali si riferiscono esclusivamente agli abusi edilizi commessi successivamente all’entrata in vigore di tale legge;

laddove, in relazione alle opere abusive commesse in epoca anteriore, trova applicazione l’art. 31 della citata legge, che sanziona l’abuso in questione. Aggiunge che la Corte di Appello, in modo non condivisibile, ha sostanzialmente ritenuto che la legittimità dell’atto di compravendita, pur in presenza di un abuso edilizio e dell’omessa indicazione della concessione in sanatoria, sarebbe comunque salvaguardata, purchè le parti si limitino a riportare gli estremi della concessione edilizia, “fingendo” che l’abuso non esista.

Il motivo non è meritevole di accoglimento.

Non sussiste, in primo luogo, il dedotto vizio di motivazione, avendo la Corte di Appello esaminato le questioni prospettate dall’appellante, escludendo che la variazione di superficie e di volume prodotta dalla chiusura del vano balcone concretizzi un abuso tale da comportare la nullità dell’atto di compravendita, ai sensi della L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 40.

Quanto alle censure di violazione di legge, si osserva che le stesse muovono dal presupposto che i dedotti abusi siano stati commessi prima dell’entrata in vigore della L. n. 47 del 1985 e che, conseguentemente, per gli stessi non possa trovare applicazione la disciplina dettata dagli artt. 7 e 8 di tale legge, richiamati nella sentenza impugnata. Le deduzioni svolte al riguardo, peraltro, si palesano del tutto generiche, non avendo la ricorrente specificato, nemmeno con approssimazione, l’epoca dell’avvenuta trasformazione del balcone in veranda, nè offerto elementi utili ai fini del relativo accertamento. La Corte di Appello, d’altro canto, nel respingere le censure mosse dall’appellante, ha precisato, sulla scorta delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, che l’edificio di cui fa parte l’appartamento oggetto del preliminare è stato costruito in base a licenza edilizia del 28-11-1961 e successiva voltura del 15-10- 1962, nonchè alla licenza di variante in corso d’opera del 1964; e che l’inizio e la fine dei lavori sono stati certificati rispettivamente al 25-8-1962 e al 4-8-1962, mentre l’abitabilità è stata rilasciata con licenza del 29-10-1965. In mancanza di diverse indicazioni, pertanto, deve ritenersi che il giudice di merito abbia inteso collocare cronologicamente negli stessi anni anche l’esecuzione dell’intervento edilizio che ha comportato la chiusura del vano balcone e il conseguente aumento di volumetria.

Ciò posto, si osserva che, secondo il disposto della L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 40, gli immobili costruiti in epoca anteriore al 2 settembre 1967 sono liberamente commerciabili, qualunque sia l’abuso edilizio commesso dall’alienante, a condizione che, nell’atto pubblico di trasferimento, risulti inserita una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, rilasciata dal proprietario o da altro avente titolo, attestante l’inizio dell’opera in data anteriore al 2 settembre 1967, senza che rilevi, pertanto, ai fini della legittimità del trasferimento, la mancanza dell’attestazione di conformità della costruzione alla licenza edilizia ovvero la esistenza di una concessione in sanatoria (Cass. Sez. 2, 20-3-2006 n. 6162; Cass. Sez. 2, 22-8-1998 n. 8339).

Ne consegue che, nel caso di specie, non può ritenersi legittimo il rifiuto opposto dalla promittente acquirente a prestare il consenso alla stipulazione del contratto definitivo per la semplice esistenza di un abuso edilizio non sanato, che non comportava affatto l’incommerciabilità dell’immobile.

Alla luce di tali considerazioni, il motivo in esame deve essere rigettato, rimanendo assorbite le ulteriori deduzioni svolte dalla ricorrente.

3) Con il terzo motivo la ricorrente si duole della violazione ed errata applicazione degli artt. 1476, 1477, 1489, 1490, 1492, 1375, 1710 c.c., nonchè dell’errata e insufficiente motivazione in ordine al terzo motivo di appello, con cui si contestava l’inadempimento della Promedil 84 per le onerose servitù passive poste a carico dell’immobile dopo la stipula del contratto preliminare e per l’abuso di mandato nella formazione del regolamento condominiale.

Afferma che all’atto della stipula di preliminare il fabbricato condominiale era gravato da servitù passiva costituita dalla installazione di una insegna luminosa “SAI” sul tetto del fabbricato, e che nel predetto contratto era stato espressamente trasfuso l’obbligo della venditrice di consegnare gli immobili promessi in vendita “nello stato di fatto e di diritto in cui si trovano”.

Sostiene che, successivamente alla stipula del preliminare, la Promedil, abusando del mandato conferitole per la redazione del regolamento condominiale, statuiva in favore della SAI s.p.a., il “diritto perpetuo e gratuito, per sè ed aventi causa, di esporre sulle facciate corrispondenti alle unità immobiliari di sua proprietà, insegne pubblicitarie anche luminose””. Deduce che la Corte di Appello, nel disattendere le doglianze mosse dalla Malica s.p.a. sul rilievo che quest’ultima, nel preliminare, aveva riconosciuto ampia discrezionalità alla Promedil 84 nella redazione del regolamento condominiale, e nell’aggiungere che, in ogni caso, il denunciato comportamento della promittente venditrice non era di gravità tale da comportare la risoluzione del contratto preliminare, ha violato gli articoli del codice civile innanzi indicati, che disciplinano tanto i limiti e l’abuso del mandato inter partes, quanto l’inosservanza degli obblighi della parte venditrice rispetto alla consegna dell’oggetto della vendita, quanto il diritto di risoluzione del contratto da parte del promittente acquirente in caso di illegittimo aggravamento degli oneri posti a carico dell’immobile oggetto del preliminare.

Il motivo è infondato, riproponendo sostanzialmente le stesse censure di merito già sottoposte al giudice di appello, senza confrontarsi con le specifiche e articolate argomentazioni che hanno indotto la Corte di Appello ad escludere che la previsione, nel regolamento condominiale predisposto dalla Promedil, del diritto di installazione delle insegne luminose in favore della SAI, possa considerarsi un aggravamento dello stato di fatto e di diritto delle unità immobiliari promesse in vendita e concretare, comunque, un inadempimento contrattuale di gravità tale da giustificare la risoluzione del contratto preliminare. Argomentazioni che, partendo dalla premessa dell'”ampia discrezionalità” riconosciuta, nel preliminare, dalla Malica alla Promedil nella redazione del regolamento condominiale, prendono in considerazione il comportamento della società convenuta -la quale, sia pure in rappresentanza della Promedil, ha partecipato all’assemblea condominiale in cui si è proceduto all’approvazione del regolamento condominiale, poi ritenuto pregiudizievole-, per poi porre in evidenza come dal riconoscimento in favore della SAI del diritto di esporre le insegne luminose non poteva derivare alcun pregiudizio diretto ed immediato alle unità immobiliari promesse in vendita, ma, a tutto concedere, solo una limitazione dei diritti del futuro acquirente quale condomino.

La ricorrente, in realtà, non ha evidenziato eventuali vizi logici della motivazione e, per quanto concerne le dedotte violazioni di legge, si è limitata ad una lunga elencazione di norme codicistiche asseritamente lese, senza spiegare le ragioni per le quali, a suo parere, la decisione impugnata si pone in contrasto con tali disposizioni. Orbene, come è stato più volte affermato da questa Corte, è inammissibile il ricorso per cassazione nel quale non venga precisata, nei suoi contenuti, la violazione di legge nella quale sarebbe incorsa la pronuncia di merito, non essendo al riguardo sufficiente la sola indicazione delle singole norme che si assumono violate, non seguita da alcuna dimostrazione per mezzo di una circostanziata critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito, dovendo il ricorrente porre la Corte di legittimità in condizioni di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione (tra le tante v. Cass. Sez. 2, 19-1-2005 n. 1063; Cass. Sez. 2, 2-7-2004 n. 12127).

4) Con il quarto motivo la Malica s.p.a. lamenta l’omessa motivazione e la mancata applicazione di norme di diritto, nonchè l’insussistenza dei presupposti giuridici e di fatto inerenti la richiesta di ritenzione della caparra da parte della promittente venditrice. Nel riportarsi a quanto esposto nel quarto motivo di appello, deduce che la Corte di Appello ha totalmente omesso di pronunciarsi sulla questione dell’illegittimo riconoscimento in favore della Promedil 84 del diritto di ritenzione della caparra.

Il motivo è inammissibile, limitandosi ad un mero rinvio per relationem alle deduzioni svolte con l’atto di appello, senza specificare in concreto il contenuto delle doglianze sulle quali il giudice del gravame ha omesso di pronunciare, in modo da consentire a questa Corte di esprimere le necessarie valutazioni.

E invero, secondo il costante orientamento della giurisprudenza, allorquando con il ricorso per Cassazione si lamenti il mancato esame, da parte del giudice d’appello, delle critiche rivolte alla sentenza di primo grado, è necessario che il ricorrente specifichi quali siano state queste critiche, onde consentire al giudice di legittimità di valutare la dedotta omissione. Nè il requisito della specificità, completezza e riferibilità dei motivi del ricorso alla decisione impugnata può dirsi rispettato quando il ricorso per cassazione è basato sul richiamo ai motivi di appello, nonchè alle deduzioni svolte nei precedenti gradi del giudizio; e ciò in quanto l’onere della indicazione specifica dei motivi di impugnazione, imposto a pena di inammissibilità del ricorso per Cassazione dall’art. 366 c.p.c., n. 4, qualunque sia il tipo di errore per cui è proposto (in procedendo o in indicando), non può essere assolto per relationem, con il generico rinvio ad atti del giudizio di appello, senza la esplicazione del loro contenuto (tra le tante v.

Cass. Sez. 2, 21-2-2007 n. 4021; Cass. Sez. 2, 23-21-2007 n. 1406; 1, 21-10-2005 n. 20454).

5) Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente gradoni giudizio, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 5.400,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 2 settembre 2011

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