Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18037 del 04/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 04/07/2019, (ud. 20/02/2019, dep. 04/07/2019), n.18037

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26180-2017 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

OMBRONE, 14, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE CAPUTI,

rappresentata e difesa dall’avvocato STEFANIA MARIA LEPORE;

– ricorrente –

contro

R.B., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA B. TORTOLINI

30, presso lo studio dell’avvocato ALFREDO PLACIDI, rappresentata e

difesa dall’avvocato IDA MARIA DENTAMARO;

– controricorrente –

contro

CASSA NAZIONALE PREVIDENZA E ASSISTENZA FORENSE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1215/2017 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 12/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/02/2019 dal Consigliere Relatore Dott. LUIGI

CAVALLARO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza depositata il 12.5.2017, la Corte d’appello di Bari, in riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato Equitalia Sud s.p.a. a pagare alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense somme per contributi dovuti dall’avv. Barbara Resta e dichiarati prescritti;

che avverso tale pronuncia Agenzia delle Entrate-Riscossione ha proposto ricorso per cassazione, deducendo un motivo di censura; che l’avv. Barbara Resta ha resistito con controricorso, mentre la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense è rimasta intimata;

che è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con l’unico motivo di censura, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2946 c.c., del D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, e della L. n. 335 del 1995, art. 3, per avere la Corte di merito

ritenuto che il credito portato dalla cartella opposta di prescrivesse in cinque anni;

che questa Corte, al riguardo, ha già chiarito che il principio di carattere generale secondo cui la scadenza del termine perentorio sancito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo, o comunque di riscossione coattiva, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito, ma non anche la cd. “conversione” del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi dell’art. 2953 c.c., si applica con riguardo a tutti gli atti – in ogni modo denominati – di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali, ovvero di crediti relativi ad entrate dello Stato, tributarie ed extratributarie, nonchè di crediti delle Regioni, delle Province, dei Comuni e degli altri enti locali, nonchè delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie o amministrative e così via, di talchè, ove per i relativi crediti sia prevista una prescrizione più breve di quella ordinaria (come prevede la L. n. 335 del 1995, art. 3, per i contributi previdenziali, sicuramente applicabile in specie ratione temponis), il relativo termine continua a trovare applicazione anche nei confronti del soggetto titolare del potere di riscossione, salvo che in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo (Cass. S.U. n. 23397 del 2016, cui hanno dato seguito, tra le tante, Cass. nn. 11800 e 31352 del 2018, 1091 del 2019);

che, non offrendo parte ricorrente argomenti idonei a rimeditare il suesposto principio di diritto, limitandosi a prospettare ragioni giuridiche già esaurientemente vagliate dalle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. in particolare p.p. 18.1, 19.3 e 19.6 della parte motiva), il ricorso deve reputarsi inammissibile ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, (Cass. S.U. n. 7155 del 2017);

che, in considerazione della soccombenza, parte ricorrente va condannata alla rifusione delle spese nei confronti della parte controricorrente, liquidate come da dispositivo, mentre nulla va pronunciato nei confronti della Cassa Forense, non avendo quest’ultima svolto alcuna attività difensiva;

che, in considerazione della declaratoria d’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità in favore di parte controricorrente, liquidandole in Euro 1.700,00, di cui Euro 1.500,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15A e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 20 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2019

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