Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18035 del 21/07/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 21/07/2017, (ud. 21/04/2017, dep.21/07/2017),  n. 18035

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 891-2012 proposto da:

D.V.M., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA ANTONIO GRAMSCI 14, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO

HERNANDEZ, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE DI (OMISSIS), P.I. 01760610814, in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE ANGELICO 45, presso lo studio

dell’avvocato FAUSTO BUCCELLATO, rappresentata e difesa

dall’avvocato SALVATORE PARISI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1758/2010 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 28/12/2010 R.G.N. 1854/08;

Fatto

RILEVATO

che con sentenza in data 28 dicembre 2010 la Corte di Appello di Palermo ha riformato la sentenza del Tribunale di Trapani n. 544 del 2007 che, in parziale accoglimento del ricorso proposto da D.V.M., aveva condannato l’Azienda sanitaria provinciale di (OMISSIS) (già Azienda Ospedaliera S. Antonio Abate di (OMISSIS)) a pagare al lavoratore la somma di Euro 2.922,17, a titolo di indennità di coordinamento per il periodo dal 20 settembre 2001 al 31 marzo 2003; che la Corte d’Appello, accogliendo l’impugnazione dell’Azienda, ha rigettato la domanda proposta da D.V.M., statuendo che nella specie mancava la valutazione discrezionale dell’Azienda, alla quale era subordinato il riconoscimento dell’indennità in questione;

che per la cassazione della sentenza di appello ricorre il lavoratore prospettando un motivo di ricorso;

che resiste con controricorso l’Azienda sanitaria provinciale di (OMISSIS), che ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che con l’unico motivo di ricorso il D.V. prospetta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione di norme di diritto (norme sull’interpretazione dei contratti e del contratto collettivo nazionale di lavoro);

che il ricorrente, dipendente in servizio presso l’Azienda Ospedaliera “S. Antonio Abate”, con la qualifica di collaboratore professionale sanitario (pag. 4 del ricorso per cassazione che richiama l’atto introduttivo del giudizio), dopo aver premesso di aver svolto le funzioni di coordinamento, ripercorre illustrandole le disposizioni del CCNL che vengono in rilievo nella fattispecie in esame, e alla luce delle stesse, assume l’erroneità della interpretazione operata dalla sentenza di appello, in quanto l’art. 10, comma 7, del CCNL di comparto, va interpretato nel senso che l’indennità di coordinamento è legata direttamente ed esclusivamente al conferimento dell’incarico di coordinamento, sia che riguardi il personale inquadrato nella categoria D, sia che riguardi il personale inquadrato nella categoria C, senza prevedere discrezionalità alcuna nell’attribuzione dell’indennità qualora l’incarico sia stato conferito;

che il motivo di ricorso non è fondato, in ragione dei principi già enunciati da questa Corte con le sentenze n. 16088 del 2016 e n. 15444 del 2016), ai quali si intende dare continuità, atteso che le argomentazioni del ricorrente non introducono argomenti per una diversa statuizione;

che le suddette pronunce hanno affermato che l’attribuzione al personale proveniente dalla categoria C dell’indennità di coordinamento, ai sensi dell’art. 7, comma 10, del CCNL di settore, richiede una valutazione aziendale in ragione della propria situazione organizzativa, non sussistendo, in fase di prima applicazione del contratto collettivo, per il personale proveniente dalla categoria C, un automatismo tra indennità di coordinamento e svolgimento della funzione di coordinamento;

che il contratto collettivo nazionale di lavoro, comparto sanità, 2^ biennio economico 2000-2001, per favorire il processo di riordino e riorganizzazione delle professioni sanitarie prevedeva – ravvisando che l’insieme dei requisiti richiesti al personale appartenente alla categoria C del ruolo sanitario nonchè al profilo di operatore professionale assistente sociale del ruolo tecnico, per contenuti di competenze, conoscenze e capacità necessarie per l’espletamento delle relative attività lavorative, corrisponde a quello della categoria D dei rispettivi profili – la ricollocazione del personale della categoria C nella categoria D;

che al personale già appartenente alla categoria D e svolgente funzioni effettive di coordinamento veniva attribuita una specifica indennità (cfr. artt. 9 e 10);

che ai sensi del comma 7 dell’art. 10, del citato CCNL, in sede di prima applicazione del contratto, al fine di evitare duplicazione di benefici, l’incarico di coordinamento era affidato di norma al personale già appartenente alla categoria D alla data del contratto stesso, ed era rimessa alla valutazione aziendale, in base alla propria situazione organizzativa, la possibilità di attribuire l’indennità di coordinamento di cui al comma l’art. 10, comma 1, anche al personale proveniente dalla categoria C cui sia riconosciuto l’espletamento di funzioni di effettivo coordinamento ai sensi dell’art. 8, commi 4 e 5;

che, dunque, come affermato dalla Corte d’Appello, il tenore delle disposizioni contrattuali richiamate evidenzia il fondamento contrattuale della possibilità di attribuire tale indennità al personale proveniente dalla categoria C (quale l’odierno ricorrente, si veda pag. 7 del ricorso per cassazione) all’esito di una valutazione dell’Azienda che deve tenere conto della propria situazione organizzativa, che nella specie, afferma la Corte d’Appello con statuizione non censurata, era mancata;

che il ricorso deve essere rigettato;

che le spese seguono la soccombenza e vengono regolate come da dispositivo;

che non sussistono la condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro tremila per compensi professionali, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie in misura del 15 per cento e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 21 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2017

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