Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18035 del 02/09/2011

Cassazione civile sez. lav., 02/09/2011, (ud. 14/07/2011, dep. 02/09/2011), n.18035

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. DI CERBO Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, domiciliata in ROMA, PIAZZA MAZZINI 27, presso lo studio

all’avvocato TRIFIRO’ E PARTNERS, rappresentata e difesa

dall’avvocato FAVALLI GIACINTO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

S.D., P.K.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 618/2006 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 01/08/2006 r.g.n. 50/05 + 1;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/07/2011 dal Consigliere Dott. VINCENZO DI CERBO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

Che:

1. la Corte d’appello di Milano ha confermato le sentenze di prime cure nella parte in cui hanno dichiarato l’illegittimità del termine apposto ai contratti stipulati da Poste Italiane s.p.a. con K. P. e S.D.;

per la cassazione di tale sentenza Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso; le lavoratrici sono rimaste intimate;

il Collegio ha disposto che sia adottata una motivazione semplificata;

2. preliminarmente deve rilevarsi che il ricorso è stato notificato alle lavoratrici a mezzo del servizio postale; per quanto riguarda la P. non è stata peraltro depositata la cartolina relativa all’avviso di ricevimento, come accertato dal collegio attraverso l’esame del fascicolo processuale;

sulle conseguenze del suddetto mancato deposito deve applicarsi il principio affermato da queste Sezioni Unite (Cass. S.U. 14 gennaio 2008 n. 627, recentemente ribadito da Cass. 4 giugno 2010 n. 13639), secondo cui, premesso che la produzione dell’avviso di ricevimento del piego raccomandato contenente a copia del ricorso per cassazione spedita per la notificazione a mezzo del servizio postale ai sensi dell’art. 149 cod. proc. civ., è richiesta dalla legge in funzione della prova dell’avvenuto perfezionamento del procedimento notificatorio e, dunque, dell’avvenuta instaurazione del contraddicono, la mancata produzione dell’avviso di ricevimento, in assenza di attività difensiva da parte dell’intimato, determina l’inammissibilità del ricorso per cassazione, non essendo consentita la concessione di un termine per il deposito e non ricorrendo i presupposti per la rinnovazione della notificazione ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ.;

il ricorso nei confronti di P.K. deve essere dichiarato, pertanto, inammissibile;

3. S.D. è stata assunta con contratto, con decorrenza 28 agosto 1998, stipulato per esigenze eccezionali … ai sensi dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, come integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997;

4. la Corte di merito ha ritenuto l’illegittimità del termine apposto al suddetto contratto avendo attribuito rilievo decisivo, tra l’altro, alla considerazione che il contratto in esame è stato stipulato in data successiva al 30 aprile 1998;

5. tale considerazione – in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al c.c.n.l. del 2001 ed al D.Lgs. n. 368 del 2001) – è sufficiente a sostenere l’impugnata decisione, in relazione alla nullità del termine apposto al contratto de quo; devono essere pertanto rigettati il terzo, quarto, quinto e sesto motivo di ricorso che censurano la suddetta conclusione circa l’illegittimità del termine sotto il profilo della violazione di legge (L. n. 56 del 1987, art. 23, L. n. 230 del 1962, artt. 1 e 2, artt. 1362 e segg.

cod. civ.) e del vizio di motivazione;

al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588, è stato precisato che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato” (cfr. Cass. 4 agosto 2008 n. 21063;

cfr. altresì Cass. 20 aprile 2006 n. 9245, Cass. 7 marzo 2005 n. 4862, Cass. 26 luglio 2004 n. 14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati all’individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato.” (cfr., fra le altre, Cass. 4 agosto 2008 n. 21062, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378); in tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi de contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v.

fra le altre Cass. 23 agosto 2006 n. 18383, Cass. 14 aprile 2005 n. 7745, Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866); in particolare, quindi, come questa Corte ha univocamente affermato e come va anche qui ribadito, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con l’ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti in contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1” (v., fra le altre, Cass. 1 ottobre 2007 n. 20608; Cass. 28 gennaio 2008 n. 28450; Cass. 4 agosto 2008 n. 21062; Cass. 27 marzo 2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.);

6. col primo e secondo motivo la società ricorrente censura (denunciando violazione dell’art. 1372 cod. civ. e vizio di motivazione) la statuizione della sentenza impugnata che ha rigettato l’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso;

i motivi sono inammissibili; deve premettersi che sulla suddetta eccezione la Corte di appello di Milano si è pronunciata con esclusivo riferimento alla posizione della lavoratrice P. ed ha omesso di pronunciarsi su quella medesima eccezione proposta con riferimento alla lavoratrice S.; nei confronti di quest’ultima sussiste pertanto un vizio di omessa pronuncia che, come precisato da questa Corte di legittimità (cfr., ad esempio, Cass. 11 febbraio 2009 n. 3357) è configurabile con riferimento a domande o eccezioni che, come nel caso di specie, richiedano una statuizione di accoglimento o di rigetto; deve applicarsi a caso di specie il principio enunciato, in particolare, da Cass. 4 giugno 2007 n. 12952 secondo cui la decisione del giudice di secondo grado che non esamini e non decida un motivo di censura della sentenza del giudice di primo grado è impugnabile per cassazione non già per omessa o insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia bensì per omessa pronuncia su un motivo di gravame; ne consegue, quindi, che, se il vizio è denunciato, come nel caso di specie, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 3 o n. 5, anzichè dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 4, in relazione all’art. 112 c.p.c., il ricorso si rivela inammissibile;

7. l’ultimo motivo di ricorso, col quale viene denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 1206, 1207, 1217, 1219, 2094, 2099 e 2697 cod. civ. oltre che della L. n. 300 del 1970, art. 18, con riferimento alla statuizione con la quale la Corte territoriale ha condannato la società, in relazione alla declaratoria di illegittimità del termine apposto al contratto de quo, al pagamento nei confronti della lavoratrice, delle retribuzioni maturate dalla data di messa in mora, è inammissibile;

la società, in sostanza, premesso che il diritto alla retribuzione postula la prestazione lavorativa, deduce che la situazione di mora accipiendi non è integrata nemmeno dalla domanda introduttiva del giudizio; sotto altro profilo deduce che affermare il diritto alla retribuzione fino alla ricostituzione effettiva del rapporto costituisce violazione della L. n. 300 del 1970, art. 18; il motivo così riassunto si conclude con la formulazione del seguente quesito ex art. 366 bis cod. proc. civ.: dica la Corte se, per il principio di corrispettività della prestazione, il lavoratore – a seguito dell’accertamento giudiziale dell’illegittimità del contratto a termine stipulato – ha diritto al pagamento delle retribuzioni soltanto dalla data di riammissione in servizio, salvo che abbia costituito in mora il datore di lavoro, offrendo espressamente la prestazione lavorativa nel rispetto della disciplina di cui agli artt. 1206 e segg. cod. civ.; in ogni caso, se il mero deposito dei ricorso possa essere qualificato come messa in mora del datore di lavoro; ed infine se il preteso diritto al pagamento delle retribuzioni perdute si riferisca anche al periodo successivo alla data di lettura del dispositivo della sentenza;

se si tiene conto del principio secondo cui il quesito di diritto deve essere formulato in maniera specifica e deve essere pertinente rispetto alla fattispecie cui si riferisce la censura (cfr., ad es., Cass. S.U. 5 gennaio 2007 n. 36; Cass. S.U. 5 febbraio 2008 n. 2658) è evidente che il quesito come sopra formulato dalla società si risolve nella enunciazione in astratto delle regole vigenti nella materia ed omette di enucleare il momento di conflitto, rispetto ad esse, del concreto accertamento operato dai giudici di merito; il motivo deve pertanto considerarsi inammissibile ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ.;

8. con riferimento all’ultimo motivo esaminato, concernente, in buona sostanza, le conseguenze economiche della dichiarazione di nullità della clausola appositiva del termine, si pone il problema dell’applicazione dello ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7, in vigore dal 24 novembre 2010;

va premesso, in via di principio, che costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27 febbraio 2004 n. 4070); in tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che investe, anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad essere sussistente, sia altresì ammissibile secondo la disciplina sua propria; in caso di inammissibilità delle censure in ordine alle conseguenze economiche dell’accertata nullità del termine, come del caso di specie, non sussistono i presupposti per applicare lo ius superveniens;

9. il ricorso nei confronti della S. va pertanto respinto;

10. nulla deve essere disposto in materia di spese del giudizio di cassazione atteso che entrambe le lavoratrici sono rimaste intimate e non hanno svolto alcuna attività processuale.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso nei confronti di P. e rigetta il ricorso nei confronti di S.; nulla spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 2 settembre 2011

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