Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18034 del 19/08/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 18034 Anno 2014
Presidente: COLETTI DE CESARE GABRIELLA
Relatore: TRIA LUCIA

SENTENZA
sul ricorso 21869-2008 proposto da:
TABARELLI ARRIGO in proprio e quale titolare della
ditta individuale GUANTIFICIO ARTIGIANO DI TABARELLI
ARRIGO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE
GIULIO CESARE 21/23, presso lo studio dell’avvocato
CARLO BOURSIER NIUTTA, che lo rappresenta e difende
2014
1514

unitamente all’avvocato GIANPIERO BELLIGOLI, giusta
delega in atti;
– ricorrente contro

I.N.A.I.L – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE

Data pubblicazione: 19/08/2014

CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO C.F. 01165400589, in
persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE
144, presso lo studio degli avvocati PIGNATARO
ADRIANA, GIANDOMENICO CATALANO giusta delega in atti;

nonchè contro

CARIVERONA BANCA S.P.A.;
– intimata nonchè contro

– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE

C.F.

80078750587

in

persona

del

suo

Presidente e legale rappresentante pro tempore, in
proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A.
Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S.,
C.F. 05870001004, elettivamente domiciliati in ROMA,
VIA CESARE BECCARIA N. 29, presso l’Avvocatura
Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli
avvocati ANTONIETTA CORETTI, LUIGI CALIULO, LELIO
MARITATO, ITALO PIERDOMINICI, giusta delega in calce
alla copia notificata del ricorso;
– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 84/2008 della CORTE D’APPELLO
di VENEZIA, depositata il 03/06/2008 R.G.N. 840/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 30/04/2014 dal Consigliere Dott. LUCIA

– controrícorrente –

TRIA;
udito l’Avvocato ARMENTANO ANTONIO per delega
BOURSIER NIUTTA CARLO;
udito l’Avvocato DE ROSE EMANUELE per delega MARITATO
LELIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

udito l’Avvocato CATALANO GIANDOMENICO;

Udienza del 30 aprile 2014 — Aula A
n. 5 del ruolo — RG n. 21869/08
Presidente: Coletti – Relatore: Tria

1.— La sentenza attualmente impugnata (depositata il 3 giugno 2008) respinge l’appello
proposto da Arrigo Tabarelli, in proprio e quale titolare della ditta individuale Guantificio artigiano
di Tabarelli Arrigo, avverso la sentenza n. 268/2005 del Tribunale di Verona, di rigetto delle
opposizioni del Tabarelli contro una ordinanza ingiunzione e tre cartelle esattoriali, delle quali una
dell’INAIL, tutte relative al medesimo accertamento effettuato dall’INPS in data 6 luglio 1998, nel
quale veniva contestata la durata dell’apprendistato dei dipendenti quale indicata dal Tabarelli, che
l’Ente accertatore riteneva eccessiva rispetto alle lavorazioni svolte dalla ditta.
La Corte d’appello di Venezia, per quel che qui interessa, precisa che:
a) la materia oggetto del presente giudizio è quella della durata dell’apprendistato presso la
ditta suindicata, accertata per il periodo 20 febbraio 1993-29 luglio 1994;
b) mentre per l’interessato la suddetta durata era pari a cinque anni, secondo l’Ente accertatore
essa, in base al CCNL del settore tessile, abbigliamento, calzature, andava individuata in tre anni,
con conseguente recupero delle differenze contributive;
c) la ditta sostiene che vi sarebbe stata una “duplicazione” dei verbali degli Enti accertatori,
riferiti tutti al medesimo oggetto, ma non produce i verbali dell’Ispettorato del lavoro per consentire
di verificare se, come sostiene la stessa ricorrente, gli accertamenti compiuti dall’Ispettorato hanno
riguardato tutta l’attività imprenditoriale ovvero, come afferma l’INPS, si sono concentrati solo sui
profili relativi al rispetto della normativa in materia di appalti e sub-appalti;
d) comunque, i suddetti verbali dell’Ispettorato potevano costituire, nella specie, quanto meno
un riferimento di tipo argomentativo, visto che i relativi accertamenti sono stati eseguiti prima
dell’entrata in vigore della norma che ha introdotto l’effetto preclusivo invocato dal Tabarelli, la
quale, pertanto, da un punto di vista temporale, non è applicabile al caso in esame;
e) quanto al tipo di lavorazione eseguita dalla ditta, dall’istruttoria svolta è emerso
inequivocabilmente che si trattava di lavorazioni esclusivamente in serie, nelle quali le dipendenti
erano spinte a produrre ingenti quantità di capi al giorno, con una sostanziale vanificazione del
potenziale spazio dedicato alla formazione, momento fondamentale per un rapporto di
apprendistato.
2.— Il ricorso di Arrigo Tabarelli — in proprio e quale titolare della ditta individuale
Guantificio artigiano di Tabarelli Arrigo — domanda la cassazione della sentenza per due motivi;
resiste, con controricorso, l’INAIL. Il ricorrente deposita anche memoria ex art. 378 cod. proc. civ.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’INPS intimato deposita delega in calce al ricorso notificato e partecipa alla discussione
orale in udienza. CARIVERONA Banca s.p.a. non svolge attività difensiva.
3.- La discussione della causa è stata originariamente fissata per l’udienza pubblica del 19
febbraio 2014; in quella sede ne è stato disposto il rinvio a nuovo ruolo, in considerazione della
dichiarazione di adesione all’astensione dell’attività giudiziaria proclamata dall’OUA — Organismo
Unitario Avvocatura Italiana — presentata dall’avvocato Carlo Boursier Niutta, difensore del
ricorrente.

I

Sintesi dei motivi di ricorso

1. Il ricorso è articolato in due motivi, formulati in conformità dell’art. 366-bis cod. proc.
civ., applicabile nella specie, ratione temporis.

1.1.— Con il primo motivo si denunciano: a) violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3,
comma 3, della legge n. 402 del 1996, con riferimento agli arti. 11 e 12 delle preleggi, nonché agli
artt. 1362 e ss. cod. civ. e all’art. 2697 cod. civ.; b) omessa, insufficiente o contraddittoria
motivazione circa le attestazioni dell’Ispettorato del lavoro.
Si contesta l’affermazione della Corte territoriale secondo cui non è stato possibile effettuare
l’eventuale verifica del contenuto dei verbali di accertamento perché l’interessato non li ha prodotti.
Si sostiene che — come evidenziato anche nell’atto di appello — nella specie, i suddetti verbali
non sono stati redatti in quanto l’obbligo della redazione per iscritto dei verbali di accertamento
anche in caso di constatata regolarità della situazione datoriale è stato introdotto soltanto con l’art.
3, comma 20, della legge n. 335 del 1995.
Detto questo, si invoca l’applicazione retroattiva dell’art. 3, comma 3, della legge n. 402 del
1996 — recte: del!’ art. 3, comma 3, del decreto-legge 14 giugno 1996, n. 318, convertito con
modificazioni dalla legge 29 luglio 1996, n. 402 — che ha aggiunto tre periodi al comma 20 dell’art.
3, della legge 8 agosto 1995, n. 335, ove, fra l’altro, si stabilisce che, nei casi in cui in sede di
accertamento sia stata attestata la regolarità della situazione, gli adempimenti amministrativi e
contributivi relativi ai periodi di paga anteriore alla data dell’accertamento ispettivo stesso non
possono essere oggetto di contestazioni in successive verifiche ispettive, salvo quelle determinate
da comportamenti omissivi o irregolari del datore di lavoro o conseguenti a denunce del lavoratore.
Si sostiene che il principio di irretroattività della legge — elevato a dignità di precetto
costituzionale solo in materia penale — non comporta che la legge nuova non possa essere applicata
anche ai rapporti giuridici sorti anteriormente e ancora in vita (non essendo maturata la
prescrizione) se ciò non implichi l’eliminazione di effetti già verificatisi.
In altri termini, nella nuova normativa non sarebbe rinvenibile alcun elemento che impedisca
che l’effetto preclusivo in essa previsto possa riguardare anche i verbali ispettivi redatti prima della
data di entrata in vigore della legge rispetto ad altri analoghi verbali redatti dopo la suddetta data.

2

MOTIVI DELLA DECISIONE

Si aggiunge, inoltre, che la prospettata applicazione dovrebbe riguardare anche la
“duplicazione” tra i verbali o le attestazioni redatti dall’Ispettorato del lavoro e quelli da funzionari
del Servizio Ispettivo dell’INPS.

Successivamente, il Servizio Ispettivo dell’INPS, con verbale del 6 luglio 1998, ha deliberato
— per il periodo 20 febbraio 1993-29 luglio 1994, data di cessazione dell’attività dell’azienda — il
recupero dei contributi in ragione della riduzione da cinque a tre anni del periodo di durata
dell’apprendistato.
Si è, pertanto, verificata una situazione, certamente non consentita dall’art. 3, comma 20, della
legge n. 335 del 1995, nel testo modificato dall’art. 3, comma 3, del d.l. n. 318 del 1996 cit., per
effetto di un atto – il citato verbale del Servizio Ispettivo dell’INPS — emesso il 6 luglio 1998 e,
quindi, dopo l’entrata in vigore nella nuova normativa.
1.2.— Con il secondo motivo si denuncia erronea applicazione dell’art. 2697 cod. civ. con
riferimento a quanto previsto dal CCNL del 1993 e dal CIA del 1988.
Si contesta la statuizione della Corte veneziana secondo cui l’ingente quantità dei capi
prodotti porta ad escludere che le lavorazioni fossero su misura, mentre appare coerente con
lavorazioni esclusivamente in serie.
Si sostiene che i presupposti per la durata dell’apprendistato devono essere ricavati non
soltanto dal CCNL ma anche dal contratto integrativo aziendale del 1988, abilitato ad allungare i
termini di durata dell’apprendistato in relazione alle particolarità dell’azienda. Si soggiunge che,
comunque, alcune fasi della lavorazione erano manuali.

II Esame delle censure

2.- Il ricorso non è da accogliere, per le ragioni di seguito esposte, pur dovendo puntualizzarsi
(ex art. 384 cod. proc. civ., u.c.) la motivazione contenuta nella sentenza impugnata con riguardo
alle questioni trattate nel primo motivo.
3.- Il ricorrente, con il primo mezzo d’impugnazione, sostiene che, nel caso in esame, vi
sarebbe stata una duplicazione di interventi degli Enti accertatori, in quanto per il medesimo
periodo e per il medesimo oggetto, dopo una serie di visite da parte dell’Ispettorato del Lavoro
svoltesi nel 1993 e nel 1994 — conclusesi tutte con l’attestazione della regolarità del trattamento
riservato ai dipendenti, con riguardo alle disposizioni in materia retributiva e a quelle disciplinanti
le assicurazioni sociali e previdenziali — il verbale del 6 luglio 1998, redatto all’esito di un
accertamento congiunto dell’INPS e dell’INAIL ha rilevato per il medesimo periodo delle omissioni
contributive derivanti dal computo della durata dell’apprendistato in cinque anni, anziché in tre
anni, come ritenuto dagli enti accertatori in considerazione del tipo di lavorazione svolta dalla ditta.
3

In particolare, nella specie, è accaduto che l’Ispettorato del lavoro (con nota del 30 marzo
1994, non indirizzata alla ditta, ma soltanto al Ministero del Lavoro) ha attestato l’osservanza, da
parte del Guantificio artigiano di cui si tratta, delle norma “della legislazione del lavoro e
contrattuali vigenti, a tutela dei lavoratori e, in particolare, di quelle che disciplinano gli appalti e i
sub-appalti “.

4.- La norma suindicata dispone testualmente che: “Gli accertamenti ispettivi in materia
previdenziale e assicurativa esperiti nei confronti dei datori di lavoro debbono risultare da appositi
verbali, da notificare anche nei casi di constatata regolarità. Nei casi di attestata regolarità ovvero di
regolarizzazione conseguente all’accertamento ispettivo eseguito, gli adempimenti amministrativi e
contributivi relativi a periodi di paga anteriore alla data dell’accertamento ispettivo stesso non
possono essere oggetto di contestazioni in successive verifiche ispettive, salvo quelle determinate
da comportamenti omissivi o irregolari del datore di lavoro o conseguenti a denunce del lavoratore.
La presente disposizione si applica anche agli atti e documenti esaminati dagli ispettori ed indicati
nel verbale di accertamento, nonché ai verbali redatti dai funzionari della Direzione regionale del
lavoro in materia previdenziale e assicurativa….”.
Come già affermato da questa Corte, con orientamento cui il Collegio intende dare continuità,
contrariamente a quanto ritenuto nell’impugnata sentenza, la norma riguarda e disciplina
direttamente “gli accertamenti ispettivi” e non gli obblighi e i periodi contributivi, con la
conseguenza che la stessa va applicata agli accertamenti ispettivi successivi alla sua entrata in
vigore, pur riguardanti periodi contributivi precedenti (vedi, per tutte: Cass. 13 giugno 2007, n.
13784; Cass. 28 settembre 2004, n. 19373; Cass. 10 giugno 2008, n. 15333).
Inoltre, stante la chiara lettera della norma (“La presente disposizione si applica anche agli atti
e documenti esaminati dagli ispettori ed indicati nel verbale di accertamento, nonché ai verbali
redatti dai funzionari della Direzione regionale del lavoro in materia previdenziale e assicurativa”),
di deve precisare che i “casi di attestata regolarità” riguardano anche e in primo luogo proprio gli
accertamenti ispettivi, non essendovi alcuna limitazione, in tal senso, dell’effetto preclusivo.
Nello stesso quadro anche la espressa esclusione dei casi di “successive verifiche ispettive
determinate da comportamenti omissivi o irregolari del datore di lavoro o conseguenti a denunce del
lavoratore”, non può essere intesa in senso lato, con conseguente totale vanificazione della portata e
della ratio della norma. Se espressamente è precluso il riesame con riferimento agli “atti e
documenti esaminati dagli ispettori ed indicati nel verbale di accertamento”, dal cui esame non sia
stata, in precedenza, riscontrata alcuna inadempienza, è evidente che la stessa documentazione non
può essere riesaminata e rimessa in discussione, se non risultano nuovi (e diversi) elementi (fra i
quali possono includersi le denunce del lavoratore) che consentono il riesame e che, appunto,
“determinano” la successiva verifica ispettiva.
5.- Ne consegue che — diversamente da quanto affermato dalla Corte veneziana — non possono
nutrirsi dubbi sull’applicabilità dell’art. 3, comma 20, della legge n. 335 del 1995, come modificato
dall’art. 3, del d.l. n. 318 del 1996 convertito dalla legge n. 402 del 1996, al verbale ispettivo del
1998. Pertanto, la motivazione della sentenza impugnata deve essere corretta con riguardo alla
individuazione dell’efficacia temporale (e anche contenutistica) della nuova normativa.
4

Ad avviso del ricorrente dopo le prime ispezioni, conclusesi con esito negativo, gli enti
accertatori non avrebbero potuto contestare successivamente con altro verbale omissioni
contributive verificatesi nel medesimo periodo già vagliato in precedenza, in applicazione dell’art.
3, comma 20, della legge n. 335 del 1995, come modificato dall’art. 3, del d.l. n. 318 del 1996
convertito dalla legge n. 402 del 1996.

Infatti, in base al suddetto principio — che è da intendere alla luce del canone generale “della
strumentalità delle forme processuali” — il ricorrente che denunci il difetto di motivazione su
un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di un documento o di risultanze
probatorie o processuali, ha l’onere di indicare nel ricorso specificamente le circostanze oggetto
della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di
merito (trascrivendone il contenuto essenziale), fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per
consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali, potendosi così ritenere assolto il
duplice onere, rispettivamente previsto dall’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ. (a pena di
inammissibilità) e dall’art. 369, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ. (a pena di improcedibilità del
ricorso), nel rispetto del relativo scopo, che è quello di porre il Giudice di legittimità in condizione
di verificare la sussistenza del vizio denunciato senza compiere generali verifiche degli atti e
soprattutto sulla base di un ricorso che sia chiaro e sintetico (vedi, per tutte: Cass. SU 11 aprile
2012, n. 5698; Cass. SU 3 novembre 2011, n. 22726; Cass. 14 settembre 2012, n. 15477).
Nella specie, invece, dalle note dell’Ispettorato del Lavoro il cui contenuto essenziale è
trascritto nel corpo del ricorso risulta che le verifiche ivi attestate — nel corso delle quali non è stata
rilevata alcuna irregolarità — sono state finalizzate a verificare il rispetto delle leggi in materia di
appalto e sub appalto, quindi ad attestare la regolarità contributiva dell’impresa, al fine della relativa
ammissione alle gare di appalto, costituendo tale certificazione uno dei requisiti posti dalla
normativa di settore ai fini dell’ammissione stessa. Non risulta, però, che in tali occasioni sia stata
specificamente controllata — a parte il regolare pagamento dei contributi, ai fini suddetti — anche la
congruità della durata dell’apprendistato rispetto al tipo di lavorazione svolta e che, quindi, vi sia
stata una attestazione di regolarità amministrativa anche da questo punto di vista, tale da
determinare la operatività della disposizione invocata della L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 3, comma
20.
6.- Anche il secondo motivo non è da accogliere.
7.- Dal punto di vista della formulazione, va precisato che è jus receptum che la violazione del
precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia
attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole
dettate da quella norma; invece, la valutazione delle prove è regolata dagli artt. 115 e 116 cod. proc.
civ. e la relativa censura può essere fatta valere ai sensi del numero 5 dell’art. 360 cod. proc. civ.,
sempre che ne ricorrano i presupposti (vedi, tra le più recenti: Cass. 17 giugno 2013, n. 15107).
8.- Nella specie, quindi, il riferimento all’art. 2697 cod. civ. risulta del tutto improprio,
risolvendosi le censure proposte nel secondo motivo nella denuncia di vizi di motivazione della
sentenza impugnata ma non per errori di logica giuridica — che renderebbero la motivazione stessa
incongrua o incoerente e quindi emendabile in sede di giudizio di cassazione — bensì per errata
5

Comunque, tale correzione non porta all’annullamento della sentenza in quanto non risulta
che il ricorrente abbia assolto ai propri oneri processuali indicando con precisione i documenti sui
quali basa le proprie censure, in omaggio al principio di specificità dei motivi del ricorso per
cassazione, in particolare con riguardo alla attestazione di regolarità amministrativa, requisito
imprescindibile per la operatività della disposizione invocata della L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 3,
comma 20 (vedi, per tutte: Cass. 7 gennaio 2009, n. 44).

Le doglianze mosse dal ricorrente, come si è detto, non attengono all’iter logicoargomentativo che sorregge la decisione — che, peraltro, risulta congruo e chiaramente individuabile
— ma si risolvono sostanzialmente nella prospettazione di un diverso apprezzamento delle stesse
prove e delle stesse circostanze di fatto già valutate dal Giudice del merito in senso contrario alle
aspettative del medesimo ricorrente e si traducono, quindi, nella richiesta di una nuova valutazione
del materiale probatorio, del tutto inammissibile in sede di legittimità.

III

Conclusioni

9.- In sintesi, il ricorso deve essere respinto. Le spese del presente giudizio di cassazione
seguono la soccombenza e vanno liquidate nella misura indicata in dispositivo, determinata tenendo
conto del fatto che l’attività difensiva dell’INPS è stata limitata al deposito di delega in calce al
ricorso notificato e alla partecipa alla discussione orale in udienza. Inoltre, nulla va disposto per le
spese in favore di CARI VERONA Banca s.p.a. rimasta intimata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente
giudizio di cassazione, liquidate nel seguente modo: 1) in favore dell’INAIL: euro 100,00
(cento/00) per esborsi, euro 3000,00 (tremila/00) per compensi professionali, oltre accessori come
per legge; 2) in favore dell’INPS: euro 100,00 (cento/00) per esborsi, euro 1500,00
(millecinquecento/00) per compensi professionali, oltre accessori come per legge. Nulla spese per la
parte rimasta intimata.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 30 aprile 2014.

valutazione del materiale probatorio acquisito, ai fini della ricostruzione dei fatti, con riguardo al
tipo di lavorazioni svolte dalla ditta, che il ricorrente sostiene che fossero su misura, mentre la Corte
veneziana afferma che fossero in serie e, come tali, richiedenti un apprendistato di durata più
contenuta (triennale, come sostenuto dagli Enti accertatori).

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