Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18032 del 21/07/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 21/07/2017, (ud. 05/04/2017, dep.21/07/2017),  n. 18032

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amalia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3870-2011 proposto da:

I.E., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DELLA GIULIANA 101, presso lo studio dell’avvocato MARIO PISELLI,

che lo rappresenta e difende, giusta procura speciale notarile in

atti;

– ricorrente –

contro

AZIENDA OSPEDALIERA “PUGLIESE – CIACCIO” di (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA DEL VIGNOLA 61, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO

GENOVESE, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati

MARCELLA MAMONE, FLORENZA RUSSO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1122/2010 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 13/09/2010 R.G.N. 522/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/04/2017 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato MARIO PISELLI;

udito l’Avvocato GUIDO ROSSI per delega Avvocato VINCENZO GENOVESE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Catanzaro, con sentenza n. 1122/2010, pronunciando sulle opposte impugnazioni, ha accolto l’appello principale dell’Azienda ospedaliera “Pugliese Ciaccio” e, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato la domanda proposta dal dott. I.E..

2. Il dott. I., dipendente del nosocomio con la qualifica di dirigente medico di primo livello specialista in ortopedia, aveva proposto una domanda risarcitoria nei confronti dell’Azienda ospedaliera. Il Tribunale di Catanzaro aveva accolto parzialmente la domanda, condannando la convenuta al pagamento della somma di Euro 100.000 a titolo di risarcimento dei danni da dequalificazione professionale, i cui presupposti costitutivi erano stati ritenuti sussistenti sulla scorta delle indagini tecniche svolte dai consulenti d’ufficio, in particolare a motivo della scarsa utilizzazione del ricorrente in sala operatoria. I C.t.u. avevano evidenziato che da tale scarsa utilizzazione verosimilmente era derivata una riduzione della capacità manuale e dell’esperienza pratica che sono un indispensabile bagaglio tecnico per l’esercizio di una corretta pratica dell’ortopedia e della traumatologia.

3. L’Azienda ospedaliera aveva censurato tale pronuncia, rilevando che essa si basava su una c.t.u. lacunosa e superficiale, che aveva omesso di considerare fatti ulteriori, quali l’incarico dirigenziale conferito al dott. I. ai sensi dell’art. 27 C.C.N.L. dirigenza medica veterinaria 1998/2001, i corsi di specializzazione e formazione ai quali il medico era stato autorizzato, l’attività chirurgica svolta dall’appellato quale primo operatore, fatti certamente significativi della crescita professionale del sanitario.

4. Nell’accogliere tale censura, la Corte di appello ha osservato che:

– sebbene la CTU avesse evidenziato che il dott. I. era stato presente in sala operatoria in misura ridotta rispetto ai colleghi dirigenti medici di primo livello, tuttavia occorreva rilevare che gli interventi chirurgici effettuati dal ricorrente lo avevano visto coinvolto prevalentemente con il ruolo di primo operatore (n. 32) che, secondo quanto affermato dagli stessi consulenti d’ufficio, è il medico che effettivamente compie l’atto chirurgico prendendo le decisioni di merito e, con il ruolo di secondo operatore (n. 7), che viene definito come il diretto collaboratore che coadiuva in maniera attiva e diretta nell’esecuzione dell’intervento;

– dalla consulenza tecnica di parte convenuta, non contestata dalla controparte, risultava che il ricorrente aveva eseguito interventi di elevata qualificazione professionale di endoprotesi dell’anca, normalmente effettuati dal primario, nel ruolo di primo operatore, in misura addirittura superiore eseguiti dai colleghi con maggiore anzianità di servizio;

– la stessa consulenza di parte aveva pure evidenziato che il primo operatore viene scelto tra i sanitari che hanno acquisito una rilevante professionalità non strettamente correlata al numero delle presenze in sala operatoria;

– inoltre, il dott. I. aveva svolto corsi di aggiornamento obbligatorio per un periodo di venti giorni all’anno in moduli di tre giorni mensili, partecipando durante i soggiorni di aggiornamento attivamente a n. 20 interventi chirurgici; aveva altresì effettuato n. 29 interventi chirurgici presso l’unità operativa pediatrica dell’ospedale di (OMISSIS) ed aveva frequentato un corso di aggiornamento in chirurgia protesica presso la clinica ortopedica dell’Università di (OMISSIS);

– tali elementi complessivamente considerati, ed in particolare l’impegno quale primo e secondo operatore chirurgico, richiesto nei diversi nosocomi e nei diversi reparti dell’ospedale Pugliese Ciaccio, dimostravano che lo sviluppo delle capacità professionali del ricorrente non era stato in alcun modo inciso dalla presenza nella sala operatoria dell’azienda convenuta “ridotta rispetto a quella degli altri colleghi essenzialmente, per quanto è dato desumere dalle su riportate emergenze istruttorie, con riguardo ai ruoli marginali di terzo e quarto operatore” e che pertanto non appariva configurabile la lamentata dequalificazione professionale;

– la sentenza di primo grado doveva invece essere confermata nella parte in cui aveva respinto le restanti domande, in difetto di specifiche allegazioni e di mezzi istruttori quanto ai danni ulteriori richiesti con ricorso il introduttivo.

5. Per la cassazione di tale sentenza il dott. I. propone ricorso affidato a tre motivi. Resiste l’Azienda ospedaliera Pugliese Ciaccio di Catanzaro con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia error in procedendo ex art. 112 c.p.c. e vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), nella parte in cui la sentenza aveva omesso di pronunciare in ordine all’eccezione di inammissibilità dell’appello per genericità dei motivi, sollevata in sede di comparsa di costituzione in appello. A fronte della sentenza di primo grado che aveva recepito gli esiti della c.t.u. medico-legale, l’atto di appello si era limitato a prospettare il carattere incompleto e lacunoso della stessa, senza svolgere critiche specifiche alla relazione peritale nè all’ampio argomentare del giudice di primo grado che della c.t.u. aveva tenuto conto ai fini della decisione.

2. Il secondo motivo denuncia violazione falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. nonchè vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5) per non avere la sentenza di appello spiegato i motivi per i quali aveva disatteso il criterio valutativo adottato dalla c.t.u. per adottarne uno diverso. Se è vero che rientra nel potere discrezionale del giudice di merito disattendere le conclusioni peritali, è altresì vero che il giudice deve motivare il suo dissenso e deve dare adeguata e convincente spiegazione del suo contrario apprezzamento. La Corte d’appello non aveva assolto tale onere con le motivazioni adottate a fronte dello specifico contenuto della c.t.u. elaborata dai consulenti d’ufficio, i quali avevano concordato con i consulenti tecnici delle parti contrapposte gli interventi da prendere in considerazione in quanto di particolare rilevanza e pertanto più qualificanti per un chirurgo ortopedico. La Corte di appello con la motivazione adottata si era limitata a contrapporre un criterio diverso senza spiegarne i motivi.

3. Il terzo motivo denuncia vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) nella parte della sentenza recante l’indicazione del numero degli interventi chirurgici presi a riferimento della soluzione interpretativa adottata. In sede di controdeduzioni alla c.t.u., il C.t. di parte resistente aveva utilizzato dati parziali o aveva volutamente ridotto il numero degli interventi, in particolare di endoprotesi, eseguiti dagli altri operatori, alterando così i dati e i risultati ai quali lo stesso era pervenuto. Le critiche espressamente ribadite dal dott. I. nel proprio atto di appello consistevano nel fatto che il C.t. di parte resistente aveva utilizzato un indice operatorio rapportato alla presenza in servizio esclusivamente nei giorni in cui vi erano le sedute operatorie, senza considerare che la presenza in servizio del ricorrente nei giorni di sala operatoria veniva stabilita dal primario, circostanza che pure era stata rilevata dal Tribunale; inoltre, il primario spesso faceva rientrare i sanitari in servizio per eseguire interventi nonostante la presenza in servizio del dott. I.. In altri termini, la Corte di appello non si era preoccupata di contrastare i dati di fatto oggettivi posti a base della c.t.u., dati di fatto certi e non smentiti efficacemente da nessuno dei consulenti tecnici di parte.

4. Il primo motivo è inammissibile. La Corte di appello non ha omesso di esaminare l’eccezione di inammissibilità dell’appello per genericità dei motivi, ma l’ha implicitamente superata laddove, a pag. 2 della sentenza, entrando nel dettaglio delle censure svolte dall’Azienda ospedaliera (che non corrispondono solo al breve stralcio del ricorso in appello riportato a pag. 19 del ricorso per cassazione), ha ritenuto sufficienti tali contestazioni ad integrare un valido atto di impugnazione. Ciò con particolare riferimento alla denunciata mancata considerazione di alcune circostanze di fatto evidenziate nell’atto di impugnazione, ritenute dalla Corte di appello idonee a contrastare, ove prese in considerazione, il giudizio conclusivo cui era pervenuto il primo giudice che, sulla base della sola c.t.u., aveva omesso di considerarle.

5. E’ del pari infondato il secondo motivo. L’odierno ricorrente lamenta che la Corte di appello non abbia motivato il proprio dissenso rispetto alla c.t.u. espletata in primo grado, recepita dal primo giudice ed elaborata sulla base di criteri concordati tra tutti i consulenti, d’ufficio e di parte: la Corte territoriale se ne era discostata adottando un criterio diverso senza motivare le ragioni della sua diversa opzione. Nè erano state esternate le ragioni per le quali non era stata condivisa la c.t.u. nella parte in cui aveva concluso che il dott. I., per la scarsa utilizzazione in sala operatoria, aveva subito verosimilmente una riduzione della manualità chirurgica. Il ricorrente ha evidenziato che il criterio adottato in sede di c.t.u. era costituito – come precisato nel ricorso mediante la trascrizione del passo saliente della relazione peritale – dalla considerazione del numero degli interventi chirurgici più importanti ovvero di maggiore difficoltà eseguiti nel corso degli anni presso l’unità operativa di ortopedia e traumatologia dell’azienda ospedaliera convenuta: era stato considerato il numero degli interventi chirurgici effettuati sempre nello stesso periodo, quale primo, secondo e terzo operatore, dai dirigenti medici di primo livello in servizio presso l’unità operativa, con particolare riguardo agli interventi di endoprotesi e artoprotesi dell’anca, ernia del disco, frattura omero con lesione neurologica, artroprotesi del ginocchio, frattura vertebrale, endoprotesi plastica spalla, frattura del bacino.

6. Premesso che il giudice d’appello, se non condivide le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio di primo grado, non è tenuto a disporre un nuovo accertamento peritale, ma ha invece l’obbligo di motivare adeguatamente le ragioni del suo diverso convincimento (cfr. Cass. n. 20820 del 2006, n. 25569 del 2010; v. pure Cass. n. 18410 del 2013, 19572 del 2013, 20125 del 2015), va osservato che nel caso in esame la Corte territoriale ha precisato le ragioni per le quali ha ritenuto di discostarsi da dette conclusioni. In particolare, nel condividere le censure svolte dall’Azienda ospedaliera nell’atto di appello, ha ritenuto di valorizzare elementi di segno diverso, fornendone l’indicazione e così contrastando, anche se non in modo espresso, il diverso criterio utilizzato dal primo giudice.

7. La Corte di appello ha difatti ritenuto di attribuire rilievo preminente: a) al numero degli interventi chirurgici effettuati dal ricorrente nel ruolo di primo e di secondo operatore, ossia nelle posizioni che esprimono il più elevato livello di professionalità chirurgica; 2) al fatto che il ricorrente aveva eseguito interventi di elevata qualificazione (endoprotesi dell’anca), normalmente effettuati dal primario, nel ruolo di primo operatore, in misura addirittura superiore a quelli eseguiti dai colleghi con maggiore anzianità di servizio; 3) all’esecuzione di interventi chirurgici anche durante i corsi aggiornamento obbligatorio e presso altre unità ospedaliere.

8. Ha quindi espresso, mediante un giudizio immune da vizi logici e neppure specificamente censurato sotto il profilo dell’eventuale devianza da regole e principi tecnico-scientifici propri del settore di interesse, una valutazione in cui i predetti elementi indiziari, complessivamente considerati – ed in particolare il consistente impegno espresso dal dott. I. quale primo e secondo operatore chirurgico -, deponevano per l’insussistenza della ipotizzata perdita della manualità chirurgica e della prospettata dequalificazione professionale, non potendosi attribuire decisività alla minore presenza in sala operatoria rispetto a quella degli altri colleghi di pari livello, una volta assunto a riferimento il solo dato numerico inclusivo anche delle presenze in posizione di terzo e quarto operatore.

9. Il terzo motivo lamenta vizio di motivazione per avere la Corte territoriale basato il proprio giudizio su dati erronei, falsati dalla rappresentazione che la parte convenuta ne aveva dato in giudizio e contrastanti con i dati reali in possesso dei C.t.u.

10. Il motivo è inammissibile poichè afferisce ad un vizio revocatorio e non ad un vizio di motivazione. Non si denuncia difatti, con il terzo motivo, un errore di giudizio, ma precisamente l’erronea ricognizione di un fatto, che la Corte di appello ha ritenuto pacifico, ossia il dato numerico degli interventi di endoprotesi dell’anca eseguiti dai colleghi del ricorrente; tale dato avrebbe, a sua volta, alterato la determinazione del rapporto percentuale tra interventi eseguiti dal dott. I. e quelli degli altri operatori. L’apprezzamento del giudice del merito, che abbia ritenuto pacifica e non contestata una circostanza di causa, qualora sia fondato sulla mera assunzione acritica di un fatto, può configurare un travisamento, denunciabile solo con istanza di revocazione, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, mentre è sindacabile in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione, ove si ricolleghi ad una valutazione ed interpretazione degli atti del processo e del comportamento processuale delle parti (Cass. n. 4893 del 2016, n. 19921 del 2012).

11. Il ricorso va dunque rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 2.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi e in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2017

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