Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18031 del 14/09/2016


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Cassazione civile sez. trib., 14/09/2016, (ud. 07/06/2016, dep. 14/09/2016), n.18031

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19348-2011 proposto da:

B.G., elettivamente domiciliato in ROMA VIALE G. MAZZINI

55, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO SINESIO, che lo

rappresenta e difende giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DI CREMONA, AGENZIA DELLE ENTRATE DI ROMA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 44/2011 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di

BRESCIA, depositata il 03/03/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/06/2016 dal Consigliere Dott. RAFFAELE SABATO;

udito per il ricorrente l’Avvocato DE NARDO che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CUOMO Luigi, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’agenzia delle entrate ha notificato alla parte contribuente avv. B.G. avviso di accertamento per omessa presentazione della dichiarazione di redditi derivanti da erogazioni a titolo di pensione della cassa nazionale di previdenza e assistenza forense e da compensi ricevuti quale giudice di pace per l’anno 2000, contestando una debenza di Euro 1.520,48.

Avverso l’atto il contribuente ha avanzato ricorso davanti alla commissione tributaria provinciale di Cremona, che lo ha respinto.

La sentenza, appellata dalla parte contribuente, è stata confermata dalla commissione tributaria regionale della Lombardia – sezione staccata di Brescia.

Avverso questa decisione la parte contribuente propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, rispetto al quale l’agenzia non svolge difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Preliminarmente va dato atto della dichiarazione di parte ricorrente, contenuta nel ricorso, secondo cui – posto che un componente la commissione tributaria regionale che ha pronunciato la sentenza impugnata sarebbe stato componente anche della commissione provinciale che ha emesso la sentenza di primo grado – la parte ricorrente stessa non intende sollevare alcun rilievo sul punto, avendo omesso di proporre ricusazione.

2. – Con il primo motivo di ricorso, la parte contribuente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, individuati (a) nella non cumulabilità della pensione ricevuta dalla cassa avvocati, quale “disabile”, con l’indennità ricevuta quale giudice di pace; (b) illegittimità costituzionale della tassazione i.r.p.e.f. dell’indennità ricevuta dai giudici di pace, inizialmente per mancata previsione di legge, successivamente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 314 del 1997 per incostituzionalità di questo per difetto di delega; (c) esistenza di un “minimo vitale” legato alla capacità contributiva. Sostiene che, a fronte delle norme che impongono l’esposizione, seppur concisa, dei motivi in fatto e in diritto della decisione, la sentenza impugnata avrebbe dichiarato semplicemente “priva di fondamento” la prima deduzione, senza indicarne le ragioni e “assorbita” la seconda, sempre in assenza di indicazione delle ragioni; avrebbe poi esposto l’inesistenza di norme che quantifichino una soglia di “minimo vitale” a fini fiscali. Lamentava inoltre la troppo succinta dichiarazione di irrilevanza della questione di legittimità costituzionale.

3. – Con il secondo motivo di ricorso, la parte contribuente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione di norme di legge, individuate: (a) nella disciplina anteriore all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 314 del 1997, che non avrebbe previsto alcuna tassazione; (b) nella disciplina del D.Lgs. n. 314 del 1997, che all’art. 2 modificava il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 47 prevedendo la tassazione, per incostituzionalità per difetto di delega; (c) nella riproposizione della norma a mezzo della L. n. 350 del 2003, stante la originaria incostituzionalità; (d) nei diversi principi – tra cui l’art. 3 Cost. – in tema di capacità contributiva espressivi del principio del “minimo vitale”, in particolare dovendo ritenersi incumulabili le pensioni di inabilità ai fini fiscali L. n. 662 del 1996, ex art. 3, comma 19.

4. – Il primo motivo è inammissibile. Invero, come risulta da ferma giurisprudenza di questa corte, il vizio di motivazione denunciabile come motivo di ricorso per cassazione può concernere esclusivamente l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia, non anche l’interpretazione e l’applicazione delle norme giuridiche. Nel caso di specie, come risulta dal riepilogo sopra svolto, con il primo motivo di ricorso il contribuente fa valere esclusivamente la circostanza per cui troppo succintamente siano state disattese proprie argomentazioni giuridiche sui fatti di causa, senza alcuna critica circa gli accertamenti fattuali svolti dal giudice di merito. Considerato che – secondo la giurisprudenza di questa corte (v. ad es. sez. 5 n. 1374 del 2002) – persino l’omesso esame di tesi giuridiche prospettate da una delle parti, non riferendosi all’accertamento dei fatti rilevanti per la decisione, non può mai risolversi in un vizio di motivazione deducibile autonomamente come motivo di ricorso per cassazione, potendo se del caso soltanto sostenere una censura di violazione o falsa applicazione di norme o principi di diritto, se ne desume che nel caso sottoposto, in cui addirittura l’esame vi è stato, a maggior ragione si è al di fuori dei margini di ammissibilità della doglianza.

5. – Il secondo motivo è infondato. Con esso la parte contribuente ripropone la tesi, disattesa già in passato da questa corte con giurisprudenza da cui non sussistono ragioni per discostarsi, della intassabilità del corrispettivo percepito per l’espletamento della funzione di giudice di pace, in ragione del carattere di magistratura onoraria dell’attività svolta e della natura indennitaria del corrispettivo. In argomento, questa corte ha ritenuto che in tema di IRPEF il compenso percepito dai giudici di pace (istituiti con la L. 21 novembre 1991, n. 374, art. 1) vada assoggettato a tassazione, atteso che il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 47, comma 1, lett. f), (nel testo anteriore alla modifica apportata, con effetto dal 1 gennaio 1998, dal D.Lgs. 2 settembre 1997, n. 314, art. 2; dopo tale data, art. 50) assimila ai redditi di lavoro dipendente le indennità, i gettoni di presenza e gli altri compensi corrisposti a tutti coloro che comunque espletano un’attività comportante l'”esercizio di pubbliche funzioni”. Nè a diversa conclusione può condurre qualsiasi argomentazione relativa sia alla natura dell’attività medesima – onoraria ed estranea al rapporto di lavoro dipendente – sia al carattere dell’emolumento percepito, “indennitario” in senso lato, e quindi non costituente stipendio di un dipendente pubblico, trattandosi di considerazioni irrilevanti di fronte ad una disposizione che, elencando i redditi da ritenere, ai fini fiscali; “assimilati” a quelli del lavoro dipendente, presuppone proprio che si tratti di somme estranee al concetto di reddito di lavoro dipendente in senso stretto. Nè assume rilievo, in senso contrario, il fatto che i compensi corrisposti a giudici di pace (oltre che ai componenti delle commissioni tributarie ed agli esperti del tribunale di sorveglianza) siano stati espressamente inseriti nella previsione normativa solo con il D.Lgs. n. 314 del 1997, art. 2 (e poi dalla L. n. 350 del 2003, art. 2, comma 36, – legge finanziaria 2004), dovendosi a questa disposizione attribuire una mera funzione esplicativa e di eliminazione di ogni incertezza rispetto a quanto era già chiaramente insito nel testo originario del D.P.R. n. 917 del 1986 (sez. 5, n. 10230 del 2005 e n. 28719 ss. del 2005).

L’acclarata natura di mera chiarificazione della disciplina esclude le problematiche di natura costituzionale ipotizzate.

6. – Nessun conto può tenersi, d’altro canto, della questione relativa al dedotto cumulo con pensione di inabilità (questione questa che, inserta nel secondo motivo, ben può ritenersi oggetto di un separato motivo di ricorso in violazione di legge), posto che, con accertamento insindacabile in cassazione in quanto, tra l’altro, non oggetto di impugnazione ad opera di parte e su cui, quindi, è calato giudicato interno, la sentenza impugnata ha ritenuto che “la pensione corrisposta dalla cassa nazionale forense non (ha) natura di pensione di invalidità”.

7. – Il ricorso va dunque rigettato. Non deve provvedersi sulle spese non avendo l’intimata svolto attività difensiva.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; nulla sulle spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione quinta civile, il 7 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2016

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