Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18031 del 04/07/2019

Cassazione civile sez. II, 04/07/2019, (ud. 14/01/2019, dep. 04/07/2019), n.18031

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Gianluca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28073-2015 proposto da:

M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA R. BONGHI

32-D, presso lo studio dell’avvocato MICHELE D’IPPOLITO,

rappresentato e difeso dall’avvocato LUCIA PESATURO;

– ricorrenti –

contro

F.S., R.A., B.S.,

MU.GI.AN., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA DELLA BALDUINA,

44, presso lo studio dell’avvocato MARIO BENEDETTI, che li

rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2619/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 28/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/01/2019 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione ritualmente notificato i signori B.S., F.S., R.A. e Mu.Gi.An. citavano in giudizio M.G. per accertare la responsabilità del predetto in relazione agli interventi di demolizione, ampliamento e ristrutturazione del fabbricato di sua proprietà sito in (OMISSIS), per violazione delle norme in materia di distanze legali minime delle costruzioni e delle vedute e vederlo condannare alla rimessione in pristino dello status quo ante, nonchè al risarcimento dei danni nella misura da accertarsi nel corso del giudizio.

2. Il Tribunale, espletate tre consulenze tecniche con relativi chiarimenti, accoglieva la domanda degli attori e condannava il convenuto ad arretrare la sua costruzione, realizzando i lavori indicati nella consulenza tecnica d’ufficio e lo condannava anche a corrispondere le somme ivi indicate oltre che a rifondere le spese di lite e quelle della CTU.

3. Avverso la suddetta sentenza proponeva appello il M.. Si costituivano gli appellati chiedendo l’integrazione del contraddittorio nei confronti di Gi. e M.P., già nudi proprietari, in forza di donazione del 30 marzo al 1988 da parte del dante causa padre M.G. e attuali comproprietari dell’immobile in esame in forza dell’atto di donazione del diritto di usufrutto del 6 giugno 2014. In relazione all’omessa partecipazione al litisconsorzio necessario chiedevano la rimessione della causa al giudice di primo grado ex art. 354 c.p.c. e, in via incidentale, la riforma del capo della sentenza sulle somme liquidate a titolo di danni.

La Corte d’Appello accoglieva l’eccezione di violazione del contraddittorio rivelabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio. Infatti, dalla documentazione agli atti non contestata, emergeva la qualità di proprietari dei signori P. e Mu.Gi., fin da epoca antecedente all’instaurazione del giudizio di primo grado, essendo gli stessi beneficiari della donazione da parte del dante causa M.G. della nuda proprietà dell’immobile oggetto della domanda di demolizione, in forza di atto di donazione del 30 marzo 1988 e attuali proprietari in forza dell’atto di donazione del 6 giugno 2014 del diritto reale di usufrutto rimasto in capo donante. Pertanto, trattandosi di azione reale diretta alla demolizione del bene e alla riduzione in pristino, la stessa doveva ab origine essere spedita nei confronti dei nudi proprietari, sicchè la sentenza emessa nei confronti del solo usufruttuario, autore materiale delle violazioni doveva ritenersi inutiliter data e bisognava dichiararne la nullità per violazione del contraddittorio con la trasmissione della causa al giudice di primo grado ai sensi e per gli effetti dell’art. 354 c.p.c.

4. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione M.G. sulla base di tre motivi.

5. B.S., F.S., R.A., e Mu.Gi.An. hanno resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: nullità della sentenza e del procedimento per nullità del dispositivo e per l’erronea statuizione relativa alle cause di nullità della sentenza del Tribunale di Velletri, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sia affetta da nullità perchè nel dispositivo, nonostante l’azione fosse stata proposta nei confronti di M.G., veniva dichiarata la nullità della sentenza, in quanto emessa nei confronti dei soli M.P. e Mu.Gi. usufruttuari dell’immobile, sito in (OMISSIS). E’ evidente l’errore commesso dalla Corte d’Appello, in quanto le parti in causa erano appunto M.G. e gli appellati odierni controricorrenti mentre coloro nei cui confronti è stata dichiarata la nullità non avevano partecipato nè al giudizio di primo grado, nè a quello di appello, inoltre nel dispositivo si affermava che erano usufruttuari mentre nella motivazione si afferma che essi rivestono la qualità di nudi proprietari.

1.2 I motivo è inammissibile.

Il contrasto tra motivazione e dispositivo che dà luogo alla nullità della sentenza si deve ritenere configurabile solo se ed in quanto esso incida sulla idoneità del provvedimento, considerato complessivamente nella totalità delle sue componenti testuali, a rendere conoscibile il contenuto della statuizione giudiziale. Una tale ipotesi non è ravvisabile nel caso in cui il detto contrasto sia chiaramente riconducibile a semplice errore materiale, il quale trova rimedio nel procedimento di correzione al di fuori del sistema delle impugnazioni – distinguendosi, quindi, sia dall'”error in iudicando” deducibile ex art. 360 c.p.c., sia dall’errore di fatto revocatorio ex art. 395 c.p.c., n. 4, – ed è quello che si risolve in una fortuita divergenza tra il giudizio e la sua espressione letterale, cagionata da mera svista o disattenzione nella redazione della sentenza, e che, come tale, può essere percepito e rilevato ictu oculi, senza bisogno di alcuna indagine ricostruttiva del pensiero del giudice, il cui contenuto resta individuabile ed individuato senza incertezza (Sez. 2, Sent. n. 17392 del 2004).

L’errore di fatto cd. revocatorio è l’erronea percezione degli atti di causa (come la supposizione di un fatto, la cui verità è incontestabilmente esclusa, oppure la supposizione dell’inesistenza di un fatto la cui verità sia positivamente stabilita), mentre l’errore determinato da una svista di carattere materiale rende esperibile il rimedio della correzione di errore materiale. (Nella specie, l’indicazione di uno solo dei due ricorrenti, sia in motivazione che nel dispositivo ed, altresì, l’omessa pronuncia sulla richiesta di distrazione delle spese avanzata dal difensore antistatario) (Sez. 1, Ord. n. 12962 del 2012).

Nella specie è evidente che si è trattato di un mero errore materiale, in quanto la decisione della Corte d’Appello si è basata proprio sul presupposto della mancata instaurazione del contraddittorio nei confronti dei comproprietari che in precedenza erano anche usufruttuari ed erroneamente indicati in tale veste, nel dispositivo, come parti del giudizio.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3 e art. 354 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per l’omessa declaratoria d’ufficio relativa all’inammissibilità dei nuovi documenti prodotti in appello e posti a fondamento della decisione ex art. 354 c.p.c.

L’odierno ricorrente aveva proposto appello nei confronti della sentenza del Tribunale di Velletri che lo aveva condannato ad arretrare la sua costruzione, oltre al risarcimento del danno e alle spese, per violazione delle distanze in relazione all’intervento edilizio effettuato sull’immobile sito in via (OMISSIS), del Comune di (OMISSIS). Gli appellati avevano interposto appello incidentale, chiedendo la rimessione del procedimento innanzi al giudice di primo grado per consentire l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli attuali comproprietari dell’immobile. A sostegno della richiesta la parte adduceva che dalle visure catastali era emerso che tutti cespiti erano stati donati con atto del 6 giugno 2014, in epoca successiva alla pubblicazione della sentenza oggi impugnata.

In realtà, diversamente da quanto affermato, l’atto indicato aveva riguardato non già il diritto di proprietà ma esclusivamente l’usufrutto dell’immobile, dunque in assenza del carattere di novità la documentazione non era ammissibile.

La Corte, dunque, avrebbe basato la rimessione ex art. 354 c.p.c. sulla base di nuovi elementi di prova e nuovi documenti inammissibili e, dunque, in violazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3.

Tali documenti, peraltro, non attenevano alla legittimazione passiva ma alla titolarità del diritto e, dunque, non poteva essere consentito alla parte resistente il superamento delle preclusioni verificatesi in primo grado attraverso la produzione in secondo grado di documenti tardivi, irrilevanti e inammissibili.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., comma 2 e art. 354 c.p.c. e art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per l’omessa pronuncia di inammissibilità della questione sulla titolarità giuridica dell’immobile, trattandosi di nuove eccezioni non proponibili nè rilevabili in grado di appello.

Secondo il ricorrente le argomentazioni sviluppate in relazione alla diversità tra la titolarità del diritto e la legittimazione passiva si riflettono sulla violazione dell’art. 345 c.p.c., comma 2.

La sentenza si rivelerebbe erronea per la violazione dell’art. 345 c.p.c., comma 2, atteso che la questione relativa alla titolarità del diritto dedotto in giudizio si configura come un’eccezione in senso proprio, la cui proposizione non è affatto consentita nella fase di appello e che non risulta neanche rilevabile d’ufficio e, dunque, la Corte avrebbe dovuto dichiararla inammissibile nel giudizio di primo grado. Infatti, la qualità di proprietario dell’immobile non era stata oggetto di contestazione tra le parti e poichè non era stata sollevata nel corso del giudizio di primo grado alcuna questione circa la legittimazione passiva del convenuto, erano gli attori a dover fornire tale prova ai sensi dell’art. 2697 c.c., essendo un fatto costitutivo del diritto fatto valere in giudizio.

In altri termini, l’azione volta al rispetto delle distanze tra costruzioni ha natura reale e deve essere proposta unicamente nei confronti del proprietario della costruzione illegittima, unico destinatario della statuizione di condanna alla demolizione. L’onere della prova della titolarità in capo al convenuto del diritto di proprietà della costruzione ritenuta illegittima così come l’individuazione del soggetto titolare del diritto gravano sull’attore nei tempi e nei modi consentiti dalle preclusioni di primo grado.

3.1 Il secondo e il terzo motivo di ricorso, che possono essere trattati unitariamente stante la loro intima connessione, sono infondati.

Costituisce orientamento del tutto consolidato quello secondo il quale: “in tema di azioni a tutela delle distanze legali sono contraddittori necessari, dal lato passivo, tutti i comproprietari “pro indiviso” dell’immobile confinante, quando ne venga chiesta la demolizione o il ripristino, essendo altrimenti la sentenza “inutiliter data”” Sez. 2, Sent. n. 5545 del 2005.

Ciò premesso, in questa sede, deve ribadirsi che il difetto di legittimazione attiva o passiva, attenendo alla regolare instaurazione del contraddittorio, è rilevabile, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio – e, dunque, anche in sede di legittimità -, salvo che sul punto non si sia formato il giudicato (Sez. 3, Sentenza n. 9289 del 09/07/2001) e che la parte che deduce la non integrità del contraddittorio ha l’onere di indicare quali siano i litisconsorti pretermessi e di dimostrare i motivi per i quali è necessaria l’integrazione, senza, peraltro, che sia impedito al giudice il rilievo d’ufficio, seppure a seguito di sollecitazione di parte, del medesimo difetto di integrità (Sez. 2, Sent. n. 25810 del 2013). Dunque, non può essere ritenuta tardiva l’eccezione della parte appellata, vincitrice in primo grado, circa la mancanza instaurazione del contraddittorio nei confronti di tutti i proprietari dell’immobile del quale chiede l’arretramento, con allegazione del titolo costitutivo del diritto di proprietà.

Infatti, posto che rientra nel potere-dovere del giudice la verifica della regolare instaurazione del contraddittorio, indipendentemente dall’attività assertiva delle parti, la questione può essere posta in ogni momento, anche nel corso del processo d’appello, integrando una mera allegazione difensiva volta a sollecitare il potere del giudice di rilevare d’ufficio la sussistenza o meno della legittimazione processuale, con la conseguenza che non sono applicabili le regole delle preclusioni o limitazioni per la proposizione di domande nuove o di eccezioni in senso stretto.

Per la stessa ragione non può ritenersi tardiva e quindi inammissibile la produzione documentale attestante la qualità di comproprietari, essendo del tutto evidente la sua indispensabilità ai fini della decisione. A tal proposito, questa Corte ha avuto modo di affermare, sia pure con riferimento al giudizio di cassazione, che: “In tema di litisconsorzio necessario, la parte che denunci per cassazione la violazione dell’art. 354 c.p.c., in relazione all’art. 102 c.p.c., ha l’onere di indicare nominativamente, nel ricorso, le persone che debbono partecipare al giudizio ai fini dell’integrità del contraddittorio, nonchè di documentare i titoli che attribuiscano ai soggetti pretermessi la qualità di litisconsorti, ricadendo sul ricorrente il dubbio in ordine a questi elementi, tale da non consentire alla S.C. di ravvisare la fondatezza della dedotta violazione (Sez. 2, Ord. n. 10168 del 2018).

5. Il ricorso è rigettato.

6. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

7. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore dei controricorrenti B.S., F.S., R.A., e Mu.Gi.An. delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 2300 più 200 per esborsi;

ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 14 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2019

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