Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18027 del 14/09/2016


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Cassazione civile sez. trib., 14/09/2016, (ud. 07/06/2016, dep. 14/09/2016), n.18027

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26484/2010 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

INTERNATIONAL FACTORS ITALIA SPA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE

G. MAZZINI 11, presso lo studio dell’avvocato GABRIELE ESCALAR, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato LIVIA SALVINI

giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 95/2010 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 20/05/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/06/2016 dal Consigliere Dott. MARCO MARULLI;

udito per il ricorrente l’Avvocato URBANI NERI che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato ESCALAR che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CUOMO Luigi, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. L’Agenzia delle Entrate ricorre a questa Corte avverso la sentenza in atti della CTR Lombardia che, confermando la decisione di primo grado, ha ritenuto illegittimo il silenzio-rifiuto opposto dal fisco avverso un’istanza di rimborso D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 68, comma 2, in quanto la sua presentazione era avvenuta oltre il termine del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2.

La CTR ha motivato il proprio assunto osservando che nella specie “l’obbligo di restituzione da parte dell’Amministrazione non sorge in relazione ad una istanza di rimborso (domanda di restituzione), ma sorge a seguito dell’emissione di una sentenza che condanna l’A.F. al rimborso”, da eseguirsi d’ufficio e senza necessità di alcuna specifica domanda, di modo che “il credito maturato dalla contribuente risulta soggetto al termine di prescrizione ordinaria decennale al pari di qualsiasi credito d’imposta emergente dalle dichiarazioni”.

Il mezzo erariale si vale di un solo motivo, al quale replica la controparte con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

2.1. Con l’unico motivo del proprio ricorso l’Agenzia impugnante lamenta, per gli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68, comma 2 e art. 21, poichè, se come affermato dal precedente di questa Corte 20616/08 onde adire il giudice tributario si rende necessario formalizzare un’istanza di rimborso, “non può che affermarsi che quell’istanza, per essere accolta, deve essere conforme alle prescrizioni previste dalla legge e, in particolare, deve essere presentata nei termini previsti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2”, con l’ovvia conseguenza che la sentenza impugnata affermando il contrario dovrà essere necessariamente cassata.

2.2. Il motivo è infondato.

2.3. Il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68, comma 2 – che regola più in generale il pagamento dei tributi in pendenza di giudizio – stabiliva nel testo in allora vigente che “se il ricorso viene accolto, il tributo corrisposto in eccedenza rispetto a quanto statuito dalla sentenza della commissione tributaria provinciale, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere rimborsato d’ufficio entro novanta giorni dalla notificazione della sentenza”.

La norma è fonte di un obbligazione ex lege da indebito, atteso che, quando l’impugnazione della parte trova definitivo accoglimento e la pretesa tributaria che ne è oggetto viene caducata nell’intero o solo in parte, l’amministrazione in virtù dell’obbligo da essa stabilito – ma più in generale dell’obbligo che civilisticamente compete a chiunque è destinatario di un pagamento privo di causa – è tenuta ex officio ad eseguire il prescritto rimborso delle somme dovute, maggiorate degli interessi di legge, entro il termine di novanta giorni dalla notificazione della sentenza.

Non contemplando essa all’epoca l’ipotesi di una possibile inottemperanza dell’amministrazione, che lasci trascorrere il predetto termine senza adempiere l’obbligo restitutorio – il punto è ora risolto dal novellato testo dell’art. 68, comma 2, che, nella versione risultante a seguito del D.Lgs. n. 156 del 2015, art. 9, comma 1, lett. ff, n. 2, prevede che “in caso di mancata esecuzione del rimborso il contribuente può richiedere l’ottemperanza a norma dell’art. 70, alla commissione tributaria provinciale ovvero, se il giudizio è pendente nei gradi successivi, alla commissione tributaria regionale – è sorta questione, nel vigore della norma qui applicabile, di quali strumenti sollecitatori si offrano al contribuente insoddisfatto per pretendere che l’amministrazione dia corso al prescritto adempimento. Esclusa la praticabilità del rimedio rappresentato dal giudizio di ottemperanza, di cui al successivo art. 70, in quanto non si tratta di dare attuazione ad un comando giudiziale – come invece rettamente accade nella diversa ipotesi dell’esecuzione delle sentenze di condanna in favore del contribuente ove l’utilizzo del rimedio dell’ottemperanza a cui rimanda l’art. 69, si giustifica proprio su questo presupposto – la dottrina si è orientata a ritenere che in tale ipotesi il contribuente possa sollecitare l’adempimento dell’amministrazione a mezzo di istanza di rimborso, facendo pervenire alla medesima una formale richiesta di procedere al rimborso delle somme indebitamente trattenute. Ciò al fine di superare la preclusione altrimenti discendente dall’elenco tendenzialmente tassativo degli atti impugnabili avanti al giudice tributario come pure ha riconosciuto il precedente di questa Corte citato dalla ricorrente che senza prendere posizione sul tema qui controverso ha non ha caso escluso che sia direttamente azionabile avanti al giudice tributario la pretesa del rimborso “in quanto il meccanismo d’instaurazione del processo tributario, avente carattere impugnatorio, prevede che il giudice tributario possa essere adito soltanto impugnando gli atti previsti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19 (ivi compreso il diniego tacito di rimborso) e differisce pertanto dal processo civile, impedendo di ricondurre l’oggetto del giudizio all’accertamento di un’obbligazione”.

2.4. Da questo preliminare adempimento che si impone alla parte per il carattere necessariamente chiuso del processo tributario – e che la parte intimata nell’odierno giudizio ha puntualmente soddisfatto chiedendo il rimborso delle somme dovute con istanza presentata il 23.9.2005 – l’amministrazione ha fatto discendere l’asserto secondo cui alla specie si renderebbe applicabile il termine del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2, di modo che, essendo esso nella specie largamente decorso, dal momento che il presupposto per la restituzione era intervenuto con il passaggio in giudicato della sentenza di accoglimento del ricorso di parte in data 26.5.2001, l’istanza sarebbe tardiva e la parte sarebbe inesorabilmente decaduta dal diritto al rimborso.

2.5. Il ragionamento erariale è privo di plausibilità.

Intanto è manifestamente strumentale l’utilizzazione in chiave preclusiva dell’argomento sviluppato dal precedente di questa Corte, poichè come sopra si è chiarito, l’istanza di rimborso non è funzionale all’insorgenza dell’indebito, l’indebito, come detto, conseguendo ex lege dalla sentenza che ha accolto il ricorso del contribuente e che perciò stesso ha reso i pagamenti da questi effettuati in pendenza del giudizio privi di causa, quando viceversa l’istanza di cui è menzione nell’art. 21 – e più in generale nelle altre leggi di imposta che la prevedono – è volta esattamente a conseguire quel fine. Qui l’istanza ha il solo scopo di sollecitare l’amministrazione all’adempimento e di precostituire in favore del contribuente, in allora, in caso di persistente inadempimento, il presupposto formale per poter legittimamente accedere al giudice tributario. Ne consegue che non avendo alcuna finalità di dar vita all’indebito essa non soggiace all’osservanza del termine di cui al D.L. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2.

Va poi osservato che, ragionando diversamente come mostra di credere l’impugnante, si opera un indebita commistione di istituti poichè si pretende di applicare alla fattispecie dell’art. 68, che disciplina l’obbligo restitutorio gravante sull’amministrazione in dipendenza di un pagamento divenuto privo di causa, un termine che è invece previsto per la diversa ipotesi in cui l’indebito è al di là dal divenire in quanto esso scaturirà semmai a seguito del silenzio-rifiuto che l’amministrazione opponga non dando corso al rimborso richiesto. Si tratta dunque di fattispecie sostanzialmente diverse, l’una perchè l’indebito è già sussistente quale naturale effetto della sentenza che abbia accolto in via definitiva il ricorso della parte, l’altra perchè l’indebito deve ancora realizzarsi e si realizzerà solo se l’amministrazione nel termine prescritto non dia corso alla restituzione richiesta.

Da ultimo è significativo considerare – al di là delle suggestioni create dalla recente novellazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68, comma 2, che rimanda nel, caso de quo al rimedio dell’ottemperanza – che proprio la disciplina del giudizio di ottemperanza risultante dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 70 – a cui, pur a prescindere dalla detta novellazione, è in qualche misura assimilabile la specie in discorso, se non altro per il fatto di condividere il comune radicamento in un pronuncia giudiziale a carattere definitivo – non contiene alcuna previsione di termine ai fine della sua attivazione – nè tanto meno rende ipotizzabile che l’amministrazione, dopo essere stata condannata ad un dare o ad un facere, sia previamente sollecitata a darvi corso in un termine di decadenza – obbedendo essa al solo limite della prescrizione decennale dell’actio iudicati.

3. Il ricorso va dunque respinto e le spese seguono la soccombenza.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

respinge il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 3000,00, oltre 15% per spese generali ed accessori.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 7 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2016

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