Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18026 del 14/09/2016


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Cassazione civile sez. trib., 14/09/2016, (ud. 07/06/2016, dep. 14/09/2016), n.18026

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3153/2010 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

LA MARMI SARDA OLBIA DI MUREDDU & CARTA SRL in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA A.

FARNESE 7, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO BERLIRI,

rappresentato e difeso dall’avvocato CLAUDIO BARTOLUCCI giusta

delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 100/2008 della COMM. TRIB. REG. di CAGLIARI,

depositata il 22/12/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/06/2016 dal Consigliere Dott. MARCO MARULLI;

udito per il ricorrente l’Avvocato URBANI NERI che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CUOMO Luigi, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 22.12.2008 la CTR Sardegna respingeva l’appello dell’ufficio e confermava la decisione che in primo grado, su ricorso de La Marmi Sarda Olbia di Mureddu & Carta s.r.l., aveva ritenuto illegittima la rideterminazione del reddito di impresa della parte a cui il fisco aveva proceduto ravvisando nelle anticipazioni finanziarie dei soci, privi delle disponibilità necessarie, ricavi sottratti a tassazione.

La CTR, preso atto che gli atti di rettifica “non contengono alcuna prova del fatto che le anticipazioni infruttifere effettuate dai soci nei confronti della società corrispondano, in realtà, a ricavi occulti derivanti da operazioni non contabilizzate” e ricordato che la facoltà dell’ufficio di ricorrere a presunzioni “non si sottrae al principio per cui il fatto ignoto deve essere desumibile da un fatto noto e non da un altro fatto a sua volta ignoto”, ha respinto l’assunto erariale sulla base della considerazione che “in assenza di ulteriori e concorrenti elementi, acquisiti mediante controlli sui movimenti bancari, indagini presso la clientela, riscontri sui quantitativi delle merci acquistate, lavorate e giacenti, la presunzione dell’ufficio resta sprovvista dei requisiti necessari” a conferire fondatezza alla pretesa esercitata.

Per la cassazione di detta sentenza l’Agenzia delle Entrate ricorre ora a questa Corte sulla base di due motivi ai quali replica la società con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

2.1. Con il primo motivo di ricorso il fisco si duole per gli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’errore di diritto in cui sarebbe incorsa la CTR nell’applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. c), poichè il giudizio da essa espresso circa la mancanza nella specie di altri riscontri oggettivi “lascia intendere” che la CTR abbia ricondotto la vicenda al suo esame sotto la previsione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), sebbene nella specie gli accertamenti fossero stati condotti per taluni anni di imposta “con il metodo induttivo di cui all’art. 39, comma 2, lett. c), del citato D.P.R.”, non avendo la parte provveduto ad esibire i partitari relativi agli anni 1995 e 1996.

2.2. Il motivo è fondato.

2.3. Com’è noto, secondo il testuale tenore del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. c), ed il constante insegnamento di questa Corte (24503/15; 8539/14; 17968/13: 9201/11) l’amministrazione finanziaria è legittimata a procedere alla determinazione induttiva del reddito di impresa prescindendo dalle risultanze di bilancio e dalle scritture contabili se esistenti e avvalendosi anche di presunzioni prive dei normali caratteri di gravità, precisione e concordanza “quando dal verbale di ispezione redatto ai sensi dell’art. 33, risulta che il contribuente non ha tenuto o ha comunque sottratto all’ispezione una o più delle scritture contabili prescritte dall’art. 14, ovvero quando le scritture medesime non sono disponibili per causa di forza maggiore”. E’ principio in tal caso parimenti incontroverso nella giurisprudenza di questa Corte che, generando il fatto costituito dalla mancata esibizione delle scritture che l’amministrazione abbia richiesto in corso di verifica una presunzione in grado di suffragare probatoriamente ex se – senza dunque il necessario concorso di altri elementi di indagine e, tanto meno, senza che il fatto indiziario debba assumere i caratteri della presunzione civilistica, denominandosi non a caso le presunzioni menzionate dall’alinea del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, “presunzioni supersemplici” – la ricostruzione induttiva dei ricavi sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti e venuti a conoscenza dell’amministrazione, le regole che sovrintendono alla ripartizione dell’onere della prova secondo il decalogo risultante dall’art. 2697, accollano al contribuente, a fronte della legittima prova presuntiva offerta dall’Ufficio, l’onere di dedurre e provare i fatti impeditivi, modificativi o estintivi della predetta pretesa (5228/12; 20708/07; 4911/07).

2.4. Ora, pacifico in linea di fatto che con riferimento agli anni di imposta 1995 e 1996 l’amministrazione abbia proceduto alla determinazione induttiva dei ricavi in ragione della mancata esibizione dei partitari – ovvero delle scritture ausiliarie contemplate dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 14, comma 1, lett. c) e costituite nella specie da schede di registrazione delle operazioni poste in essere con ciascun cliente e ciascun fornitore (“si rappresenta che la parte, nel corso della verifica, non ha esibito, dietro richiesta dei verbalizzanti i partitari relativi agli anni 1995 e 1996”, riferisce la ricorrente ai fini dell’autosufficienza del ricorso) – è innegabile l’errore di diritto compiuto dal giudice territoriale, allorchè ha stigmatizzato l’operato erariale e sconfessato la legittimità della rettifica in ragione del fatto che gli atti relativi “non contengono alcuna prova del fatto che le anticipazioni infruttifere effettuate dai soci nei confronti della società corrispondano, in realtà, a ricavi occulti derivanti da operazioni non contabilizzate”. E’ invero evidente che, pronunciandosi in questi termini e, dunque, ritenendo che l’accertamento condotto dall’ufficio non fosse debitamente suffragato in punto di prova dalla mancata esibizione delle dette scritture ausiliare ed abbisognasse di ulteriori riscontri indiziari, la CTR, in tal modo mostrando di credere che l’ufficio avesse operato nella specie un accertamento di tipo analitico-induttivo e che la fattispecie andasse perciò regolata in base al dettato del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), è incorsa in una manifesta violazione di legge avendo applicato una norma corretta ad una fattispecie erroneamente individuata, ritenendo infatti di trovarsi in presenza di un accertamento ai sensi dell’art. 39, comma 1, citato – che notoriamente richiede che il quadro presuntivo delineato dall’ufficio a fondamento delle riprese effettuate si valga di un concorso di presunzioni gravi, precise e concordanti – sebbene, per le modalità in cui esso si era svolto e, segnatamente per il fatto che in relazione agli anni 1995 e 1996 la parte non avesse esibito i partitari richiesti – l’accertamento fosse stato operato ai sensi dell’art. 39, comma 2, citato, che prescinde, come detto, dal necessario concorso delle presunzioni richieste dal comma 1.

3.1. Il secondo motivo del ricorso erariale addebita alla sentenza in esame, a mente dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio di insufficiente motivazione poichè la CTR, nel motivare il proprio assunto, ha trascurato “una serie di circostanze-prove” quali “le dichiarazioni dei soci” rese ai verificatori circa i redditi conseguiti negli anni in cui risultavano eseguite le anticipazioni, “la gestione costantemente in perdita della società, il comportamento antieconomico della stessa ed i rilievi del c.t.u. nella perizia penale”.

3.2. Il motivo, quanto agli anni 1995 e 1996, va dichiarato assorbito dal pregresso accoglimento del primo motivo di ricorso, in guisa del quale la CTR dovrà rimeditare il proprio giudizio in applicazione del principio di diritto ivi affermato.

3.3.1. Il motivo è invece in parte infondato ed in parte inammissibile in relazione agli altri anni oggetto di accertamento.

3.3.2. Non risponde infatti a verità l’allegata circostanza che la CTR non avrebbe tenuto in debita considerazione le dichiarazioni dei soci circa l’indisponibilità in capo ai medesimi dei redditi impiegati ai fini di finanziamento, giacchè la CTR, muovendo in tal caso nell’alveo dell’accertamento analitico-induttivo operato dall’ufficio con riguardo a detti anni di imposta e, dunque, rettamente uniformandosi al principio secondo cui l’accertamento in parola onde legittimare la ricostruzione induttiva delle attività non dichiarate deve valersi di presunzioni gravi, precise e concordanti, ha proceduto all’apprezzamento delle dichiarazioni rese dai soci secondo i poteri di valutazione delle prove che competono solo ad essa ed in tale guisa, lungi dal negarne preconcettualmente ogni rilevanza – e dunque evitando di incorrere nel denunciato errore motivazionale -, ha escluso che in difetto di altri riscontri – indicati, in particolare nel controllo sui movimenti bancari, nelle indagini presso la clientela, nei riscontri sui quantitativi delle merci acquistate, lavorate e giacenti – le sole dichiarazione dei soci fossero sufficienti a comprovare l’assunto dell’ufficio di un maggiore imponibile imputabile alla verificata.

3.3.2. Il motivo è invece affetto da inammissibilità per difetto di specificità quanto agli altri pretesi elementi indiziari che la CTR avrebbe ignorato.

Invero procedendo alla trascrizione dell’atto di appello che occupa parzialmente le pagine 13 e 18 del ricorso ed integralmente le pagine 14, 15, 16 e 17, senza aver cura di evidenziare puntualmente quali elementi istruttori, ritualmente allegati, la CTR avrebbe disatteso, la ricorrente ha mostrato di trascurare il fondamentale precetto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, in guisa del quale è affermazione corrente di questa Corte che “l’onere della indicazione specifica dei motivi di impugnazione, imposto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), qualunque sia il tipo di errore (“in procedendo” o “in iudicando”) per cui è proposto, non può essere assolto “per relationem” con il generico rinvio ad atti del giudizio di appello, senza la esplicazione del loro contenuto, essendovi il preciso onere di indicare, in modo puntuale, gli atti processuali ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, nonchè le circostanze di fatto che potevano condurre, se adeguatamente considerate, ad una diversa decisione e dovendo il ricorso medesimo contenere, in sè, tutti gli elementi che diano al giudice di legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione della decisione impugnata” (8908/16; 7016/16; 11984/11).

Non potendo perciò chiedersi alla Corte di occuparsi del “troppo e del vano”, obbligandola ad escerpire dal coacervo espositivo risultante dalla riproduzione dell’atto d’appello ciò che possa essere utile ai fini della decisione, sostituendosi essa in quello che è un compito della parte e sovrapponendo così all’interpretazione di questa la propria, il motivo – è meglio il ricorso in pane qua – non è scrutinabile e va conseguentemente dichiarato inammissibile.

4. Accolto, dunque, il primo motivo di ricorso e dichiarato in parte assorbito ed in parte infondato/inammissibile il secondo, la sentenza dovrà essere cassata nei limiti del motivo accolto e la causa andrà rinviata avanti al giudice territoriale per il dovuto riesame ai sensi dell’art. 383 c.p.c., comma 1.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara il secondo motivo assorbito quanto agli anni 1995 e 1996 ed in parte infondato ed in parte inammissibile quanto agli anni 1997 e 1998; cassa l’impugnata sentenza nei limiti del motivo accolto e rinvia la causa avanti alla CTR Emilia Romagna che, in altra composizione, provvederà pure alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 7 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2016

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