Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18022 del 03/08/2010

Cassazione civile sez. I, 03/08/2010, (ud. 19/10/2009, dep. 03/08/2010), n.18022

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. SCHIRO’ Stefano – est. Consigliere –

Dott. FITTIPALDI Onofrio – rel. Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

S.G., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentato e difeso

dall’avv. MARRA Alfonso Luigi, che lo rappresenta e difende per

procura in atti;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro

tempore, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e difende per

legge;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Napoli, cron. n. 2692/07,

del 12 maggio 2007, nel procedimento n. 3374/06 V.G.;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19 ottobre 2009 dal relatore, cons. Onofrio Fittipaldi;

alla presenza del Pubblico ministero, in persona del sostituto

procuratore generale, dott. PATRONE Ignazio che nulla ha osservato.

LA CORTE:

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO E DIRITTO

CHE:

1. e’ stata depositata in cancelleria relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti; S.G. ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di tredici motivi, avverso il decreto in data 12 maggio 2007, con il quale la Corte di appello di Napoli ha condannato la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in suo favore della somma di Euro 3.250,00, oltre alle spese processuali, a titolo di equa riparazione del danno non patrimoniale patito in conseguenza del superamento del termine ragionevole di durata di un giudizio promosso davanti al TAR Campania con ricorso del 3 luglio 1997 e non ancora definito;

la Presidenza del Consiglio intimata ha resistito con controricorso;

con i tredici motivi di ricorso lo S. ha lamentato: la mancata applicazione della normativa comunitaria alla stregua dell’interpretazione fornita dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo (primo motivo); l’inosservanza, sulla base di carente motivazione, dei parametri europei in ordine alla quantificazione per anno del danno non patrimoniale (secondo e terzo motivo); il mancato riconoscimento, ancora con vizio di motivazione e in violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, del bonus di Euro 2.000,00 in ragione della natura previdenziale della controversia (quarto, quinto e sesto motivo); l’insufficiente liquidazione delle spese processuali, con vizio di motivazione, con erronea applicazione delle tariffe professionali vigenti riguardanti i procedimenti di volontaria giurisdizione, anziche’ i giudizi ordinali dinanzi alla Corte d’appello, senza tener conto degli onorari liquidati dalla CEDU e disattendendo i minimi tariffari e la nota spese depositata (motivi da sette a tredici);

2. esaminati congiuntamente i primi sei motivi, in quanto strettamente connessi, osserva il collegio che, in tema di equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, il parametro per indennizzare la parte del danno non patrimoniale subito nel processo presupposto va individuato nell’importo non inferiore ad Euro 750,00 per anno di ritardo, alla stregua degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009; che, secondo tale pronuncia, in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo e in base alla giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo (sentenze 29 marzo 2006, sui ricorsi n. 63261 del 2000 e nn. 64890 e 64705 del 2001), gli importi concessi dal giudice nazionale a titolo di risarcimento danni possono essere anche inferiori a quelli da essa liquidati, “a condizione che le decisioni pertinenti” siano “coerenti con la tradizione giuridica e con il tenore di vita del paese interessato”, e purche’ detti importi non risultino irragionevoli, reputandosi, peraltro, non irragionevole una soglia pari al 45 per cento del risarcimento che la Corte avrebbe attribuito, con la conseguenza che, stante l’esigenza di offrire un’interpretazione della L. 24 marzo 2001, n. 89 idonea a garantire che la diversita’ di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con l’art. 6 della CEDU (come interpretata dalla Corte di Strasburgo), la quantificazione del danno non. patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo eccedente il termine di ragionevole durata; ritenuto che tali principi vanno confermati in questa sede, con la precisazione che il suddetto parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo invece aversi riguardo per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00 per anno di ritardo, tenuto conto che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno;

la Corte di appello di Napoli – determinando l’ammontare dell’indennizzo nella esigua misura di Euro 500,00 per ciascun anno di ritardo per il complessivo importo di Euro 3.250,00 – non si e’ uniformata al principio sopraenunciato;

quanto al mancato riconoscimento del bonus di Euro 2.000,00 in ragione della natura previdenziale della controversia, deve ritenersi che non puo’ ravvisarsi un obbligo di diretta applicazione dell’orientamento della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo cui va riconosciuta una somma forfetaria nel caso di violazione del termine nei giudizi aventi particolare importanza, fra cui anche la materia del lavoro; da tale principio, infatti, non puo’ derivare automaticamente che tutte le controversie di tal genere debbano considerarsi di particolare importanza, spettando al giudice del merito valutare se, in concreto, la causa di lavoro abbia avuto una particolare incidenza sulla componente non patrimoniale del danno, con una valutazione discrezionale che non implica un obbligo di motivazione specifica, essendo sufficiente, nel caso di diniego di tale attribuzione, una motivazione implicita (Cass. 2006/9411; 2008/6898); le censure di cui ai motivi da sette a tredici, concernenti la liquidazione delle spese processuali, restano invece assorbite, dovendosi comunque procedere alla riliquidazione delle spese del giudizio di merito in ragione dell’accoglimento del ricorso sotto il profilo in precedenza rilevato;

3. il decreto impugnato deve essere pertanto annullato con riferimento alla censura accolta e poiche’ non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa puo’ essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2; determinato in sei anni e sei mesi, secondo la non censurata determinazione del giudice di merito, il periodo di durata non ragionevole del processo e tenuto conto che, in base alle considerazioni in precedenza svolte, il parametro per indennizzare la parte del danno non patrimoniale subito nel processo presupposto va individuato nell’importo non inferiore ad Euro 750,00 per anno di ritardo per i primi tre anni e ad Euro 1.000,00, per ogni successivo anno di ritardo, nel caso di specie si deve riconoscere al ricorrente l’indennizzo complessivo di Euro 5.750,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, al cui pagamento deve essere condannata la Presidenza del Consiglio dei Ministri soccombente;

4. le spese del giudizio di merito e di quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. 2008/23397; 2008/25352), compensate per la meta’ quelle del giudizio di cassazione atteso l’accoglimento solo parziale del ricorso, con distrazione delle spese di entrambi i giudizi in favore del difensore del ricorrente, dichiaratosi antistatario.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione. Cassa il decreto impugnato in ordine alla censura accolta e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 5.750.000, oltre agli interessi legali dalla domanda.

Condanna inoltre la Presidenza, del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore del ricorrente delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in Euro 1.140,00, di cui Euro 600,00 per diritti ed Euro 50,00 per spese, nonche’ di quelle del giudizio di cassazione, compensate per la meta’, che si liquidano per l’intero in Euro 965,000, di cui Euro 865,00 per onorari, con distrazione, per le spese di entrambi i giudizi, in favore del difensore del ricorrente, avv. Alfonso Luigi Marra, dichiaratosi antistatario.

Cosi’ deciso in Roma, il 19 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2010

 

 

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