Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18019 del 21/07/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 21/07/2017, (ud. 01/02/2017, dep.21/07/2017),  n. 18019

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26926-2014 proposto da:

A.C. S.P.A. P.I. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

DELLE MILIZIE 114, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO VALLEBONA,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato SCIPIONE DE

MICCO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

E.C. C.F. (OMISSIS), C.C. C.F. (OMISSIS),

I.A.L. C.F. (OMISSIS), IA.ST. C.F. (OMISSIS),

R.E. C.F. (OMISSIS), G.D. C.F. (OMISSIS),

Z.N. C.F. (OMISSIS), P.S. C.F. (OMISSIS), tutte

elettivamente domiciliate in ROMA, VIA B. BUOZZI 51, presso lo

studio dell’avvocato FRANCESCO CACCIOPPOLI, rappresentate e difese

dall’avvocato ETTORE FREDA, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 609/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 05/06/2014 R.G.N. 2742/12;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/02/2017 dal Consigliere Dott. BALESTRIERI FEDERICO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO RITA che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

udito l’Avvocato ANTONIO VALLEBONA e SCIPIONE DE MICCO;

udito l’Avvocato ETTORE FREDA.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con distinti ricorsi al Tribunale di Avellino, P.S. e le altre litisconsorti indicate in epigrafe, convenivano in giudizio la A.C. s.p.a., esponendo di aver lavorato alle dipendenze di quest’ultima come addette alla cassa del punto vendita di (OMISSIS); che la datrice di lavoro, a seguito di procedura di mobilità ex L. n. 223 del 1991, con telegramma del 29.4.2009, aveva loro comunicato il recesso con effetto dal 30.4.09; che i licenziamenti erano stati motivati con l’esigenza di ridurre il personale per cui era stata espletata la procedura prevista dalla L. n. 223 del 1991; che la procedura in questione era stata avviata il 2.2.09 ed aveva riguardato 16 addette alle casse del punto vendita (OMISSIS); che, a sua volta, l’esigenza di ridurre il personale era sorta a causa dell’esubero delle cassiere in determinate fasce orarie di minor afflusso di clienti, non gestibile con flessibilità di orario; che la procedura si era conclusa con accordo sindacale, escluso l’UGL cui erano iscritte 13 delle 16 lavoratrici; che nella comunicazione L. n. 223 del 1991 ex art. 4, era stata omessa la comunicazione dei criteri di scelta; che i destinatari dei licenziamenti furono solo quelli addetti al punto vendita (OMISSIS) e non di tutta l’azienda; che i licenziamenti violavano le previsioni di legge circa le percentuali di manodopera femminile occupate (L. n. 223 del 1991, art. 5, come modificato dalla L. n. 236 del 1993).

Il Tribunale accoglieva le domande.

Avverso tale sentenza proponeva appello la società. Resistevano le lavoratrici. Con sentenza depositata il 5 giugno 2014, la Corte d’appello di Napoli respingeva il gravame, rilevando, in sintesi, che la procedura di mobilità aveva illegittimamente interessato non tutta l’azienda, ma solo il punto vendita di (OMISSIS).

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società, affidato ad unico motivo. Resistono le lavoratrici con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – La società ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, artt. 4,5 e 24, e degli art. 115 e art. 414, commi 4 e 5, art. 416, comma 3, art. 420, comma 5, art. 437, comma 2, per avere la sentenza impugnata erroneamente affermato che le cassiere licenziate che lavoravano nel punto vendita di (OMISSIS) dovevano essere comparate con tutti i lavoratori operanti nel settore cassa di altri punti vendita, ed in particolare dei punti vendita di (OMISSIS).

Lamenta che non esistevano altri punti vendita della società, essendovi ad (OMISSIS) solo un deposito senza vendita al pubblico, ed a (OMISSIS) non era impiegato alcun dipendente della società posto che tale punto vendita era da lungo tempo stato dato in appalto ad altre società, sicchè le uniche cassiere dipendenti dell’odierna ricorrente erano quelle del punto vendita di (OMISSIS).

Lamenta inoltre, in subordine, che l’esistenza di altri pretesi punti vendita della società era stata dedotta dalle ricorrenti solo nella memoria di costituzione in appello e dunque tardivamente; che comunque la corte di merito non aveva ammesso la prova per testi sul punto richiesta dalla società ed aveva comunque equivocato tra mansioni fungibili e mansioni equivalenti.

1.1 – Il ricorso è infondato.

Deve infatti osservarsi, in primo luogo, che l’accertamento, svolto dal giudice di merito, secondo cui nella stessa comunicazione di inizio della procedura e L. n. 223 del 1991, art. 4, la stessa società aveva indicato l’esistenza di altri punti vendita ed in particolare quello di (OMISSIS), escluso tuttavia dalla procedura di mobilità, non viene minimamente contestato dall’odierna ricorrente, così come la circostanza, parimenti accertata dalla corte di merito, che le lavoratrici, già col ricorso introduttivo della lite, avevano impugnato i recessi anche per violazione dei criteri di scelta per omessa comparazione con i lavoratori dei punti vendita di (OMISSIS), oltre all’esistenza di altri due punti vendita, uno a pochi chilometri di distanza dal punto vendita di (OMISSIS), l’altro in provincia di Caserta.

Ne consegue che la circostanza dell’esistenza di altri punti vendita, cui era adibito personale svolgente mansioni fungibili (l’alternarsi in sentenza delle espressioni fungibile ed equivalente risulta irrilevante a fronte della comunicazione iniziale ex art. 4 dove la stessa società, con riferimento alla procedura di mobilità de qua, evidenzia che il punto vendita di Avellino era lasciato fuori dalla procedura perchè oggetto di futura ristrutturazione) è stato adeguatamente accertato dalla sentenza impugnata, senza alcuna violazione delle preclusioni in tema di deduzioni e prove previste per il rito del lavoro.

D’altro canto le contrarie deduzioni dall’odierna ricorrente non risultano supportate da alcun elemento di prova, nè la censura inerente la mancata ammissione delle stesse può ritenersi ammissibile in questa sede. Deve infatti considerarsi che il ricorrente che, in sede di legittimità, denuncia la mancata ammissione di una prova testimoniale da parte del giudice di merito ha l’onere di indicare specificamente le circostanze che formavano oggetto della prova, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare e, quindi, delle prove stesse che, per il principio di autosufficienza del ricorso, la Corte di cassazione dev’essere in grado di compiere solo sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (Cass. sez. un 22.12.11 n. 28336).

D’altro canto la censura contenuta nel ricorso per cassazione relativa alla mancata ammissione della prova testimoniale è inammissibile se il ricorrente, oltre a trascrivere i capitoli di prova e ad indicare i testi e le ragioni per le quali essi sono qualificati a testimoniare – elementi necessari a valutare la decisività del mezzo istruttorio richiesto – non alleghi e indichi la prova della tempestività e ritualità della relativa istanza di ammissione e la fase di merito a cui si riferisce, al fine di consentire “ex actis” alla Corte di Cassazione di verificare la veridicità dell’asserzione (Cass. 23 aprile 2010 n. 9748).

Secondo Cass. 22.4.09 n. 9551, poi, l’ammissione dei mezzi di prova è rimessa alla iniziativa ed alla discrezionale valutazione del giudice di merito, onde non è censurabile in sede di legittimità la sentenza che non abbia ammesso e non abbia indicato le ragioni della mancata ammissione di detti mezzi, dovendosi ritenere per implicito che non se ne sia ravvisata la necessità.

Deve a questo punto dunque richiamarsi il principio, affermato da questa S.C., secondo cui in tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad un’unità produttiva o ad uno specifico settore dell’azienda, la platea dei lavoratori interessati può essere limitata agli addetti ad un determinato reparto o settore solo sulla base di oggettive esigenze aziendali, in relazione al progetto di ristrutturazione aziendale. Tuttavia il datore di lavoro non può limitare la scelta dei lavoratori da porre in mobilità ai soli dipendenti addetti a tale reparto o settore se essi siano idonei – per il pregresso svolgimento della propria attività in altri reparti dell’azienda – ad occupare le posizioni lavorative di colleghi addetti ad altri reparti, con la conseguenza che non può essere ritenuta legittima la scelta di lavoratori solo perchè impiegati nel reparto operativo soppresso o ridotto, trascurando il possesso di professionalità equivalente a quella di addetti ad altre realtà organizzative (Cass. n. 203/15).

2. – Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e, liquidate come da dispositivo, debbono distrarsi in favore del difensore delle controricorrenti dichiaratosi antecipante.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a, da distrarsi in favore dell’avv. Ettore Freda.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 1 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2017

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