Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18018 del 21/07/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 21/07/2017, (ud. 01/02/2017, dep.21/07/2017),  n. 18018

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – rel. Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27077/2014 proposto da:

ALMAVIVA CONTACT S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DELLE TRE MADONNE 8, presso lo studio degli avvocati MARCO MARAZZA,

DOMENICO DE FEO, MAURIZIO MARAZZA, che la rappresentano e difendono

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

T.M., C.F. (OMISSIS), R.R. C.F. (OMISSIS),

G.V.A. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliati

in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 9, presso lo studio dell’avvocato

ENRICO LUBERTO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

MARCO INCHES, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 7118/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 15/11/2013 R.G.N. 5842/;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/02/2017 dal Consigliere Dott. LAURA CURCIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato MAURIZIO MARAZZA;

udito l’Avvocato ENRICO LUBERTO;

udito l’Avvocato MARCO INCHES.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 17.7.2013 la Corte d’appello di Roma ha riformato la senza del Tribunale della stessa città del 23.4.2009 che aveva respinto quasi totalmente le domande degli attuali contro ricorrenti, lavoratori presso la società Atesia s.p.a., poi incorporata nell’Almaviva spa, i quali avevano chiesto che venisse accertata la natura subordinata del rapporto intercorso con la società attraverso contratti di collaborazione coordinata e continuativa o contratti a progetto per attività di operatore di cali center e che la società venisse condannata alla reintegrazione ed al risarcimento del danno ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18.

Il Tribunale aveva ritenuto non raggiunta la prova della subordinazione dei rapporti di lavoro, con conseguente infondatezza anche della domanda diretta ad accertare l’illegittimità del licenziamento ed il diritto alla reintegrazione, solo accertando l’assenza di giusta causa del recesso dall’ultimo contratto, con conseguente risarcimento danni sino alla naturale scadenza dello stesso.

La Corte d’appello, dopo aver ritenuto ammissibile anche un successivo ricorso presentato dai lavoratori diretto sempre all’accertamento della subordinazione e della illegittimità del licenziamento operato nei loro confronti, non ha considerato rilevante ai fini dell’esclusione della subordinazione la circostanza della possibilità di scelta dei lavoratori di rendere la prestazione, in quanto non esistenti altri margini di autonomia nell’espletamento dell’attività lavorativa, avendo invece ritenuto che fosse emerso sia dalle testimonianze raccolte che dalla documentazione in atti (i contratti di collaborazione stipulati tra le parti), che la società disciplinava compiutamente le modalità di utilizzo delle postazioni, imponendo le procedure da rispettare in caso di malfunzionamento dei terminali, richiedendo obbligatoriamente il rispetto di uno schema predeterminato nella modalità di condurre le interviste, di rispondere alle chiamate ricevute, con un sistema predeterminato anche di annotazione degli esiti delle telefonate, senza che vi potesse essere una gestione autonoma dei contatti.

La Corte territoriale ha anche rilevato che dalle testimonianze era emerso altresì uno stringente controllo da parte degli assistenti di sala del rispetto delle procedure, non solo il loro supporto tecnico agli operatori.

A seguito dell’accertata subordinazione, è stato poi valutato come espressione della volontà di licenziamento per mancanze, il recesso dai contratti comunicato dalla società ai lavoratori a seguito della sospensione della prestazione posta in essere il 22.7.2005, licenziamento ritenuto nullo per violazione della procedura di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 7, con ordine di reintegrazione.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società Almaviva affidato a quattro motivi.

Hanno resistito T. e gli altri due litisconsorti con controricorso, depositando altresì questi ultimi memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Con il primo motivo di ricorso la società lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3.

Secondo la ricorrente gli elementi evidenziati nella gravata sentenza sarebbero tutti riconducibili ad una forma di coordinamento che connota tipicamente í rapporti di lavoro autonomo, mentre la Corte territoriale avrebbe del tutto pretermesso di considerare gli elementi essenziali che connotano la subordinazione e cioè l’assoggettamento al potere disciplinare, direttivo ed organizzativo del datore di lavoro, che non si esplica con direttive di carattere generale. Gli elementi considerati sarebbero invece solo espressione della necessità della società di garantire determinati ed indispensabili standard di servizio. Per la ricorrente sarebbe evidente quindi la violazione dell’art. 2094 c.c., difettando gli elementi tipici dell’assoggettamento al potere disciplinare e direttivo dell’imprenditore, non avendo la Corte in alcun modo considerato che i lavoratori potevano liberamente decidere se eseguire o meno la prestazione di lavoro, non avendo obbligo di lavorare ogni giorno necessariamente.

2) Con il secondo motivo di gravame la società ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione art. 360, comma 1, n. 3, con riferimento al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 67, comma 2, per non avere la Corte considerato che detta norma prevede la possibilità che entrambe le parti possono recedere prima della scadenza del termine per giusta causa, così come recepito anche dal contratto individuale e che pertanto apparirebbero incongrue le affermazioni della sentenza che hanno ricondotto all’esercizio di un potere disciplinare espulsivo la comunicazione di recesso, presa a seguito dell’inadempimento di non scarsa importanza dei collaboratori, i quali avevano sospeso la prestazione nonostante la richiesta degli assistenti di riprenderla. Non avrebbe quindi valutato la Corte che tale condotta costituiva un inadempimento contrattuale sopraggiunto che legittimava il recesso in ragione dell’elemento fiduciario diretto con il committente.

3) Con il terzo motivo di ricorso si lamenta la violazione art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in termini di omessa valutazione circa un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti e comunque di violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c., per avere la Corte territoriale ritenuto sussistente un potere direttivo del datore di lavoro, sebbene non siano stati acquisiti elementi univoci e convergenti a riguardo. La stessa Corte infatti nonostante avesse riconosciuto che le dichiarazioni dei testi indicati dai ricorrenti e di quelli indicati dalla parte convenuta non erano convergenti, ha poi ritenuto provata la subordinazione, non considerando quanto emergeva dal contenuto delle testimonianze, riportate in ricorso, sia con riferimento alle giornate di lavoro ed alle fasce orarie, che venivano prescelte dai collaboratori e non imposte dalla società, sia con riferimento al ruolo degli assistenti di sala che non avrebbero controllato strettamente i lavoratori.

4) con il quarto motivo di gravame la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 414 e 420 c.p.c., in relazione art. 360, n. 3, per avere errato la Corte nel ritenere ammissibile il successivo ricorso ex art. 414 c.p.c., proposto da tre lavoratori, in quanto le domande sarebbero connesse a quelle già svolte nei precedenti giudizi riuniti in primo grado e costituirebbero soltanto una “eterointegrazione” della prima domanda mediante l’introduzione di nuovi elementi di fatto e di nuove prospettazioni di diritto, quali l’illegittimità delle proroghe di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 86, o la nullità del contratto a progetto del ricorrente G.. La decisione della Corte d’appello romana sarebbe pertanto in contrasto con il regime delle preclusioni tipiche del rito differenziato.

5) I primi tre motivi, che possono essere trattati congiuntamente essendo connessi, sono in parte inammissibili ed in parte infondati, trattandosi di censure che pur denunciando un’ errata sussunzione dei rapporti di lavoro in esame nella fattispecie del contratto di lavoro subordinato e non in quelle di collaboratori coordinati e continuativi oppure a progetto, in realtà si risolvono in una diversa valutazione degli elementi di fatto presi in considerazione dalla Corte, anche attraverso il riesame delle testimonianze.

6) Va premesso che l’elemento indispensabile che connota il lavoro subordinato distinguendolo da quello autonomo è il vincolo di soggezione del lavoratore subordinato al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, che discende dall’emanazione di ordini specifici e da un’attività di controllo e di vigilanza dell’esecuzione della prestazione lavorativa, attività che va valutata con riguardo alla situazione concreta, quindi alla specificità dell’incarico affidato al lavoratore ed alla sua modalità di attuazione, fermo restando che ogni attività economicamente rilevante può essere oggetto di un rapporto sia di natura subordinata che di natura autonoma. Conseguentemente elemento indefettibile della subordinazione è il vincolo di soggezione personale al potere direttivo e disciplinare, mentre hanno carattere sussidiario e funzione meramente indiziaria altri elementi del rapporto quali l’inserimento nell’organizzazione aziendale, il rispetto dell’orario, l’assenza di rischio (cfr per tutte Cass. n.4500/2007).

7) Inoltre va ricordato che: “in sede di legittimità è censurabile solo la determinazione dei criteri generali e astratti da applicare al caso concreto, mentre costituisce accertamento di fatto – incensurabile in tale sede, se sorretta da motivazione adeguata ed immune da vizi logici e giuridici – la valutazione delle risultanze processuali che hanno indotto il giudice ad includere il rapporto controverso nell’uno o nell’altro schema contrattuale” (cfr Cass. n. 825472002, richiamata in particolare da Cass. n. 4476/2012, che ha esaminato una fattispecie analoga a quella oggetto del presente giudizio).

8) Così che, secondo ulteriore indirizzo consolidato di questa Corte “la valutazione delle prove testimoniali e il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che altri, come la scelta tra le varie risultanze probatorie, involgono apprezzamenti di fatto che sono riservati al giudice di merito, il quale deve indicare le ragioni poste a fondamento del proprio convincimento, senza dover confutare ogni singola deduzione difensiva” (v. tra le altre Cass. 21412/2006).

9) Sulla base di tali premesse deve rilevarsi che la sentenza della Corte d’Appello, che ha posto in luce le specifiche modalità con cui si svolgeva la prestazione degli attuali contro ricorrenti, assunti con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, prorogati nel tempo e la T. e il G. anche con contratti a progetto ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61, è esente da censure, perchè l’accertamento di fatto è conforme ai principi di diritto prima richiamati e la motivazione immune da vizi logici. Ed infatti la Corte territoriale, richiamandosi in particolare proprio ai criteri interpretativi espressi, con riferimento ad identiche fattispecie, dalla decisione di questa Corte n. 4476/2012, ha analizzato non solo le risultanze testimoniali, ma anche i documenti prodotti (i contratti individuali di ciascun lavoratore), giungendo ai convincimento della sussistenza della subordinazione.

10) Nello specifico la Corte territoriale ha evidenziato come il potere direttivo e di controllo, declinato con riferimento alla peculiarità della prestazione richiesta e del contesto aziendale dato, fosse ricavabile da: l’utilizzo di un sistema informatico che consentiva alla società di predeterminare, in ogni suo aspetto, il contenuto della prestazione e di accertare il rispetto delle puntuali direttive impartite; direttive cristallizzate anche nelle clausole contrattuali che determinavano con particolare precisione le modalità della prestazione, come ad esempio l’uso “di un linguaggio appropriato ai contenuti dell’attività professionale, la padronanza del dialogo, la capacità di persuadere, la massima cortesia nei confronti dell’utenza”, “il divieto di qualsiasi modifica delle impostazioni standard relativamente a tipo colori monitor, sfondi di personal computer “, modalità della prestazione che poi venivano controllate dagli assistenti di sala, come riferito dai testi indicati in sentenza ( C., B.A.).

11) La Corte infatti ha riportato le testimonianze che hanno riferito circa il rispetto da parte degli operatori di frasi di apertura e chiusura delle telefonate inbound, l’impossibilità di gestire i contatti telefonici in modo autonomo, perchè ulteriori eventuali appuntamenti telefonici presi dagli operatori con clienti intervistati venivano controllati dall’azienda, magari anche riprogrammati.

12) in presenza quindi di una motivazione del tutto priva di vizi logici, deve ritenersi inammissibile la censura della ricorrente laddove ripropone, attraverso l’esame di testimonianze altre e diverse rispetto a quelle esaminate nella sentenza oggetto di gravame, una diversa valutazione dei fatti diretti ad accertare la natura subordinata del rapporto.

13) Allo stesso modo deve ritenersi infondata la censura riguardante la violazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 67, atteso che coerentemente e correttamente la Corte, sul presupposto dell’accertata natura subordinata del rapporto, desumibile anche in base allo specifico comportamento tenuto dagli assistenti di sala nei confronti degli attuali lavoratori controricorrenti in occasione delle proteste e della sospensione temporanea della prestazione e consistito nell’invitare ripetutamente i lavoratori a desistere dall’iniziativa, ha qualificato come licenziamento la comunicazione del recesso, avvenuta a distanza di un giorno dai fatti, riconducendo tale atto all’esercizio del potere disciplinare.

14)Infine deve ritenersi infondato anche il quarto motivo di ricorso. Correttamente ha rilevato dalla Corte di merito che, nel rito del lavoro non è precluso alla parte che ha già presentato un ricorso con determinate domande, di riproporre un successivo e separato ricorso, per ulteriori domande nei confronti del medesimo convenuto, come precisato da Cass. 2010 n. 24339, secondo cui “le preclusioni previste nel rito del lavoro, dagli artt. 414 e 416 c.p.c., e art. 420 c.p.c., comma 1, essendo volte a garantire le esigenze di contraddittorio e del diritto di difesa, non impediscono.. che una nuova domanda, la cui proposta sia dalle stesse inibita, possa essere separatamente introdotta con un autonomo atto, destinato ad essere riunito a quello originario”. Nel caso in esame infatti non vi era assoluta identità di oggetto, perchè nel primo ricorso il petitum consisteva nella richiesta di condanna alla reintegrazione e la causa petendi faceva riferimento alla natura ritorsiva del licenziamento ed alla violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, mentre nella causa successiva i ricorrenti avevano richiesto l’accertamento dell’illegittimità delle proroghe dei rapporti di collaborazione come co.co. co, intervenuti successivamente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 276 del 2003.

15) Il ricorso deve,pertanto essere respinto e la a società ricorrente, soccombente, va condannata alla rifusione delle spese di lite del presente giudizio, liquidate come da dispositivo.

PQM

 

La Corte respinge il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 5000,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed oneri di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 1 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2017

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