Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18016 del 04/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 04/07/2019, (ud. 21/03/2019, dep. 04/07/2019), n.18016

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16413-2017 proposto da:

IMMOBILIARE VEZZENA S.a.s.. di M.G., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA

alla VIA PREMUDA 1/a, presso lo studio dell’Avvocato ANDREA

PETRETTO, rappresentata e difesa dagli avvocati DIEGO NOVELLO, MARCO

ANTONIO DAL BEN, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

P.M. quale titolare della ditta individuale INSIEME

ARREDAMENTI, elettivamente domiciliata in ROMA via ALBERICO II 13,

presso lo studio dell’avvocato SILVIA CONTESTABILE e rappresentato e

difeso dall’avvocato GIAMPAOLO BAU’ giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente-

avverso la sentenza n. 2951/2016 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 23/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/3/2019 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO;

Lette le memorie depositate dal controricorrente.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

P.M., quale titolare della ditta individuale Insieme Arredamenti conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Bassano del Grappa l’Immobiliare Vezzena S.a.s. di M.G. al fine di ottenere la condanna al pagamento del saldo di alcuni interventi edilizi e della fornitura di elementi di arredo relativi ad un appartamento di proprietà della società convenuta sito in (OMISSIS).

Nella resistenza della convenuta la quale asseriva che non tutti i lavori ordinati erano stati eseguiti e che in ogni caso non era stato rispettato il preventivo concordato, il Tribunale adito con ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. del 27 novembre 2009 accoglieva la domanda attorea, condannando la società al pagamento del corrispettivo ancora dovuto determinato in Euro 109.401,18.

La Corte d’Appello di Venezia con la sentenza n. 2951 del 23/12/2016 ha rigettato l’appello della società, ritenendo, quanto al primo motivo, che ben poteva essere decisa la controversia in primo grado con l’ordinanza post-istruttoria, in quanto la causa era stata considerata sufficientemente istruita, reputando quindi superfluo l’espletamento di ulteriori mezzi istruttori, con valutazione che anche i giudici di appello condividevano.

Quanto al secondo motivo di gravame, vertente sulla mancata possibilità di fornire la prova del fatto che le parti avessero concordato l’entità del corrispettivo dovuto all’attore, in misura inferiore rispetto a quanto richiesto, la sentenza d’appello rilevava l’inammissibilità dei capitoli di prova articolati dalla società, atteso che gli stessi omettevano anche di specificare il tipo di lavori da effettuare.

In ordine, poi al terzo motivo, volto a contestare le risultanze della CTU, la sentenza di secondo grado rilevava che, anche a seguito della riconvocazione dell’ausiliario d’ufficio, le sue conclusioni erano del tutto soddisfacenti e quindi giustificavano l’accoglimento della domanda.

L’Immobiliare Vezzena S.a.s. ha proposto ricorso avverso tale sentenza sulla base di tre motivi.

P.M. nella indicata qualità ha resistito con controricorso.

Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 186 quater c.p.c., in quanto il Tribunale, all’esito del deposito dei chiarimenti alla CTU, su richiesta di parte attrice, si era riservato emettendo poi l’ordinanza ex art. 186 quater c.p.c., senza che si fosse pronunciato sulle richieste istruttorie della ricorrente, nè avesse dichiarato chiusa l’istruttoria ed avesse altresì invitato le parti a precisare le conclusioni.

Si lamenta che la Corte distrettuale, nonostante fosse stata dedotta l’invalidità della decisione di prime cure, aveva disatteso il motivo di appello analogamente pervenendo ad un’erronea applicazione della norma in rubrica.

Il motivo è infondato.

Ed, invero, proprio facendo richiamo ai precedenti di questa Corte, alcuni dei quali riprodotti anche dalla ricorrente, è opinione consolidata quella secondo cui (cfr. Cass. n. 17807/2004) l’art. 186 quater c.p.c. presuppone l’esaurimento dell’istruzione, che non implica che le richieste formulate dalle parti risultino tutte completamente espletate, ben potendo la causa essere ritenuta dal giudice adeguatamente istruita alla stregua degli incombenti istruttori già compiuti e senza necessità (ovvero impossibilità, in caso di mancanza inammissibilità o irrilevanza) di assumerne altri, non palesandosi la necessità di un formale provvedimento di chiusura dell’istruttoria (Cass. n. 13148/2003), potendosi reputare che anche il rinvio per la precisazione delle conclusioni valga come implicito rigetto delle istanze istruttorie formulate dalle parti (cfr. Cass. n. 9379/2002).

Tuttavia, non appare possibile desumere da quanto affermato da Cass. n. 1633/2002, che l’emissione dell’ordinanza de qua presupporrebbe sempre il previo invito del giudice alla precisazione delle conclusioni, rilevando piuttosto il dato sostanziale che nella valutazione del giudice istruttore si sia formato il convincimento della superfluità di altri mezzi istruttori, e dell’idoneità della causa ad essere decisa, anzichè con sentenza, con l’ordinanza post-istruttoria richiesta dalla parte.

Nel caso in esame, come si ricava dalla stessa esposizione dei fatti di causa compiuta dalla ricorrente, il Tribunale aveva dapprima disposto una CTU al fine di addivenire alla quantificazione del costo degli interventi realizzati dall’attore, per poi richiedere una relazione suppletiva, all’esito del cui deposito lo stesso P., assumendo che l’istruttoria fosse ormai conclusa, aveva sollecitato l’adozione dell’ordinanza ex art. 186 ter c.p.c. ovvero ex art. 186 quater c.p.c.

La difesa della società si opponeva a tale richiesta, ritenendo invece necessario dover espletare altri mezzi di prova ed, atteso il contrasto esistente tra le parti, il giudice istruttore si riservava sulla richiesta dell’attore, pervenendo poi all’adozione dell’ordinanza ex art. 186 quater c.p.c.

Come si ricava anche dal tenore dell’ordinanza de qua, come riportata sempre in ricorso, è evidente che la decisione sia stata adottata sul presupposto, esplicitato dalla stessa motivazione del provvedimento, che il materiale istruttorio sino a quel momento raccolto fosse del tutto idoneo a consentire la decisione della controversia, essendosi quindi dato conto, ancorchè ab implicito, della ricorrenza dei presupposti dettati dal legislatore per l’adozione del provvedimento de quo, ben potendosi reputare che la previa discussione tra le parti in ordine alla possibilità di emettere l’ordinanza in oggetto, e la decisione del giudice di riservarsi sulla stessa, implicassero l’invito del giudice a precisare le conclusioni, rese appunto dalle parti (sebbene la società ritenesse ancora necessario l’espletamento di ulteriori mezzi istruttori, il che non impedisce di poter reputare che comunque siano state rese delle conclusioni, sebbene in parte reiterative di istanze istruttorie). Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 1657 c.c., in quanto il Tribunale, con valutazione condivisa dalla Corte d’Appello, ha determinato il corrispettivo dovuto al P. adeguandosi alle risultanze della CTU, ma senza dare sfogo ai mezzi istruttori richiesti dalla convenuta, la quale aveva dedotto che in realtà le parti avevano concordato l’esatta entità del corrispettivo dovuto.

Ne deriva quindi che non poteva darsi seguito alla richiesta di nomina di un CTU attesa la possibilità di far applicazione dei parametri tariffari esistenti o degli usi (ai quali si era attenuto l’ausiliario, che aveva fatto riferimento ai prezzi di mercato) solo in via suppletiva, ed in assenza di una volontà diversa dei contraenti.

Il terzo motivo di ricorso lamenta invece la violazione e falsa applicazione degli artt. 194 c.p.c. e ss., in quanto la decisione gravata si fonderebbe sugli esiti della CTU, la quale non può costituire un mezzo di prova, ma può limitarsi solo a favorire una valutazione del materiale probatorio già raccolto.

I due motivi di ricorso possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, e sono infondati.

In primo luogo non può non rimarcarsi il difetto di specificità del mezzo di gravame in relazione al disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, nella parte in cui le critiche della ricorrente si rivolgono nei confronti dell’operato del CTU, omettendo di riportare in maniera compiuta il contenuto dell’elaborato peritale (ed in disparte ancora l’ammissibilità della denuncia circa la valutazione in fatto del giudice di merito di condivisione delle risultanze dell’elaborato peritale), riportandone solo alcuni stralci che non permettono di apprezzare compiutamente l’effettiva consistenza delle censure mosse.

Peraltro, non appare possibile addebitare al giudice di merito di essere ricorso all’intervento dell’ausiliario di ufficio al fine di supplire a carenze probatorie delle parti, ovvero omettendo di dare seguito alle richieste formulate sul punto, occorrendo piuttosto rilevare che la decisione di disporre CTU nasce dal non contestabile apprezzamento in fatto circa la corretta individuazione in contratto delle opere da eseguire e dalla necessità di verificare se e con quali modalità fossero state eseguite, verifica questa che legittimava il ricorso alle competenze tecniche del consulente d’ufficio.

Quanto alla dedotta violazione dell’art. 1657 c.c., va ricordato che secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 19727/2016) il potere, conferito al giudice dall’art. 1657 c.c., di determinare il prezzo dell’appalto se le parti non ne abbiano pattuito la misura nè stabilito il modo per calcolarlo, sempre che non possa farsi riferimento, per tale calcolo, alle tariffe esistenti e agli usi, è esercitabile solo ove non si controverta sulle opere eseguite dall’appaltatore. Pertanto, allorquando il contrasto riguardi anche tale aspetto del rapporto, incombe sull’attore l’onere di fornire la prova dell’entità e della consistenza di dette opere, non potendo il giudice stabilire il prezzo di cose indeterminate, nè, d’altra parte, offrire all’attore l’occasione di sottrarsi al preciso onere probatorio che lo riguarda.

Inoltre si è ribadito che (Cass. n. 17386/2004) la mancata determinazione del corrispettivo, in deroga alla disposizione generale di cui all’art. 1346 c.c., non è causa di nullità del contratto, giacchè lo stesso può essere stabilito, ai sensi dell’art. 1657 c.c. in base alle tariffe vigenti o agli usi, e ciò anche quando le parti, pur avendo pattuito il corrispettivo, non abbiano fornita la relativa prova (Cass. n. 9926/2000).

Orbene, posti tali principi, si rileva che i giudici di merito hanno reputato che la convenuta non avesse contestato che l’attore avesse effettivamente eseguito le lavorazioni e le forniture di cui all’atto di citazione (cfr. sul punto già il contenuto dell’ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. emessa dal Tribunale), trattandosi di affermazione che trova riscontro proprio nella complessiva linea difensiva della ricorrente che ha in realtà contestato solo l’esatto ammontare del corrispettivo dovuto, ma non anche la controprestazione ricevuta (assumendo anzi che fosse stata realizzata solo parte dei lavori concordati – cfr. pag. 3 del ricorso).

Quanto invece alla prova dell’esistenza di uno specifico accordo volto a determinare l’esatta entità del corrispettivo dovuto, la sentenza di appello con motivazione non adeguatamente censurata dalla ricorrente e comunque non suscettibile di censura in sede di legittimità alla luce del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 applicabile ratione temporis, ha ritenuto che i capitoli di prova formulati dalla società fossero generici in quanto non correlavano il preteso accordo ad una puntuale individuazione dei lavori da effettuare, che erano indicati appunto solo in maniera generica.

Alla luce di tali premesse, essendo non contestata l’esecuzione dei lavori di cui si richiedeva il corrispettivo, ed in mancanza della prova, per l’inidoneità dei mezzi istruttori formulati, della predeterminazione del corrispettivo dovuto, deve escludersi la violazione della previsione di cui all’art. 1657 c.c., avendo il giudice di merito correttamente ritenuto di dover fare ricorso alla consulenza tecnica d’ufficio, con carattere essenzialmente deducente in quanto volta a fornire un apprezzamento tecnico del materiale probatorio già acquisito ancorchè per effetto del principio di non contestazione (il che denota altresì l’inconsistenza della denuncia circa la pretesa violazione dell’art. 2697 c.c.), onde addivenire alla fissazione del corrispettivo dovuto sulla base dei criteri suppletivi dettati dalla norma de qua.

Il ricorso è pertanto rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese in favore del controricorrente che liquida in complessivi Euro 5.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 21 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2019

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