Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18016 del 02/08/2010

Cassazione civile sez. II, 02/08/2010, (ud. 13/04/2010, dep. 02/08/2010), n.18016

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

TERMESUIO s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via Lucrezio Caro n. 67, presso lo

studio dell’Avvocato Paolo Patucchi, rappresentata e difesa dagli

Avvocati Fraioli Antonio e Claudio Persichino per procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.M.L., elettivamente domiciliata in Roma, via Giuseppe

Troiani, presso il dott. Giuseppe Sabatino, rappresentata e difesa

dall’Avvocato Velucci Achille per procura speciale a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 3410/08,

depositata in data 28 maggio 2008;

Udita, la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13 aprile 2010 dal Consigliere relatore Dott. PETITTI Stefano.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che, con sentenza depositata il 24 settembre 2009, la Corte d’appello di Napoli ha rigettato l’appello proposto dalla TERMESUIO s.r.l.

avverso la sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere del 29 maggio 2002, che, in accoglimento della domanda proposta da C. M.L. anche nei confronti dell’ENEL, aveva dichiarato l’inesistenza di una servitu’ di passaggio e di scolo in favore della Termesuio s.r.l., nonche’ di elettrodotto in favore dell’ENEL, e aveva condannato, per quanto ancora rileva, la Tennesuio s.r.l. alla chiusura dei due varchi aperti sulla proprieta’ della attrice e alla eliminazione dei rigagnoli di scolo, nonche’ al risarcimento dei danni, liquidati in Euro 18.075,99;

che per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso TERMESUIO s.r.l. sulla base di un unico motivo, con il quale denuncia il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, nonche’ violazione della L. n. 126 del 1958, art. 8 (norma vigente sino al 1 gennaio 1993);

che la sentenza impugnata, ad avviso della ricorrente, si fonderebbe sull’errato presupposto che la strada lungo la quale insistevano i due accessi delimitati da cancelli e i quattro fognoli con i quali essa ricorrente esercitava le contestate servitu’ di passaggio e di scolo fosse di proprieta’ della attrice, laddove vi era in atti la prova che detta strada era stata da sempre utilizzata dai cittadini del Comune di Sessa Aurunca, sicche’ il Comune stesso doveva essere ritenuto titolare di un diritto reale d’uso pubblico ultraventennale dell’area in questione; circostanza, questa, che avrebbe dovuto essere desunta sia dal fatto che il Comune aveva provveduto alle spese di manutenzione della strada, sia dal rilievo che questa era stata inserita nell’elenco delle strade pubbliche;

che, in proposito, la ricorrente formula il seguente quesito di diritto: “Al fine della configurazione di una strada come pubblica, l’ascrizione di una via nell’elenco delle strade comunali con deliberazione del CC configura una presunzione ed e’ elemento valido ed idoneo a configurare la natura pubblica della via, fino a prova contraria che nel caso di specie non e’ stata fornita. Pertanto puo’ considerarsi pubblica la strada (OMISSIS). Di conseguenza, sulla base di quali elementi giuridici e’ stato asserito nella sentenza che si impugna che la strada in questione sia di esclusiva proprieta’ della Sig.ra C.”;

che, sotto un secondo profilo, la societa’ ricorrente censura la sentenza impugnata per avere riconosciuto i danni in favore dell’attrice, benche’ la strada sulla quale insistevano le due aperture fosse pubblica;

che la ricorrente formula al riguardo il seguente quesito di diritto:

“E’ possibile il riconoscimento dei danni e consequenziale risarcimento sulla base di mere presunzioni”;

che l’intimata ha resistito con controricorso;

che, essendosi ritenute sussistenti le condizioni per la decisione in camera di consiglio, si e’ avviata la procedura di cui all’art. 380 bis cod. proc. civ. ed e’ stata redatta relazione ai sensi di tale norma, che e’ stata notificata alle parti e comunicata al pubblico ministero.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il relatore designato, nella relazione depositata in data 22 febbraio 2010, ha formulato la seguente proposta di decisione:

“Sussistono le condizioni per la trattazione del ricorso in camera di consiglio, essendo il ricorso inammissibile.

Il ricorso contiene una esposizione dei fatti del tutto inidonea ad integrare il requisito di cui all’art. 366 cod. proc. civ., n. 3 omettendo completamente di illustrare quali siano stati l’origine ed i contorni esatti della controversia, quali, in relazione alle specifiche domande avanzate nell’atto di citazione, le eccezioni e le difese articolate dalle parti e come si siano svolti, infine, gli stessi fatti di causa, con particolare riguardo al contenuto e consistenza delle questioni controverse ed alle ragioni in forza delle quali esse sono state decise.

La mancanza di tali dati nel ricorso impedisce di vedere soddisfatta, nella fattispecie concreta, quella esigenza minima che la legge processuale ha voluto garantire richiedendo che nel ricorso per cassazione vengano esposti, anche sommariamente, i fatti della causa ed i motivi specifici di censura, adempimenti che non si risolvono in requisiti di ordine formale, ma che sono funzionalmente preordinati a fornire al giudice di legittimita’ la conoscenza necessaria dei termini in cui la causa e’ nata e si e’ sviluppata, al fine di meglio valutare ed apprezzare, senza dovere ricorrere ad altre fonti o atti del processo, ivi compresa la sentenza impugnata, il quadro degli elementi fondamentali in cui si collocano sia la decisione contestata che i motivi di censura sollevati (Cass. n. 4403 del 2006; Cass. n. 2432 del 2003; Cass. n. 4937 del 2000).

Lo stesso motivo di ricorso, inoltre, denuncia congiuntamente vizio di motivazione – peraltro formulato con riferimento a tutte e tre le ipotesi previste dall’art. 360, cod. proc. civ., n. 5 – e violazione di legge, concludendo l’illustrazione del primo profilo di censura con un quesito che non sembra tenere conto delle ragioni poste nella sentenza impugnata a fondamento della decisione adottata, e l’illustrazione del secondo profilo con un quesito del tutto generico, inidoneo altresi’ ad evidenziare il fatto controverso, cosi’ come prescritto dall’art. 366 bis, cod. proc. civ., comma 2.

Per tali ragioni si ritiene il ricorso inammissibile”;

che il Collegio condivide la proposta del Consigliere delegato, alla quale non sono stati mossi rilievi critici;

che, in particolare, appare opportuno precisare che l’esposizione dei fatti della causa non e’ neanche desumibile dalla illustrazione del motivo di ricorso, essendo lo stesso focalizzato unicamente sulla affermazione della natura pubblica della strada sulla quale si aprivano gli accessi e sulla rilevanza di tale circostanza sia ai fini del rigetto della negatoria servitutis, sia ai fini della esclusione del risarcimento del danno;

che il ricorso va quindi dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimita’, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 4.000,00 per onorario, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Cosi’ deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2010

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