Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18014 del 02/08/2010

Cassazione civile sez. II, 02/08/2010, (ud. 13/04/2010, dep. 02/08/2010), n.18014

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

C.M.F., elettivamente domiciliato in Ostia Lido

(Roma), via Isole del Capo Verde n. 26, presso lo studio

dell’Avvocato Di Benedetto Alfonso, che lo rappresenta e difende per

procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

FONDAZIONE ECCLESIASTICA ISITUTO MARCHESI TERESA, GERINO E LIPPO

GERINI, in persona del consigliere d’amministrazione Rag. L.

D., come da verbale del CDA del 5 marzo 2008, elettivamente

domiciliata in Roma, via Tacito n. 39, presso lo studio dell’Avvocato

Favino Giulio che la rappresenta e difende per procura speciale in

calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 4498/07,

depositata in data 31 ottobre 2006;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13 aprile 2010 dal Consigliere relatore Dott. PETITTI Stefano;

sentito, per la resistente, l’Avvocato Giulio Favino;

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto, il quale ha concluso in senso conforme alla relazione.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che C.M.F. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 4498, depositata il 31 ottobre 2007, con la quale la Corte d’appello di Roma ha rigettato l’appello che egli aveva proposto avverso la sentenza del Tribunale di Roma, che, da un lato, aveva accolto la domanda di rilascio, libero da persone e cose, del terreno sito nel Comune di (OMISSIS), meglio descritto in atti, da lui occupato, proposta nei suoi confronti dalla eredita’ giacente del Marchese G.A. – cui nel corso del giudizio e’ subentrata la Fondazione Ecclesiastica Istituto Marchesi Teresa, Gerino e Lippo Gerani – e, dall’altro, aveva contestualmente rigettato l’eccezione di usucapione che egli aveva opposto sin dalla sua costituzione in giudizio;

che la Corte d’appello ha innanzitutto rilevato che il primo giudice aveva accertato che il terreno oggetto del giudizio era di proprieta’ dei Marchesi G. e che la realizzazione di un manufatto su detto terreno era avvenuta nel 1990;

che ha quindi rilevato che tali circostanze non avevano formato oggetto di gravame da parte dell’appellante, il quale aveva opposto solo il proprio vantato acquisto per usucapione, anche ai sensi dell’art. 1146 cod. civ., comma 2 per essere egli succeduto nel possesso della propria dante causa;

che la Corte d’appello ha pero’ ritenuto che, nel caso di specie, non potesse operare in favore del ricorrente il possesso della sua dante causa, in quanto per l’operativita’ dell’art. 1146 c.c., comma 2, occorre che la tradidio della cosa sia giustificata da un titolo idoneo a trasmettere la proprieta’ o altro diritto reale, nel rispetto della forma scritta per i contratti traslativi di diritti reali immobiliari;

che l’appellante, ha osservato la Corte territoriale, ne’ nel giudizio di primo grado, ne’ in appello aveva prodotto un documento comprovante l’esistenza di un titolo idoneo al trasferimento della proprieta’;

che il ricorrente propone un motivo di ricorso, con il quale deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 1146 c.c., comma 2, e dell’art. 1153 c.c. in relazione all’art. 360, c.p.c., n. 3)”;

che, ad avviso del ricorrente, contrariamente a quanto sostenuto dal giudice di merito, dalla deposizione della teste P. – la quale aveva dichiarato di aver ricevuto nel 1985 il terreno, con sopra un immobile, dalla moglie del Sig. D.A., che a sua volta possedeva il terreno stesso almeno dagli anni ‘50, e di avere ceduto detto terreno ad esso ricorrente – emergeva la prova della esistenza del titolo idoneo a legittimare il trasferimento del diritto di proprieta’;

che, invero, con tali dichiarazioni la teste P. avrebbe dimostrato che gia’ nel 1985 era intervenuta l’usucapione ed avrebbe altresi’ confermato l’effettiva volonta’ delle parti di trasferire il terreno ad esso ricorrente;

che la volonta’ della P., espressa nella scrittura privata menzionata negli atti di causa, sarebbe stata formalizzata nel verbale d’udienza del 15 gennaio 1997, perfezionandosi quindi, attraverso la testimonianza, il trasferimento del terreno voluto dalle parti e in precedenza non trasfuso in atto pubblico;

che, quindi, sostiene il ricorrente, l’atto pubblico dovrebbe essere ravvisato nel verbale d’udienza nel quale sarebbe espressa la volonta’ di esso ricorrente di acquistare e quella della P. di cedere;

che, in sostanza, il verbale d’udienza costituirebbe un titolo che, pur se non idoneo al trasferimento della proprieta’, sarebbe comunque utile ai fini dell’accessione nel possesso;

che il ricorrente formula conclusivamente il seguente quesito di diritto: “L’incontro della volonta’ delle parti avvenuto con la dichiarazione del dante causa espressa in una testimonianza (verbale d’udienza), puo’ essere sufficiente all’acquisto per usucapione di un immobile per il quale l’accipiens aveva gia’ esercitato il possesso continuato nel tempo per altri venti anni senza avere il titolo idoneo per il trasferimento della proprieta’?”;

che la Fondazione Ecclesiastica Istituto Marchesi Teresa, Gerino e Lippo Gerini resiste con controricorso;

che, avviatasi la procedura ex art. 380 bis cod. proc. civ., il consigliere delegato, ha depositato la relazione che e’ stata comunicata alle parti e al Pubblico Ministero.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il relatore designato, nella relazione depositata in data 23 febbraio 2010, ha formulato la seguente proposta di decisione:

“Sussistono le condizioni per la trattazione del ricorso in camera di consiglio, essendo il ricorso manifestamente infondato.

Premesso che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, l’accessione nel possesso ai sensi dell’art. 1146 c.c., comma 2, postula l’esistenza di un titolo idoneo a trasmettere la proprieta’, e premesso altresi’ che il ricorrente non contesta l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui detto titolo deve avere la forma scritta richiesta per i contratti traslativi di diritti reali immobiliari, deve escludersi che il titolo in astratto idoneo ad operare la traditio possa essere integrato da una dichiarazione resa da un teste e contenuta in un verbale di udienza, non potendosi attribuire a detta dichiarazione una valenza negoziale, e non potendo costituire il verbale di udienza l’atto scritto contenente l’incontro delle volonta’ delle parti del negozio”;

che il Collegio condivide la proposta del Consigliere delegato, non risultando le deduzioni svolte dal ricorrente nella memoria depositata in prossimita’ dell’udienza, idonee ad indurre a diverse conclusioni;

che, invero, nella giurisprudenza di questa Corte si e’ chiarito che, “n tema di accessione nel possesso, di cui all’art. 1146 c.c., comma 2, affinche’ operi il trapasso del possesso dall’uno all’altro dei successivi possessori e il successore a titolo particolare possa unire al proprio il possesso del dante causa e’ necessario che il trasferimento trovi la propria giustificazione in un titolo astrattamente idoneo a trasferire la proprieta’ o altro diritto reale sul bene; ne consegue, stante la tipicita’ dei negozi traslativi reali, che l’oggetto del trasferimento non puo’ essere costituito dal trasferimento del mero potere di fatto sulla cosa” (Cass. , n. 8502 del 2005; Cass., n. 6353 del 2010);

che, dunque, risulta del tutto irrilevante l’ulteriore deduzione del ricorrente concernente il requisito dell’animus possidendi, in quanto ai fini dell’accessione e’ necessaria la prova della sussistenza di un titolo idoneo a giustificare il trasferimento del bene;

che, inoltre, si deve rilevare come il ricorrente abbia abbandonato l’originaria impostazione difensiva, secondo la quale l’atto di trasferimento sarebbe stato integrato dal verbale di udienza contenente le dichiarazioni della teste P., pervenendo a sostenere il diverso assunto che le deposizioni testimoniali avrebbero costituito la prova della esistenza di un documento andato smarrito, ai sensi dell’art. 2124 c.c.;

che, quindi, la questione prospettata nella memoria non puo’ essere presa in considerazione sia perche’ non dedotta nel ricorso introduttivo, sia perche’ della stessa non vi e’ traccia nella sentenza impugnata;

che, peraltro, solo nella memoria difensiva il ricorrente, al fine di corroborare il proprio assunto, ha trascritto il contenuto delle deposizioni a suo avviso rilevanti, delle quali quindi non puo’ tenersi conto, risultando nella specie violato il principio di autosufficienza del ricorso;

che, da ultimo, nessuna rilevanza puo’ avere la circostanza, dedotta dal ricorrente, secondo cui la resistente non avrebbe offerto la prova del pagamento dei canoni di locazione, in quanto, a prescindere dalla novita’ della questione, nella giurisprudenza di questa Corte si e’ chiarito che “l’interversione nel possesso non puo’ aver luogo mediante un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore, dalla quale sia consentito desumere che il detentore abbia cessato d’esercitare il potere di fatto sulla cosa in nome altrui e abbia iniziato ad esercitarlo esclusivamente in nome proprio, con correlata sostituzione al precedente animus detinendi dell’animus rem sibi habendi; tale manifestazione deve essere rivolta specificamente contro il possessore, in maniera che questi sia posto in grado di rendersi conto dell’avvenuto mutamento, e quindi tradursi in atti ai ^ quali possa riconoscersi il carattere di una concreta opposizione all’esercizio del possesso da parte sua.

A tal fine sono inidonei atti che si traducano nell’inottemperanza alle pattuizioni in forza delle quali la detenzione era stata costituita (verificandosi in questo caso un’ordinaria ipotesi di inadempimento contrattuale) ovvero si traducano in meri atti di esercizio del possesso (verificandosi in tal caso un’ipotesi di abuso della situazione di vantaggio determinata dalla materiale disponibilita’ del bene)” (v. da ultimo, Cass., n. 2392 del 2009);

che, pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, che si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 2.700,00, di cui Euro 2.500,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Cosi’ deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2010

 

 

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