Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18012 del 21/07/2017


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Cassazione civile, sez. II, 21/07/2017, (ud. 04/04/2017, dep.21/07/2017),  n. 18012

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14983-2013 proposto da:

C.S., (OMISSIS), PA.VI. o Mi. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ANTONIO CHINOTTO 1, presso lo

studio dell’avvocato STEFANO MINUCCI, rappresentati e difesi dagli

avvocati MARCO ZUCCOLI BERGOMI, ANDREA LIVIO CAVALLERI;

– ricorrenti –

contro

D.B.S., (OMISSIS), P.G., (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA LUCREZIO CARO, 62, presso lo

studio dell’avvocato SEBASTIANO RIBAUDO, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato SERGIO GIANMARIA PELATI;

– controricorrenti –

nonchè contro

D.B.A.E., D.B.E.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1506/2012 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 21/12/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/04/2017 dal Consigliere Dott. SCALISI ANTONINO;

udito il. P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS PIERFELICE, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato LIVIA VITALI, con delega dell’Avvocato ANDREA LIVIO

CAVALLERI difensore dei ricorrenti, che ha chiesto l’accoglimento

del ricorso;

udito l’Avvocato SEBASTIANO RIBAUDO, difensore dei controricorrenti,

che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

P.M. e P.G., con atto di citazione del 4 marzo 2008, convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Brescia C.S. e Pa.Mi. e premesso di essere comproprietarie di un immobile sito in (OMISSIS) contiguo a quello appartenente ai Pa., espnoneva che costui nel 1990 aveva ceduto il fienile e la stalla al C., il quale li aveva trasformati in civile abitazione aggravando la servitù di passo esistente sul cortile attoreo. I convenuti avevano posto in essere una serie di condotte illegittime (meglio specificate nell’atto di citazione) idonee a ledere i diritti delle P.. Pertanto, domandavano la reintegrazione dello status quo ante mediante la condanna avversaria a comportamenti di volta in volta attivi e passivi.

Si costituivano i convenuti, sostenendo la piena legittimità degli interventi eseguiti ed, in via riconvenzionale, chiedevano l’accertamento della prescrizione o estinzione dei diritti avversari.

Esaurita la fase istruttoria, il Tribunale di Brescia, con sentenza n. 9735 del 2011, accertava l’inesistenza dell’aggravamento della servitù di passo paventata dalle attrici, anche sotto forma di apertura e chiusura del cancello posto a delimitazione del fondo, riconosceva il diritto delle P. di attingere acqua dalla cisterna dei convenuti, condannava costoro a rimuovere le condutture tecnologiche, il contatore del gas ed i cavi telefonici, oltre all’aiuola posta a ridosso del fabbricato attoreo. Respingeva le ulteriori domande e compensava per metà le spese del giudizio e condannava i convenuti alla rifusione del residuo.

Avverso questa sentenza proponevano appello C.S. e Pa.Mi., deducendo sette mezzi di gravame, resistevano D.B.A.E., D.B.S., D.B.E., quali eredi di P.M. nonchè P.G. , insistendo per il rigetto del gravame e chiedendo, in via incidentale, l’accoglimento delle domande attrici, già respinte in primo grado.

La Corte di Appello di Brescia, con sentenza n. 1506 del 2012, respingeva l’impugnazione ed, in parziale riforma della sentenza impugnata, condannava C. e Pa. al pagamento dell’importo di Euro 5.000,00 a favore degli appellati, a ripristinare la pavimentazione del cortile degli appellati, integrava il dispositivo della sentenza di primo grado nel senso che la rimozione del contatore del gas comprendeva anche le relative condutture in violazione delle distanze legali, compensava per un terzo le spese di entrambi i gradi del giudizio e poneva il residuo a carico degli appellanti. Secondo la Corte distrettuale: A) con riferimento al diritto di servitù di passaggio andava confermata la sentenza impugnata posto che è diritto del proprietario del fondo servente apporvi un cancello purchè venissero consegnate le chiavi di apertura. Un ragionevole disagio nell’esercizio della servitù non è ragione sufficiente a pretendere che il proprietario del fondo servente rinunci alla protezione del proprio fondo: B) gli appellanti potevano apporre il citofono dove ritenevano opportuno, purchè venisse rispettata la funzionalità dell’apparecchio ed il suo comodo utilizzo da parte degli aventi diritto C) non era stato dimostrato che gli appellanti avessero usucapito il diritto di mantenere il contatore del gas e la relativa tubatura a distanza inferiore a quella legale; D) era stato accertato il diritto di attingere acqua da un pozzo di proprietà degli appellanti; E) andava disposta la condanna alla impermeabilizzazione delle aiuole che determinavano un’infiltrazione di acqua nel fabbricato attiguo; F) gli appellanti andavano condannati alla remissione in pristino del piazzale essendo stato manomesso per la creazione di una servitù di scolo di acque.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da C. e Pa. con ricorso affidato a nove motivi. D.B.S. e P.G. hanno resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo C. e Pa. lamentano: omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (servitù di passaggio dei servizi tecnologici sul cortile di proprietà P.) violazione e falsa applicazione degli artt. 1031,1032,1033,1043,1056 e 2697 c.c..

Secondo i ricorrenti, il Tribunale di Brescia, aveva accolto la domanda di negatoria servitutis in relazione alle condutture tecnologiche, collocate sotto il cortile attore e ne aveva disposto la rimozione in mancanza di una prova di un titolo di costituzione. Gli attuali ricorrenti con l’atto di appello richiedevano in via principale il rigetto della domanda di negatoria servitutis e in via subordinata nella denegata ipotesi in cui si accertasse la mancanza di un diritto di posa di tutte le tubazioni per i servizi tecnologici sotto la corte delle attrici che venisse accertate l’acquisizione del diritto di servitù per destinazione del padre di famiglia o per usucapione. Tuttavia, la Corte distrettuale non avrebbe esaminate tale domanda e soprattutto avrebbe omesso la decisione.

1.1. Il motivo è inammissibile perchèi qualora il “fatto” il cui esame sarebbe stato omesso, riguardi un documento, la censura ex art. 360 c.p.c., n. 5, post riforma del 2012 è ammissibile solo se da tale documento emerga, incontrovertibilmente, la decisorietà dello stesso. Epperò, da quanto riportato (oltretutto in modo riassuntivo e pertanto non autosufficiente) risulterebbe che nell’atto del 1998 le servitù non venivano costituite (oltretutto su proprietà di terzi, non partecipi all’atto) bensì erano richiamate con riferimento ad altro rogito del 1963 di cui si sconosce il contenuto.

Dal momento, poi, che non è controverso (cfr. controricorso) che la confessoria servitutis chiesta in via riconvenzionale in primo grado era stata respinta, si sarebbe dovuto riportare il contenuto del motivo di appello e non già solo le conclusioni.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano; omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (prova non ammessa circa le preesistenti modalità d’uso della servitù di passaggio). Violazione e falsa applicazione degli artt. 841,1064 e 1067 c.c., insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto a.1 della sentenza impugnata.

Secondo i ricorrenti, la Corte distrettuale nel ritenere infondata la pretesa degli odierni ricorrenti di lasciare libero il cancello (così come sarebbe stato) o di automatizzarlo avrebbe omesso di valutare l’oggettiva difficoltà o pericolosità della manovra di ingresso del cancello se chiuso manualmente, posto che lo stesso si affaccia sulla pubblica via, costringendo gli odierni ricorrenti a lasciare direttamente sulla carreggiata il proprio veicolo scendere dallo stesso, aprire il cancello risalire sul veicolo ed entrare nel cortile attraverso il cancello, creando intralcio alla ordinaria circolazione.

2.1. Il motivo, è infondato essenzialmente perchè, contrariamente a quanto sostengono i ricorrenti, la Corte distrettuale ha ampiamente motivato la decisione di escludere la lesione del diritto di transitare liberamente attraverso il cortile attoreo, pretesamente, attuata, mediante l’apposizione del cancello. Come afferma la sentenza impugnata, che può esser condivisa perchè coerente con i principi e la normativa di riferimento (Cfr. Cass. 17550/2014), (…….) l’esercizio da parte del proprietario della facoltà riconosciutagli dall’art. 841 c.c., di chiudere in qualunque tempo il proprio fondo deve essere esercitato in modo tale che l’esercizio della servitù di passaggio non venga impedito nè reso scomodo. Gli stessi C. e Pa., mai, hanno lamentato l’impedimento all’esercizio del predetto diritto limitandosi a sostenere che la chiusura avrebbe reso più scomodo il transito, per la necessità di dover aprire, di volta in volta, il cancello lasciando l’autovettura sulla carreggiata. Ma, come ha correttamente affermato il tribunale, il maggior disagio rispetto ad una apertura piena, appare, comunque, di entità trascurabile alla luce del criterio della tollerabilità e del dovere di solidarietà sociale (……..). Ne consegue che, ove l’aggravamento o l’ostacolo all’esercizio della servitù non sia dimostrato in concreto dal proprietario del fondo dominate, al quale venga altresì consegnata la chiave di apertura del cancello, questi non può pretendere l’apposizione del meccanismo automatico con telecomando a distanza o di altro similare rimedio, per altro in contrasto con il principio servitus in faciendo consistere equità (Cass. 14179 del 2012).

Si tratta, comunque, di una valutazione di merito chef in quanto priva di vizi logici e/o giuridici, non è non suscettibile di sindacato in sede di legittimità.

3. Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano; omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, erronea e contraddittoria motivazione sul punto A.2) della sentenza impugnata, (citofono); violazione e falsa applicazione degli artt. 1064 e 1067 c.c..

Secondo i ricorrenti, la Corte distrettuale nel respingere la richiesta degli attuali ricorrenti di apporre un citofono all’esterno del cancello a servizio dei sigg. C. e Pa. non avrebbe considerato che, come afferma la Corte di Cassazione (sent. 17875 del 2003) “il proprietario, che abbia chiuso il fondo servente dotandolo di cancello automatico, è tenuto all’installazione di un citofono per garantire, ai sensi dell’art. 1064 c.c., comma 2, il diritto al libero e comodo accesso al fondo da parte del proprietario del fondo dominante e dei terzi – da luì autorizzati nei limiti della normalità”.

3.1. Il motivo è infondato perchè non coglie l’effettiva ratio dicidendi. La Corte distrettuale non ha disconosciuto l’obbligo del proprietario del fondo servente di installare un citofono per garantire, ai sensi dell’art. 1064 c.c., comma 2, il diritto al libero e comodo accesso al fondo da parte del proprietario del fondo dominante e dei terzi – da lui autorizzati nei limiti della normalità (così come affermato da già da tempo da questa Corte di Cassazione con la sentenza n. 17875 del 24/11/2003), ha, invece, disconosciuto il preteso diritto del proprietario del fondo dominante di indicare dove e come debba essere collocato il citofono purchè la collocazione scelta dal proprietario del fondo servente rispettì la funzionalità dell’apparecchio ed il suo comodo utilizzo da parte degli aventi diritto. Come afferma la sentenza impugnata “(….) l’obbligo (del proprietario del fondo servente) è riconducibile al fatto dell’apposizione e non alle modalità di installazione (eventualmente pretese da controparte): di conseguenza gli appellati potranno apporre il citofono dove ritengono più opportuno purchè venga rispettata la funzionalità dell’apparecchio ed il suo comodo utilizzo da parte degli aventi diritto.

4. Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano: omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti omessa pronuncia sul motivo di appello relativo alla richiesta di concessione di apposizione del numero civico sul muro di proprietà P. D.B.. Violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 1064,1067 c.c..

Secondo i ricorrenti, la richiesta anche con l’atto di appello di essere autorizzati ad apporre il numero civico relativo alla loro abitazione all’esterno del cancello principale di proprietà dei sigg. P. – D.B. sarebbe stata disattesa dalla Corte distrettuale. Eppure, la richiesta di apposizione di un numero civico così come di una cassetta delle lettere e di un citofono costituiscono facoltà accessorie (admenicula servitutis) che sono indispensabili per l’esercizio del diritto e senza le quali l’utilitas della servitù non potrebbe ricevere attuazione.

4.1. Il motivo è inammissibile posto che i ricorrenti non specificano, quando la richiesta di apporre il numero civico sia stata, validamente, formulata nel giudizio di primo grado e, soprattutto, quale sia stata la pronuncia di primo grado, validamente ed esplicitamente censurata con l’atto di appello.

5. Con il quinto motivo i ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione di legge (art. 112 c.p.c.), carenza di legittimazione passiva,(cavi telefonici).

Secondo i ricorrenti, la Corte distrettuale, disponendo la rimozione dei cavi telefonici appoggiati in aderenza alle pareti esterne dell’edificio dei sigg. P. e D.B. non avrebbe tenuto conto che la domanda andava rivolta alla compagnia telefonica, così come avrebbe disposto la Corte di Cassazione in casi simili (cfr. Cass. 11784 del 2006).

5.1. Il motivo è inammissibile perchè, come appare del tutto evidente da quanto sostenuto dai ricorrenti, la Corte distrettuale non ha omesso l’esame e la pronuncia in ordine alla questione qui prospettata ma ha qualificato la stessa come questione di merito e non di legittimazione. D’altra parte, non vi è dubbio che, come ha già affermato la Corte distrettuale, “(…) colui il quale sostiene la propria estraneità al rapporto giuridico dedotto in giudizio e quindi la carenza di una propria titolarità dei diritti e degli obblighi da esso originati, non solleva una questione di legittimazione passiva ma una questione di merito soggetta a tutte le limitazioni ed a tutte le preclusioni stabilite dalla legge processuale. Nella specie, gli appellanti;’ aggiunge ancora la Corte distrettuale, hanno negato di essere effettivi titolari dell’obbligazione dedotta in giudizio, la questione attiene al merito ed avrebbe dovuto essere rilevata in primo grado. In questa sede di appello è tardiva (…)”. La censura, in definitiva, in questa sede, avrebbe dovuto, tutt’al più, denunciare un error in judicando della sentenza che, però, non viene efficacemente sindacato posto che si richiama una sentenza in materia di condutture di gas mentre la sentenza impugnata fa riferimento del D.P.R. n. 156 del 1973, art. 233.

6. Con il sesto motivo, i ricorrenti lamentano: la violazione e falsa applicazione degli artt. 889 e 2697 c.c., art. 112 c.p.c., erronea e contraddittoria motivazione sul punto A.4) della sentenza impugnata, Contatore gas); omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (testimonianza geom. M.).

Secondo i ricorrenti la Corte distrettuale nel disporre la rimozione del contatore del gas non avrebbe tenuto conto neppure in questa ipotesi che la domanda andava proposta nei confronti dell’Ente gestore e non nei confronti degli attuali ricorrenti. E, comunque la Corte distrettuale non avrebbe tenuto conto, neppure del fatto che risultando che il contatore era stato posato nel marzo 1983, il diritto di mantenere a distanza non regolamentare sarebbe stato usucapito.

6.1. Il motivo è inammissibile per le stesse ragioni, mutatis mutandis, di cui si è detto esaminando il motivo precedente cioè il quinto motivo del ricorso. Va qui aggiunto che, sostanzialmente, il motivo si risolve nella richiesta di una nuova valutazione dei dati processuali non proponibile nel giudizio di cassazione, sei come nel caso in esame, la valutazione effettuata dalla Corte distrettuale non presenta vizi logici e/o giuridici. Come ha correttamente affermato la Corte distrettuale “(…) Considerato (…) che la P. aveva chiesto l’eliminazione di tutte le condutture e cavi di gas, dell’energia elettrica, delle fogne e del telefono, basterà rilevare come l’accertamento del primo giudice si sia esteso a tutto l’impianto gas (di cui il contatore costituiva l’unica parte fuori terra, sicchè trattando del profilo dell’usucapione dell’impianto, il Tribunale ha finito per considerare solo quello) Pertanto, un’interpretazione di buona fede della sentenza impugnata non può non comprendere l’intero manufatto, nel segmento posto a distanza inferiore rispetto a quella legale (….). In ordine all’eccezione di usucapione del tutto correttamente il primo giudice ha ritenuto di rigettarla, non ritenendola rigorosamente provata (…)”.

7. Con il settimo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1065 e 1067 c.c., in relazione al punto B.1) della sentenza impugnata (aggravamento della servitù di passaggio); omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (doc. 4 fascicolo 1 grado P.).

Secondo i ricorrenti la Corte distrettuale avrebbe errato nel condannare gli attuali ricorrenti al risarcimento del danno sul presupposto dell’intervenuta modifica d’uso del fabbricato di controparte perchè il presupposto di cui si dice sarebbe sprovvisto di prova e certamente erronea.

7.1. Il motivo è infondato.

E’ pacifico in dottrina, ma anche nella stessa giurisprudenza di questa Corte, che il proprietario del fondo servente nell’ipotesi in cui il proprietario del fondo dominante determina un normale aggravamento della servitù, ha diritto ad una indennità, posto che l’aggravamento della servitù determina una limitazione del godimento del proprio fondo che si traduce in una diminuzione temporanea del valore della proprietà medesima.

Nell’ipotesi specifica, la sussistenza di un aggravamento della servitù di passaggio sul cortile dei resistenti è stato accertato dalla Corte distrettuale la quale ha ritenuto che l’innovazione apportata dal proprietario del fondo servente (alla destinazione esclusivamente agricola del fondo dominante si era aggiunta quella per civile abitazione) e trattandosi di un giudizio di merito privo di vizi logici e/o giuridico non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità.

Ammesso che l’aggravamento della servitù aveva determinato una limitazione del godimento del fondo servente, l’esistenza d’un danno risarcibile poteva ritenersi sussistente sulla base d’una praesumptio hominis, e l’indennità, così come correttamente ha evidenziato la corte distrettuale, poteva essere determinata con una valutazione equitativa tenendo conto dell’area soggetta all’aggravamento, del presumibile valore commerciale di essa e del potenziale aumento del traffico carraie.

8. Con l’ottavo motivo i ricorrenti lamentano omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio violazione e falsa applicazione dell’art. 1697 c.c., in relazione al punto B.2) della sentenza impugnata, (ripristino piazzale). Secondo i ricorrenti, la Corte distrettuale nel condannare gli odierni ricorrenti al ripristino della pavimentazione del cortile sul presupposto che C. e Pa. avevano ammesso di aver scavato sul piazzale degli attori per ottenere il collegamento con i servizi tecnologici non ha tenuto che agli atti non vi era prova dell’ammissione di cui si dice e comunque che C. non aveva scavato sul piazzale ma aveva semplicemente collegato le proprie utenze alle reti preesistenti all’interno del proprio cortile sotto il quale transitavano quelle a servizio dell’immobile di Pa..

8.1. Il motivo è infondato essenzialmente perchè si risolve nella richiesta di una nuova e diversa valutazione dei dati processuali non proponibile nel giudizio di cassazione se, come nel caso in esame, la valutazione effettuata dalla Corte distrettuale non presenta vizi logici e/o giuridici. Senza dire che il Giudice di merito ha ritenuto provato che gli attuali ricorrenti avevano danneggiato la pavimentazione del cortile tenuto conto che il C. e il Pa. avevano ammesso di avere scavato sul piazzale degli attori per ottenere il collegamento con i servizi tecnologici e si erano addirittura detti disponibili ad effettuare i lavori di ripristino. D’altra parte anche in questa sede C. e Pa. non negano di aver reso la dichiarazione di cui sopra ma tentano di attribuire a quella dichiarazione altro significato e altra valenza e cioè che (la loro dichiarazione) intendeva porre le basi per risolvere ogni problema controverso e non sarebbe stata diretta ad un’assunzione di responsabilità.

9. Con il nono motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 889 e 2697 c.c., in relazione alla conferma della sentenza di primo grado in punto aiuola. Secondo i ricorrenti la Corte distrettuale nel confermare la decisione del Tribunale in ordine alla rimozione dell’aiuola non ha esaminato le ragioni della censura e soprattutto il fatto che sarebbe difficile ipotizzare che un’aiuola (semplice terra) possa in qualche modo essere assimilata a pozzi, latrine e tubazioni ovvero a contenitori di liquidi.

9.1. Anche questo motivo, al pari del precedente, è infondato perchè si sostanzia nella richiesta di una lettura delle risultanze probatorie diversa da quella data dal giudice del gravame e, in un sostanziale riesame di merito del materiale probatorio, inammissibile in sede di legittimità.

In definitiva il ricorso va rigettato e i ricorrenti condannati in solido a rimborsare a parte controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione che vengono liquidate con il dispositivo. Il Collegio dà atto che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso, condanna i ricorrenti in solido a rimborsare a parte controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali pari al 15% dei compensi ed accessori come per legge; dà atto che, ai sensi del D.P.R. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile di questa Corte di Cassazione, il 4 aprile 2017

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2017

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