Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18011 del 21/07/2017


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Cassazione civile, sez. II, 21/07/2017, (ud. 23/03/2017, dep.21/07/2017),  n. 18011

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 10756/2016 proposto da:

R.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI

114/B, presso lo studio dell’avvocato GIOVAMBATTISTA FERRIOLO, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FERDINANDO EMILIO

ABBATE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositato il

17/11/2015 n. cronol. 1765/2015 relativo al ricorso R.G.n. 405/2015

V.C.;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/03/2017 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

R.G. con ricorso della L. n. 89 del 2001, ex art. 3, depositato il 30 gennaio 2015 chiedeva la liquidazione di un equo indennizzo per l’eccessiva durata di un processo introdotto il 7 maggio 2010 a norma della stessa (procedimento di equa riparazione) davanti alla Corte di Appello di Perugia. Questa aveva dichiarato inammissibile la domanda con provvedimento del 27 giugno 2011 poi riformato dalla Corte di Cassazione con sentenza del 7 dicembre 2012, che aveva condannato l’Amministrazione statale a pagare l’importo di Euro 1.062,50 a titolo di equa riparazione per la vicenda in oggetto. In difetto di un pagamento spontaneo si era reso necessario promuovere azione esecutiva nei confronti dello Stato con precetto notificato in data 11 dicembre 2013 seguito da pignoramento di fondi assegnati alla R. dal Giudice dell’esecuzione di Roma con ordinanza del 27 giugno 2014.

Il Consigliere designato, ravvisandone i presupposti con decreto, ha ingiunto al Ministero della Giustizia il pagamento senza dilazione della somma di Euro 1000,00 a titolo di equa riparazione per la lentezza del suddetto procedimento di equa riparazione oltre interesse e spese.

Il Ministero della Giustizia, con opposizione ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 5 ter, si doleva della decisione e chiedeva la dichiarazione di incompetenza per territorio della Corte di Firenze e a favore della Corte di Appello di Perugia ed, in subordine, la dichiarazione di inammissibilità del ricorso per intervenuta decadenza della ricorrente con conseguente annullamento del decreto opposto o, in ulteriore subordine, dichiarare infondato il ricorso per decreto ingiuntivo e per l’effetto annullare il decreto opposto.

La Corte di Appello di Firenze con Decreto n. 1765 del 2015, accoglieva l’opposizione e respingeva la domanda di equa riparazione proposta da R.G. per intervenuta decadenza rispetto al giudizio di cognizione presupposto, dichiarava la propria incompetenza per territorio a favore della Corte di Perugia rispetto al giudizio di esecuzione opposto. Condannava R.G. al pagamento delle spese del giudizio. Secondo la Corte di appello di Firenze la domanda di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 4, doveva essere proposta a pena di decadenza entro sei mesi dal momento in cui, la decisione che conclude il procedimento presupposto, è divenuta definitiva. Nella specie il Magistrato designato ha ritenuto tempestiva la domanda, assumendo come unitaria la vicenda processuale fatta valere dalla R. in quanto conclusa in data 27 giugno 2014 con l’ordinanza di assegnazione delle somme pignorate, non tenendo conto della profonda differenza tra processo di cognizione e processo di esecuzione che essendo strutturalmente autonomi non possono venire unificati in un calcolo di durata complessiva. La pendenza dell’azione esecutiva non solo non impedisce la formazione del giudicato sulla pronuncia di condanna, ma normalmente la presuppone dal momento che l’esecutività si ottiene con la definitività dell’accertamento del diritto e della condanna dell’obbligato. Sicchè, per le prime due fasi di cognizione (di merito e di legittimità) è intervenuta decadenza mentre, per il successivo procedimento esecutivo svoltosi davanti al Tribunale di Roma, vi sarebbe incompetenza per territorio della Corte Territoriale di Firenze a favore della Corte di Appello di Perugia, secondo il criterio dell’art. 11 c.p.p..

La cassazione di questo decreto è stata chiesta da R.G. con ricorso affidato a tre motivi. Il Ministero della Giustizia in questa fase non ha svolto attività giudiziale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- R.G.:

a) Con il primo motivo di ricorso lamenta la violazione e/o falsa applicazione di legge, L. n. 89 del 2001, artt. 2, 3, 4, ed artt. 38 e 50 c.p.c.. La ricorrente sostiene che la Corte d’Appello avrebbe errato nel considerare separatamente il giudizio di cognizione e quello di esecuzione, atteso che ciò che rileva è la effettività della tutela e il giudizio deve essere considerato nella sua unitarietà.

b) con il secondo motivo deduce la violazione e/o falsa applicazione della legge, della L. n. 89 del 2001, artt. 2 e 4, sostenendo che, ove venga dedotta la irragionevole durata di un procedimento presupposto avente ad oggetto una domanda di equa riparazione, articolatosi in più fasi di cognizione ed in una di esecuzione, l’art. 6 della CEDU imporrebbe di considerare tale complesso e articolato procedimento come un unico e unitario processo, scandito da fasi complementari e consequenziali, la cui definitività coincide con il momento del passaggio in giudicato del provvedimento emesso all’esito della fase esecutiva.

c) con il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e del D.M. n. 55 del 2014, censurando il decreto impugnato per avere disposto la sua condanna al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in Euro 1.000,00, oltre accessori;

1.1.- In via preliminare il Collegio osserva che di recente le Sezioni Unite di questa Corte, hanno affermato che “ai fini dell’equa riparazione per irragionevole durata, il procedimento di cognizione e quello di esecuzione devono essere considerati unitariamente o separatamente in base alla condotta di parte, allo scopo di preservare la certezza delle situazioni giuridiche e di evitarne l’esercizio abusivo. Pertanto, ove si sia attivata per l’esecuzione nel termine di sei mesi dalla definizione del procedimento di cognizione, ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 4, la parte può esigere la valutazione unitaria dei procedimenti, finalisticamente considerati come unicum, mentre, ove abbia lasciato spirare quel termine, essa non può più far valere l’irragionevole durata del procedimento di cognizione, essendovi soluzione di continuità rispetto al successivo procedimento di esecuzione” (Cass., S.U., n. 9142 del 2016).

Tuttavia, come emerge dall’ordinanza appena richiamata, nel formulare il principio di diritto appena detto, non sembra abbia tenuto conto che la parte privata avrebbe inizialmente sei mesi di tempo dal passaggio in giudicato per procedere alla notifica all’Amministrazione debitrice, ed in forma esecutiva, del titolo ex L. n. 89 del 2001 e, soprattutto, non sembra abbia tenuto conto che, a partire dalla notifica del titolo, l’Amministrazione avrebbe a disposizione sei mesi e cinque giorni per provvedere al pagamento del dovuto. Con la conseguenza che, trascorsi i sei mesi e cinque giorni, la parte privata potrebbe attivare la procedura esecutiva notificando l’atto di precetto entro gli eventuali sei mesi indicati dalle Sezioni Unite. In altri termini, dalla lettura dell’ordinanza dalle Sezioni Unite non è chiaro se i sei mesi entro i quali notificare l’atto di precetto debbano decorrere dalla notifica della sentenza oppure dallo spirare del termine dei sei mesi e cinque giorni entro i quali l’Amministrazione potrebbe corrispondere il dovuto.

Sennonchè, gli aspetti qui evidenziati, implicando una specificazione e/o una puntualizzazione di un principio generale di diritto già espresso, necessitano un opportuno approfondimento che potrà essere effettuato dalla Sezione con Pubblica Udienza.

Questo aspetto preliminare induce a rimettere la causa al Presidente della Sezione perchè fissi apposita udienza pubblica.

PQM

 

La Corte rimette la causa al Presidente di Sezione per la fissazione di una pubblica udienza.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile di questa Corte di Cassazione, il 23 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2017

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