Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18006 del 09/07/2018


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Civile Ord. Sez. 1 Num. 18006 Anno 2018
Presidente: CAMPANILE PIETRO
Relatore: LAMORGESE ANTONIO PIETRO

sul ricorso 7078/2017 proposto da:
RAI – Radiotelevisione Italiana S.p.a., in persona del legale
rappresentante pro tempore, e Nerazzini Alberto, elettivamente
domiciliati in Roma, Corso Vittorio Emanuele II n.308, presso lo
studio dell’avv. Ruffolo Ugo, che li rappresenta e difende, giusta
procura in calce al ricorso;
-ricorrenti contro
Lovisetti Paolo, elettivamente domiciliato in Roma, Via Postumia
n.1, presso lo studio dell’avv. Sibilla Francesco, che lo rappresenta e
difende unitamente all’avv. Trotta Alfredo, giusta procura in calce al
controricorso;
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Data pubblicazione: 09/07/2018

-controricorrente –

avverso la sentenza n. 16908/2016 del TRIBUNALE di ROMA,
depositata il 14/09/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto
Procuratore Generale DE AUGUSTINIS UMBERTO che ha chiesto il
rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1.- Il Tribunale di Roma, con sentenza del 14 settembre 2016, ha
condannato la Rai Radiotelevisione Italiana e Alberto Nerazzini, in
solido, al risarcimento del danno in favore di Paolo Lovisetti,
determinato equitativamente in C 25.000,00, oltre interessi legali, ed
ha ordinato alla Rai di occultare, nella trasmissione disponibile negli
archivi, il nome e l’identità del Lovisetti e comunque di astenersi da
un ulteriore utilizzo dei suoi dati personali.
2.-

Il Lovisetti aveva riferito che il Nerazzini, curatore di

un’inchiesta denominata “I professionisti” per conto del programma
televisivo Report, condotto da Milena Gabanelli e trasmesso dalla Rai,
si era recato ad aprile 2012 con un operatore nel suo studio notarile,
per intervistarlo sul conto di alcune persone che si erano rivolte a lui
per la costituzione di una società; che il Nerazzini si era qualificato
come giornalista ma non aveva riferito al Notaio che l’operatore che
lo accompagnava aveva una telecamera nascosta e che l’intervista,
nell’ambito di un’inchiesta relativa a professionisti coinvolti in
operazioni di riciclaggio e scommesse illegali, sarebbe stata ripresa e
trasmessa in televisione, peraltro in modo incompleto e mutilata da
tagli che rendevano fuorviante l’interpretazione del suo pensiero; che
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13/04/2018 dal cons. LAMORGESE ANTONIO PIETRO;

ciò integrava un illecito trattamento dei suoi dati personali ed era
causa di danno non patrimoniale, per essere stato esposto con
modalità che potevano indurre il pubblico televisivo a farsi l’idea del
suo coinvolgimento nelle attività delittuose ipotizzate nell’inchiesta.
3.- Il tribunale ha accertato la sostanziale veridicità del racconto

delle inquadrature del Notaio, del suo figlio e del Nerazzini e dalla
scarsa qualità della voce registrata con mezzi inadeguati; quindi ha
ritenuto illecito il trattamento dei dati personali da parte della Rai e
del Narazzini, per avere effettuato una ripresa in modo occulto e con
artifici, quindi in violazione dell’art. 2 del codice deontologico dei
giornalisti, e per avere presentato il Notaio ai telespettatori come un
soggetto al quale era necessaro carpire informazioni in modo non
palese e dando l’impressione che egli fosse coinvolto in vicende di
malaffare; il tribunale ha ritenuto che non valesse invocare il rispetto
dei limiti del diritto di cronaca, dal momento che, pur ammettendosi
la verità della notizia e dell’interesse pubblico, difettava il requisito
della continenza, essendo la figura del Notaio stata proposta al
pubblico in modo ingiustificatamente lesivo e pregiudizievole; né
rilevava la circostanza che il Nerazzini fosse un giornalista free-lance,
avendo la Rai potuto valutare la qualità del materiale messo a sua
disposizione e deciso di mettere in onda la trasmissione, in tal modo
realizzando un ulteriore e coordinato trattamento illecito di dati
personali.
4.- Avverso questa sentenza la Rai e il Nerazzini hanno proposto
ricorso per cassazione, illustrato da memoria, cui il Lovisetti si è
opposto con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE

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del Lovisetti, dimostrata anche dalle modalità, parziali e mai frontali,

1.-

Con il primo motivo (sub I del ricorso) il ricorrente ha

denunciato violazione e falsa applicazione degli artt. 11, comma 1,
lett. a), 136 e 137 del codice in materia di protezione dei dati
personali, approvato con d. Igs. n. 196 del 30 giugno 2003, 21 Cost.,
e 2 del codice deontologico dei giornalisti, per avere il tribunale

comportamento del giornalista che, pur non avendo manifestato
palesemente la volontà di filmare la conversazione, abbia comunque
comunicato la finalità giornalistica della stessa, la propria identità e
professione, e per avere ritenuto che per le modalità della ripresa
televisiva fosse stato travalicato il limite della continenza necessaria
per un corretto esercizio dell’attività giornalistica.
1.1.- Il motivo è solo enunciato, risolvendosi in una doglianza
astratta, priva di specifica indicazione delle argomentazioni intese a
dimostrare come e perché determinate affermazioni in diritto,
contenute nella sentenza gravata e neppure individuate, siano in
contrasto con le norme regolatrici della fattispecie (v. Cass. n. n.
635/2015). Esso è quindi inammissibile.
2.- Con il secondo motivo (sub 1.2) è denunciata violazione e falsa
applicazione dei suidicati parametri normativi, per avere ritenuto
necessario il consenso informato alla ripresa televisiva in un caso in
cui, essendo perseguite finalità giornalistiche, esso non era
necessario, a norma dell’art. 137 d.lgs. n. 196/2003, sicché il filmato
della conversazione e della persona dell’intervistato ben poteva
essere effettuato senza che il soggetto ne fosse consapevole.
Con il terzo motivo (sub 1.3) è denunciata violazione e falsa
applicazione dell’art. 2 del menzionato codice deontologico, per avere
il tribunale ritenuto non sufficiente l’informazione data all’interessato
dello scopo giornalistico e di inchiesta del trattamento, al fine di
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ritenuto che integri un illecito trattamento dei dati personali il

integrare la “finalità” giornalistica e di inchiesta della raccolta e del
trattamento dei dati personali, tenuto conto che tale informazione
non era dovuta in presenza di rischi per la incolumità del giornalista o
se sia altrimenti impossibile l’esercizio della funzione informativa.
2.1.- I suddetti motivi, connessi e da esaminare congiuntamente,

La decisione impugnata si basa sull’incensurabile accertamento di
fatto che il Lovisetti non fosse informato che la conversazione era
ripresa da una telecamera nascosta e che sarebbe stata poi mandata
in onda a sua insaputa, accertamento vanamente contrastato
dall’affermazione secondo cui colui che accompagnava il Nerazzini
impugnava la telecamera in modo visibile.
La valutazione data dal tribunale alla vicenda in esame è conforme
a diritto.
Il trattamento dei dati personali per finalità giornalistiche può
essere effettuato anche senza il consenso dell’interessato (art. 137,
comma 2, del d. Igs. n. 196/2003), ma pur sempre con modalità che
garantiscano il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, della
dignità dell’interessato e del diritto all’identità personale (art. 2 d. Igs.
cit.), nonché il rispetto del “Codice di deontologia relativo al
trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica”,
al quale questa Corte ha riconosciuto valore di fonte normativa, in
quanto richiamato dall’art. 139 del codice dei dati personali e
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale e dal cui rispetto gli iscritti
all’Ordine non possono prescindere, perché la relativa violazione non
solo li esporrebbe all’applicazione di sanzioni disciplinari da parte del
Consiglio dell’Ordine competente, ma potrebbe essere anche fonte di
responsabilità civile sia per l’autore che per la sua testata (Cass. n.
15360/2015, n. 17408/2012).
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sono infondati.

A norma dell’art. 2 del suddetto codice deontologico, il giornalista è
tenuto a “[rendere] note la propria identità, la propria professione e
le finalità della raccolta” delle notizie e ad “[evitare] artifici e
pressioni indebite”. Nel caso in esame, tra le suddette finalità vi era
quella di riprendere le immagini dell’intervista di Lovisetti per

ne fosse al corrente e, inoltre, con modalità costituenti chiaramente
artifici e pressioni indebite.
I ricorrenti vanamente hanno invocato la deroga prevista nel citato
art. 2, che autorizza il giornalista a non rendere nota la finalità della
raccolta dei dati personali quando “ciò comporti rischi per la sua
incolumità o renda altrimenti impossibile l’esercizio della funzione
informativa”. La funzione informativa può essere ugualmente
esercitata infatti anche senza ricorrere alle modalità usate nella
specie, cioè evitando la ripresa occulta e la messa in onda delle
immagini dell’intervistato, a meno che non fosse proprio questa
l’unica finalità dell’intervista, cosa che confermerebbe allora l’illecito
contestato.
3.- I motivi dal quarto al settimo possono essere esaminati
congiuntamente perché connessi tra loro.
Con il quarto motivo (sub 1.4) è denunciata violazione e falsa
applicazione dei medesimi parametri normativi, per avere la sentenza
impugnata trascurato la giurisprudenza di legittimità in tema di
giornalismo di inchiesta e stravolto il concetto di continenza come
limite del diritto di cronaca. Con il quinto (sub 1.5) e con il sesto
motivo (sub II) si rimprovera ai giudici di merito di avere giudicato
sulla continenza e correttezza espositiva quale presupposto del
legittimo esercizio del diritto di cronaca, nell’ambito di un ricorso che
però denunciava la diversa violazione delle norme sul trattamento dei
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mandarle poi in onda, come avvenuto, senza però che l’intervistato

dati personali; di conseguenza, sono denunciate violazione del
principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 112 c.p.c.)
e degli artt. 339 a 359 c.p.c. sull’appellabilità delle sentenze,
assumendosi che i convenuti siano stati sottratti al giudice
competente per le controversie in tema di diritto di cronaca e privati

violazione dell’art. 15 del d. Igs. n. 196/2003, per avere il tribunale
comminato una condanna risarcitoria all’esito di una valutazione
incentrata sulla mancanza dei presupposti del legittimo esercizio del
diritto di cronaca sotto i profili della continenza e corretta espositiva,
mentre l’art. 15 citato prevedeva una responsabilità risarcitoria per il
danno derivante dal solo trattamento illecito dei dati personali;
inoltre, i danni all’immagine e alla reputazione non potevano
giudicarsi in re ipsa, ma dovevano essere allegati e provati.
3.1- I suddetti motivi sono infondati. Essi si basano su una visione
atomistica degli illeciti relativi al trattamento dei dati personali e
all’esercizio del diritto di cronaca, quando siano travalicati i noti limiti
della continenza espositiva, della verità e dell’interesse pubblico. Si
tratta di profili in rapporto non reciprocamente escludente ma
concorrente, come si desume dalla espressa previsione del codice
secondo cui “in caso di diffusione o di comunicazione dei dati per le
finalità di cui all’articolo 136 [cioè giornalistica] restano fermi i limiti
del diritto di cronaca a tutela dei diritti di cui all’articolo 2” (art. 137,
comma 3), che sono quelli alla dignità dell’interessato, all’identità
personale, alla riservatezza (art. 2 del codice dei dati personali).
Pertanto, quando i suddetti limiti dell’esercizio legittimo del diritto
di cronaca siano valicati con modalità implicanti anche un illecito
trattamento dei dati personali, il danno risarcibile in favore
dell’interessato, a norma dell’art. 15 del codice, è quello all’integrità
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di un grado di appello. Con il settimo motivo (sub III) è denunciata

della sua sfera personale che è stata compromessa per essere i suoi
dati stati trattati per scopi non espliciti né legittimi e in violazione dei
parametri legali – comuni alle diverse fattispecie illecite – della
correttezza, pertinenza e proporzionalità, a norma dell’art. 11,
comma 1, lett. a), b) e d) del codice.

diffusione dell’immagine della persona in ragione di un interesse
pubblico in tal senso, essendo necessario che sussista anche uno
specifico ed autonomo interesse pubblico alla conoscenza delle
fattezze dei protagonisti della vicenda narrata, nell’ottica della
essenzialità della divulgazione ai fini della completezza e correttezza
della informazione (Cass. n. 15360/2015). E comunque un simile
interesse non potrebbe ritenersi sempre sufficiente, dovendosi pur
sempre garantire il rispetto dei diritti della persona e delle condizioni
di legittimità del trattamento dei dati personali, a norma dei codici dei
dati personali e di deontologia nell’esercizio dell’attività giornalistica.
Neppure sarebbe possibile invocare la maggiore latitudine
dell’esercizio del diritto di cronaca riferibile al giornalismo di inchiesta,
dovendo anch’esso ispirarsi ai criteri etici e deontologici dell’attività
professionale del giornalista (Cass. n. 16236/2010) e trovando
comunque applicazione il limite della continenza e della funzionalità
delle espressioni o delle immagini rispetto allo scopo perseguito di
denuncia sociale o politica.
Con riguardo alla presunta valutazione del danno in

re ipsa, la

sentenza impugnata ha invece accertato in concreto l’esistenza di
pregiudizi di natura non patrimoniale e li ha determinati in via
equitativa, in relazione alla immagine e identità personale
dell’interessato, rappresentato negativamente nel servizio televisivo.

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Neppure sarebbe possibile ritenere legittima la pubblicazione o

Infine, l’eccezione processuale circa il rito con il quale la causa è
stata trattata è infondata, riguardando la causa un illecito
trattamento dei dati, e del tutto astratta, non comprendendosi quale
sia il pregiudizio connesso all’ipotizzato vizio di attività del giudice per
non avere trattato la causa con il rito ordinario, anche tenuto conto

tribunale, il doppio grado di giurisdizione non ha, come è noto,
copertura costituzionale.
4.- Con l’ottavo motivo (sub IV) è denunciata violazione e falsa
applicazione degli artt. 116 e 118 c.p.c., per avere il tribunale tratto
elementi probatori dalla mancata ottemperanza, invece giustificata,
all’ordine di esibizione della registrazione integrale dell’intervista.
4.1.- Il motivo è diretto ad indurre questa Corte ad una impropria
valutazione di fatto circa il comportamento processuale dei destinatari
dell’ordine di esibizione, ed è astratto, nulla essendo argomentato in
ordine alla decisività dell’ipotizzato errore nella valutazione finale del
giudice. Esso è quindi inammissibile.
5.- E’ inammissibile anche il nono motivo (sub V), con il quale si
imputa genericamente al tribunale, ordinando di occultare il nome e
l’identità del Notaio Lovisetti, di avere compiuto un’impropria censura
della libertà di stampa e della libera manifestazione del pensiero,
privo com’è di una specifica indicazione delle affermazioni in diritto,
contenute nella sentenza gravata, che si assumono in contrasto con
le norme regolatrici della fattispecie e delle specifiche ragioni di tale
contrasto.
6.-

In conclusione, il ricorso è rigettato. Le spese seguono la

soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.

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che, in relazione alla questione dell’inappellabilità della sentenza del

La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti alle spese, liquidate
in C 4200,00, di cui C 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
Doppio contributo a carico dei ricorrenti come per legge.
nteptr\

Roma, 13 aprile 2018.

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