Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18005 del 02/08/2010
Cassazione civile sez. II, 02/08/2010, (ud. 16/03/2010, dep. 02/08/2010), n.18005
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – Presidente –
Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –
Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –
Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 19092/2008 proposto da:
P.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA AURELIA 385,
presso lo studio dell’avvocato SITZIA ANDREA, rappresentata e difesa
dall’avvocato MATRONOLA ITALO, giusta delega a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI ROMA;
– intimato –
avverso l’ordinanza n. 11814/2007 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
di ROMA del 16/01/07, depositata il 21 /05/2007;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
16/03/2010 dal Consigliere Relatore Dott. PASQUALE D’ASCOLA;
è presente il P.G. in persona del Dott. PASQUALE PAOLO MARIA
CICCOLO.
Fatto
FATTO E DIRITTO
1) La Corte di Cassazione, seconda Sezione, con sentenza n. 11814 del 21 maggio 2007 ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto da P.S. avverso il Comune di Roma, per impugnare la sentenza del giudice di pace di Roma n. 47229/04, che aveva a sua volta dichiarato inammissibile l’opposizione contro un provvedimento amministrativo, relativo ad invito di pagamento per Euro 906,50.
Con atto notificato il 7 luglio 2008 l’opponente ha proposto ricorso per revocazione ex art. 391 bis c.p.c.. Il Comune è rimasto intimato.
Il giudice relatore ha depositato relazione nella quale ha così riassunto il ricorso.
“La Corte ha rilevato che il giudice di pace aveva dichiarato inammissibile l’opposizione sul presupposto che l’atto impugnato non era ordinanza ingiunzione soggetta ad impugnazione ex L. n. 689 del 1981, ma un “invito di pagamento”, impugnabile con rito ordinario davanti al giudice competente ex art. 7 c.p.c.. La Corte ha poi ritenuto che parte ricorrente non aveva fornito elementi fattuali sufficienti a confutare le conclusioni della sentenza impugnata”.
La relazione prosegue con la seguente valutazione:
“Il ricorso appare inammissibile. L’errore di fatto che può dare luogo alla revocazione di una sentenza emessa dalla Corte di cassazione consiste nell’erronea percezione dei fatti di causa, sostanziantesi nella affermazione o supposizione dell’esistenza o dell’inesistenza di un fatto la cui verità risulti, invece, in modo indiscutibile, esclusa o accertata in base al tenore degli atti o dei documenti di causa, sempre che il fatto, oggetto dell’asserito errore, non abbia costituito materia del dibattito processuale su cui la pronuncia contestata abbia statuito. Deve pertanto escludersi che possa sostanziare un errore revocatorio l’omessa considerazione, da parte della sentenza della Corte di cassazione, di documenti entrati, invece, a far parte del giudizio espresso dal giudice di legittimità attraverso una pronuncia di inammissibilità del motivo di ricorso che intendeva veicolarli. Deve essere quindi un errore meramente percettivo, risultante in modo incontrovertibile dagli atti e non anche una pretesa errata valutazione di fatti esattamente rappresentati. Per contro il ricorrente lamenta che la pronuncia non si sia occupata del vizio della mancata audizione dell’interessato, fatto valere in primo grado di giudizio. Trattasi di questione che non è stata affrontata dalla Corte – e non doveva esserlo – perchè assorbita dalla decisione sull’unico punto che doveva essere oggetto del ricorso per cassazione, cioè l’ammissibilità o meno dell’opposizione proposta al giudice di pace, negata da quest’ultimo e che, secondo il ricorso, avrebbe dovuto essere invece ammessa. Ove il ricorso per cassazione avesse avuto esito positivo, in ogni caso la Corte non avrebbe dovuto occuparsi delle ragioni di merito dell’opposizione, ma cassare con rinvio per consentire al giudice di rinvio l’accertamento di fatto necessario in ordine al motivo di opposizione oggi nuovamente qui esposto.
Quanto al secondo motivo, la ricorrente chiede un inammissibile riesame della questione già definita dalla Suprema Corte, relativa al rito applicabile per impugnare “l’atto sanzionatorio” oggetto di causa. Non è indicato alcun errore di percezione – o svista -inquadratale nel paradigma di cui all’art. 391 bis c.p.c.”. 2) Parte ricorrente ha depositato memoria. In essa la ricorrente ribadisce che l’errore di fatto contestato con il ricorso per revocazione consiste “nell’erronea percezione dei fatti di causa da parte del giudicante, il quale ha affermato che l’atto impugnato non era, come è evidente, un’ordinanza ingiunzione soggetta ad impugnazione ex L. n. 689 del 1981, ma un invito di pagamento, impugnabile con rito ordinario”. Deduce inoltre che gli elementi fattuali posti all’attenzione della Corte consentivano di “accertare che l’oggetto dell’impugnazione era pienamente ammissibile” e che “erroneamente la sentenza ha escluso che nella fattispecie in esame fosse applicabile la L. n. 689 del 1981, richiamata”. Il Collegio, nel condividere quanto osservato dalla relazione redatta ex art. 380 bis c.p.c., osserva che proprio la memoria da definitiva conferma del fatto che l’odierno ricorso non rientra tra le ipotesi di revocazione ammesse dall’art. 391 bis c.p.c.. L’istante insiste infatti nel mettere in evidenza non un errore di fatto dei giudici di legittimità, ma dei giudici di merito, ed evidenzia una questione – la natura del provvedimento opposto – che è stata già oggetto del primo ricorso per cassazione e su cui la Suprema Corte si è espressa. In tal modo l’odierno ricorso impinge nei limiti di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4, il quale prevede che la sentenza è soggetta a revocazione se “è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa”, ma consente la ricorribilità “se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare”. La sentenza impugnata si è invece pronunciata sul punto e parte ricorrente ne è ben consapevole, tanto che in memoria (parte finale della prima pagina) la motivazione resa dalla Suprema Corte viene censurata specificamente. Il ricorso si risolve quindi in una inammissibile richiesta al Supremo Collegio di rivedere il proprio decisum o in una ancor più inammissibile impugnazione della decisione della Suprema Corte.
Discende da quanto esposto la declaratoria di inammissibilità del ricorso, senza la pronuncia sulla refusione delle spese di lite, in mancanza di attività difensiva dell’intimato.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 16 marzo 2010.
Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2010