Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18005 del 01/09/2011

Cassazione civile sez. I, 01/09/2011, (ud. 18/05/2011, dep. 01/09/2011), n.18005

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

DOMINIA s.r.l., con domicilio eletto in Roma, Via Cristoforo Colombo

n. 436, presso l’AVV. RIEDI Riccardo che la rappresenta e difende

unitamente all’AVV. Roberto De Vito come da procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

ICOMIL s.p.a., fallita, in persona del curatore pro tempore, con

domicilio eletto in Roma, via Virgilio n. 8, presso l’Avv. Andrea

Musti, rappresentata e difesa dall’Avv. BALDELLI Laura, come da

procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

per la cassazione del decreto del Tribunale di Milano n. 7003/2009

depositato il 26 maggio 2009.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

giorno 18 maggio 2011 dal Consigliere relatore Dott. Vittorio

Zanichelli;

sentite le richieste del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso;

uditi gli Avv.ti Bianca Maria Caruso per delega e l’Avv. Laura

Baldelli.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Dominia s.r.l. ricorre per cassazione avverso il decreto del Tribunale che ha rigettato la sua opposizione avverso il decreto di esecutività dello stato passivo del fallimento in epigrafe con il quale è stata respinta la domanda di ammissione di un credito per risarcimento dei danni conseguiti all’inesatta esecuzione da parte della fallita Icomil s.p.a. di un contratto di appalto per la costruzione di alcuni edifici.

Vengono dedotti cinque motivi: nullità della sentenza per contrasto tra motivazione e dispositivo, dal momento che, mentre nella prima si professa adesione alle conclusioni del CTU che aveva quantificato in Euro 64.590,14 l’importo necessario ad eliminare i vizi dell’opera riscontrati, il secondo si limita a respingere l’opposizione anche sul punto; contraddittoria motivazione in ordine alla riconosciuta esistenza di un danno per i vizi riscontrati e la mancata ammissione del relativo credito; omesso esame di un fatto controverso in relazione alla ritenuta impossibilità di ascrivere alla condotta della fallita i vizi scoperti dopo il deposito della domanda di insinuazione al passivo; carenza di motivazione in ordine alla ritenuta assenza di ritardi nella consegna delle opere; carenza di motivazione in relazione alla ritenuta mancanza di prova circa i danni all’immagine commerciale conseguenti all’inesatto adempimento da parte dell’appaltatrice fallita.

Resiste l’intimata curatela con controricorso.

La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo e il secondo motivo di ricorso, che per la loro complementarietà possono essere esaminati congiuntamente, si deduce la nullità (parziale) del decreto impugnato e comunque la carenza della sua motivazione per la sua inidoneità ad individuare la statuizione del giudice per insanabile contrasto tra motivazione e dispositivo.

La censura è fondata. A fronte del motivo di opposizione concernente il mancato riconoscimento, tra l’altro, del risarcimento del danno conseguente all’esistenza di vizi nelle opere oggetto dell’appalto per la costruzione di immobili stipulato tra la ricorrente e l’impresa fallita il Tribunale osserva in motivazione che il CTU “ha sostanzialmente confermato la tesi del fallimento, quantificando in Euro 64.590,14, oltre imposte, l’importo necessario ad eliminare i vizi riscontrati” ma in dispositivo ha rigettato l’opposizione, ritenendo dunque non dovuta neppure tale voce di danno. Sussiste pertanto il denunciato insanabile contrasto tra parte motiva e parte dispositiva in quanto, prescindendo dal rilievo che l’affermazione, contenuta nel decreto, secondo cui la tesi del fallimento (che aveva riconosciuto dovuti, come riferito in narrativa, Euro 34.500) aveva trovato conferma nella relazione del CTU appare incomprensibile, posto che quest’ultimo ha quantificato il danno nel maggior importo sopra indicato, non vi è alcun elemento che possa attribuire prevalenza alla motivazione che conferma l’esistenza di un credito e il dispositivo che, rigettando l’opposizione, la nega.

Nè il contrasto, come sostiene la curatela, è solo apparente in quanto in realtà il Tribunale avrebbe rigettato l’opposizione ritenendo il credito oggetto della domanda compensato con il maggior credito vantato dal fallimento in quanto di tale affermazione, che sarebbe stata ovviamente dovuta per giustificare il dispositivo, non vi è la minima traccia, tale non essendo certo il mero rilievo dell’inammissibilità della riconvenzionale spiegata dalla procedura.

Il terzo motivo attiene all’omessa motivazione circa un fatto decisivo e censura la condivisione operata da giudice del merito circa il rilievo del CTU secondo il quale non sarebbe possibile addebitare all’impresa appaltatrice determinati vizi dell’opera scoperti in un momento successivo alla proposizione della domanda, potendo questi essere la conseguenza dei lavori effettuati dalla committente o da altre imprese intervenute dopo l’abbandono dei cantieri da parte dell’appaltatrice.

Il motivo è inammissibile in quanto non viene dedotto alcun vizio logico della motivazione ma solo richiesta una diversa valutazione degli elementi in atti, senza oltretutto che venga indicata alcuna circostanza di fatto che dovrebbe portare ad una diversa conclusione.

Con il quarto motivo si deduce difetto di motivazione in ordine all’interpretazione del contratto concluso tra le parti con particolare riferimento alle modalità con cui computare il termine entro il quale avrebbero dovuto essere conclusi i lavori e consegnate le opere, essendo intervenuta contestazione sia in ordine alla scadenza di tale termine in assenza di giustificate ragioni di ritardo sia in ordine alla ricorrenza di queste ultime.

Il motivo è inammissibile.

Dispone l’art. 366 c.p.c., che “il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità: … 6) la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”.

E’ stato precisato che “il ricorrente per cassazione che intenda dolersi dell’omessa od erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere – imposto dall’art. 366 cod. proc. civ., comma 1, n. 6, e dall’art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 4, a pena di improcedibilità del ricorso – di indicare esattamente nel ricorso in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione, e di indicarne il contenuto, trascrivendolo o riassumendolo nel ricorsd’ (Sez. L, Sentenza n. 2966 del 7/02/2011) ma le richieste indicazione non si rinvengono nel ricorso che pure è basato, quanto al motivo in esame, sull’interpretazione, che si assume erronea, di clausole di un contratto concluso tra le parti.

Inammissibile è infine il quinto motivo con cui si deduce carenza di motivazione circa l’affermazione del tribunale in ordine alla mancanza di prova che dai ritardi nella consegna sia derivato alla committente un danno patrimoniale quale conseguenza del pregiudizio all’immagine commerciale; la censura, infatti, è del tutto generica e si limita a ribadire l’esistenza del discredito ma non porta alcun elemento in base al quale sia possibile giudicare incongrua la valutazione del tribunale circa l’effettiva esistenza di un qualche conseguente danno apprezzabile sotto il profilo patrimoniale, risolvendosi quindi in una non consentita richiesta di diversa valutazione degli elementi probatori in atti.

Il ricorso deve dunque essere accolto limitatamente al primo motivo con conseguente cassazione del decreto impugnato.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito e pertanto, apparendo motivate le conclusioni del CTU alla luce delle stesse argomentazioni del tribunale, disposta l’ammissione allo stato passivo del fallimento del credito della ricorrente per l’importo necessario per l’eliminazione dei vizi riscontrati nell’opera oggetto dell’appalto.

Le spese della fase di merito e di quella di legittimità possono essere compensate in ragione di un terzo in considerazione dell’accoglimento solo parziale delle domanda con conseguente condanna della curatela soccombente alla rifusione del residuo liquidato come in dispositivo.

PQM

la Corte accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso, dichiara inammissibili gli altri, cassa il decreto impugnato in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel merito, ammette allo stato passivo del fallimento Icomil s.p.a. il credito della ricorrente di Euro 64.590,14; condanna l’intimata al pagamento in favore della ricorrente dei due terzi delle spese di entrambi i gradi del giudizio che liquida in complessivi Euro 6.285,50, di cui Euro 3.800,00 per onorari e Euro 2.142,50 per diritti, oltre spese generali e accessori di legge, quanto al giudizio di primo grado, e in complessivi Euro 1.730,00 di cui Euro 1.600,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge, per questa fase, compensato il residuo.

Così deciso in Roma, il 18 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 1 settembre 2011

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