Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18004 del 14/08/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 18004 Anno 2014
Presidente: CECCHERINI ALDO
Relatore: BENINI STEFANO

SENTENZA

sul ricorso 2909-2013 proposto da:
TELECOM ITALIA S.P.A. (c.f. 00471850016), in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA P.L. DA PALESTRINA 47,

Data pubblicazione: 14/08/2014

presso l’avvocato LATTANZI FILIPPO, che la
rappresenta e difende unitamente agli avvocati
ROBALDO ENZO, PIETRO FERRARIS, giusta procura in
calce al ricorso;
– ricorrente contro

1

.

t

;

REGIONE LOMBARDIA (P.I. 80050050154), in persona del
Presidente della Giunta regionale pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VITTORIO
VENETO 108, presso l’avvocato GIULIANO MARIA POMPA,
rappresentata e difesa dall’avvocato CEDERLE MARCO,

– controricorrente-

avverso la sentenza n. 1951/2012 della CORTE
D’APPELLO di MILANO, depositata il 31/05/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 03/07/2014 dal Consigliere Dott. STEFANO
BENINI;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato ROBALDO ENZO
che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito, per la controricorrente, l’Avvocato POMPA
GIULIANO M., con delega, che ha chiesto il rigetto
del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUCIO CAPASSO che ha concluso per

giusta procura a margine del controricorso;

l’accoglimento del primo motivo, assorbimento del
secondo motivo, parzialmente assorbito il terzo
motivo, inammissibile o comunque infondato nel
resto.

2

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenze depositate nel 2012-2013 la Corte di appello
di Milano ha confermato le pronunce con cui il Tribunale
della stessa città, nel 2010, aveva respinto altrettante
opposizioni proposte da Telecom Italia s.p.a. avverso le

ordinanze ingiunzioni con cui la Regione Lombardia aveva
richiesto il pagamento di somme a titolo di “canone di
polizia idraulica” per l’attraversamento del c.d. reticolo
idrico demaniale con infrastrutture della rete di
telecomunicazione: secondo l’opponente il d.lgs. 1.8.2003
n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche) avrebbe
introdotto nell’ordinamento il principio per cui nessuna
prestazione pecuniaria può essere imposta a carico degli
operatori del servizio pubblico di telecomunicazioni,
diversa da quelle espressamente previste dal Codice stesso
(artt. 88 e 93), sicché solo una legge statale successiva
all’entrata in vigore del Codice potrebbe imporre oneri o
canoni ulteriori rispetto a quelli ivi previsti, non anche
una legge regionale.
Secondo la Corte d’appello, invece, nell’ambito di canoni
od oneri stabiliti per legge, che l’art. 93 d.lgs. 259/03
sottrae al divieto di imposizione per l’impianto di reti o
per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica,
devono ricomprendersi i canoni di concessione del demanio
idrico (art. 822 c.c.): i cavi e le attrezzature che

3

occupano aree demaniali, come gli alvei ed i sub-alvei
. fluviali, sono sottoposti al pagamento di un canone, di
polizia idraulica, di cui l’introito e la determinazione
sono demandati alla Regione dagli artt. 86, comma l, e 89,
comma l, d.lgs. 31.3.1998 n. 112. Le previsioni impositive

della legge regionale (artt. 3, comma 108, 1.reg. Lombardia
5.1.2000 n. l; artt. 44 e 52 1.reg. Lombardia 12.12.2003 n.
26) sono dunque attuazione della norma statale, che
attribuisce tale potere a tutte le Regioni in condizioni di
parità di mercato, su tutto il territorio nazionale,
superandosi in tal modo i dubbi di legittimità
costituzionale.
Non sussiste il contrasto con i principi sanciti dagli
artt. 88 e 93 d.lgs. n. 259/03, in particolare con la
finalità di uniformare le condizioni di fornitura delle
reti e dei servizi di comunicazione elettronica poiché la
Regione Lombardia nell’omogeneo contesto del suo territorio
pratica verso tutti i soggetti le stesse tariffe.
Non si pongono questioni di tutela della concorrenza,
giacché, per legge, i proventi sono introitati dalle
Regioni, non rilevando che alcune di esse non lo facciano,
giacché ciò che conta è la previsione astratta.
Il diritto comunitario non osta all’applicazione di un
canone come corrispettivo per l’occupazione delle aree,
ricorrendo nella legge regionale i requisiti di
4

trasparenza, obiettiva giustificazione, proporzionalità e
non discriminazione,
La disciplina dettata dal d.lgs. n. 259/2003 non deroga
alla disciplina del demanio idrico, richiedendo soltanto
che la prestazione sia richiesta dalla legge, anche

anteriore: del resto, anche prima del d.lgs. 259/03, il
canone trovava ragione e fondamento nell’art. 823 c.c., di
fronte al quale eventuali deroghe avrebbero dovuto essere
disposte con espressa previsione di legge, e non il
contrario.
La s.p.a. Telecom Italia propone ricorso per cassazione,
deducendo tre motivi illustrati anche con memoria. La
Regione Lombardia resiste con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo articolato motivo la ricorrente deduce,
oltre al vizio di motivazione, la violazione dell’art. 10
del d.lgs. n. 198/2002; degli artt. 5, 25, 35, 50, 58, 88 e
93 del d.lgs. n. 259/2003; dell’art. 2 del d.lgs. n.
112/1998; degli artt. l, 3 e 10 della legge n. 241/1990;
dell’art. 97 Cost.; degli artt. 11 e 13 nonché del 15 °
considerando della direttiva comunitaria 2002/20/CE; degli
artt. 822 e 823 c.c.; degli artt. 90 e 92 della legge della
Regione Lombardia n. 10/2003. La ricorrente a sostegno
delle censure svolge le argomentazioni che così possono
5

sinteticamente riassumersi: a) dagli artt. 35, 88, 93 del
d.lgs. n. 259/2003 discende che solo una legge statale
successiva in tema di telecomunicazioni può prevedere oneri
o canoni ulteriori; b) l’art. 823 c.c. non impone che i
modi attraverso i quali beni demaniali possono formare

oggetto di diritti di terzi comprendano necessariamente il
pagamento di un canone; c) il d.lgs. 112/1998 non
disciplina la materia delle telecomunicazioni; d) la legge
regionale della Lombardia n. 10/2009 e qualsiasi altra
legge regionale in tema di canoni di concessione demaniale
dovrebbero ritenersi costituzionalmente illegittime se
ritenute applicabili alla materia delle telecomunicazioni
in quanto in contrasto con i principi fondamentali, la cui
determinazione è riservata dall’art. 117 Cost. allo Stato,
che nella specie ha provveduto con il d.lgs. n. 259/2003;
e) il r.d. 523/1904 ed il r.d. 2669/1933 richiamati
dall’art. 89 del d.lgs. 112/1998 non menzionano o
disciplinano canoni idraulici o di polizia idraulica; f)
l’applicazione di un canone concessorio per
l’attraversamento del demanio idrico rappresenterebbe una
duplicazione di altri oneri (indennizzo per ripristino,
COSAP e TOSAP); g) la direttiva comunitaria 2002/20/CE
lascia piena libertà agli Stati membri per la disciplina
delle modalità di utilizzazione dei beni pubblici, non
prevedendo affatto l’imposizione di canoni, la cui
.

6

esclusione è,

invece,

ricavabile dalla legislazione

nazionale.
2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta l’erroneità
del capo della sentenza che ha considerato assolto l’onere
della prova a carico della Regione con la produzione del

provvedimento concessorio senza la prova di una effettiva
occupazione.
3. Con il terzo motivo si lamenta la mancata riunione dei
numerosi giudizi aventi ad oggetto controversie connesse
soggettivamente ed oggettivamente. Con lo stesso motivo si
censura la condanna della s.p.a. Telecom al pagamento delle
spese processuali liquidate in C 2.000,00 per ciascuno dei
giudizi e perciò in un importo notevolmente superiore a
quello recato dall’ordinanza opposta.
4.1. Il primo motivo è fondato.
Sul punto questa Corte si è pronunciata di recente, nel
contraddittorio tra le stesse parti, con le sentenze nn.
14788 e 14789 del 30.6.2014, che hanno affermato il
seguente principio di diritto: “l’attraversamento del
demanio idrico gestito dalle Regioni, ai sensi degli artt.
86 e 89 del d.lgs. n. 112/1998, da parte di infrastrutture
di comunicazione elettronica non è soggetto al pagamento di
oneri o canoni che non siano previsti dal d.lgs. n.
259/2003 o da legge statale ad esso successiva”. A tale
orientamento deve essere data continuità.
7

Il d.lgs. 1.8.2003 n. 259, Codice delle comunicazioni
. elettroniche, introduce la normativa nazionale per il
settore dei servizi e del mercato delle telecomunicazioni e
delle radiocomunicazioni recependo nell’ordinamento i
contenuti delle direttive comunitarie 2002/19/CE,

2002/20/CE, 2002/21/CE e 2002/22/CE in materia di accesso
al mercato, regime di autorizzazioni su infrastrutture e
trasmissioni e obblighi di servizio universale nel settore
delle comunicazioni.
La finalità perseguita dalle direttive europee, come
risulta anche dai principi e criteri direttivi fissati
dalla legge delega (art. 41, comma 2, lett. al e a8, 1.
1.8.2002 n. 166) è di garantire: agli imprenditori
l’accesso al mercato con criteri di obiettività,
trasparenza, non discriminazione e proporzionalità; agli
utenti finali la fornitura del servizio universale, senza
distorsioni della concorrenza.
Coerentemente, il principio generale cui s’ispira il
Codice, come da dichiarazione programmatica dell’art. 3, è
di garantire “i diritti inderogabili di libertà delle
persone nell’uso dei mezzi di comunicazione elettronica,
nonché il diritto di iniziativa economica ed il suo
esercizio in regime di concorrenza, nel settore delle
comunicazioni elettroniche”.

8

La più ampia diffusione dei mezzi di comunicazione a
. beneficio della collettività, dunque, è coniugata con
l’esigenza di tutela del mercato, quale imprescindibile
condizione per il conseguimento degli obiettivi generali
della normativa, coincidenti con la libertà di

comma l, lett.

a

e

b),

comunicazione e la segretezza delle comunicazioni (art. 4,
tanto che l’esercizio

dell’imprenditoria nel settore, in regime di concorrenza,
cui va garantito l’accesso al mercato delle reti e servizi
di comunicazione elettronica secondo criteri di
obiettività,

trasparenza,

non

distorsione

della

concorrenza, non discriminazione e proporzionalità, finisce
per costituire nello stesso tempo mezzo di attuazione di
diritti costituzionalmente garantiti e pur esso finalità
della normativa di recepimento delle direttive comunitarie
nel segno della libertà di iniziativa economica (art. 3,
commi 1 e 2, e art. 4, comma 1, lett. c, e comma 2).
4.2. L’art. 93 del Codice, recante la rubrica “divieto
d’imporre altri oneri”, dispone, al comma l, che le
Pubbliche Amministrazioni, le Regioni, le Province ed i
Comuni non possono imporre oneri o canoni per l’impianto di
reti e per l’esercizio dei servizi di comunicazione
elettronica, che non siano stabiliti dalla legge; il comma
2

impone

agli

operatori

che

forniscono

reti

di

comunicazione elettronica l’obbligo di tenere indenne la
9

Pubblica Amministrazione, l’Ente locale, ovvero l’Ente
proprietario o gestore, dalle spese necessarie per le opere
di sistemazione delle aree pubbliche specificamente
coinvolte dagli interventi di installazione e manutenzione
e di ripristinare a regola d’arte le aree medesime nei

tempi stabiliti dall’Ente locale. Aggiunge che nessun altro
onere finanziario, reale o contributo può essere imposto,
in conseguenza dell’esecuzione delle opere di cui al Codice
o per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica,
fatta salva l’applicazione della tassa (Tosap), oppure del
canone (Cosap) per l’occupazione di spazi ed aree
pubbliche, ovvero dell’eventuale contributo una tantum per
spese di costruzione delle gallerie.
La disposizione persegue la finalità di garantire a tutti
gli operatori un trattamento uniforme e non
discriminatorio, attraverso la previsione del divieto di
porre a carico degli stessi oneri o canoni. A mezzo di essa
lo Stato ha esercitato la propria competenza legislativa
esclusiva in materia di tutela della concorrenza (art. 117,
secondo comma, lett. e, Cost.), che è competenza
trasversale di natura funzionale (individuando, più che
degli oggetti, delle finalità in vista delle quali la
potestà legislativa statale deve essere esercitata), idonea
a coinvolgere più ambiti materiali anche di competenza
regionale (Corte cost. 15.11.2004, n. 345).
10

4.3. Il principio fondamentale dettato con l’art. 93 d.lgs.
– 259/03 vale ad evitare che ciascuna Regione preveda
autonomamente obblighi pecuniari a carico dei soggetti
operanti sul proprio territorio, con il rischio di una
ingiustificata discriminazione rispetto ad operatori di

altre Regioni, per i quali, in ipotesi, tali obblighi
potrebbero non essere imposti, e anche di garantire la
parità di trattamento e di misure volte a non ostacolare
l’ingresso di nuovi soggetti nel settore. Ad analogo
criterio si ispira la disposizione che sancisce, in capo
agli operatori, l’obbligo di tenere indenni gli enti locali
o gli enti proprietari delle spese necessarie per le opere
di sistemazione delle aree pubbliche (Corte cost.
27.7.2005, n. 336, i cui principi sono stati ribaditi da
Corte cost. 28.12.2006, n. 450 e da Corte cost. 22.7.2010,
n. 272).
La giurisprudenza costituzionale ha rimarcato che la
disposizione non si limita a sancire una riserva di legge
per così dire “generica”, in modo che nuovi oneri o canoni
per l’impianto di reti e per l’esercizio dei servizi di
comunicazione elettronica potrebbero essere previsti dalle
stesse Regioni, purché con intervento legislativo. L’art.
93 ha inteso riferirsi, con tutta evidenza, alla sola legge
statale. 2 quanto si desume, in primo luogo, dalla
circostanza che il richiamo alla legge, contenuto in una
11

norma dello Stato, deve essere interpretato – in assenza di
ulteriori specificazioni

come rinvio ad una fonte

legislativa comunque di provenienza statale (Corte cost.
272/10, cit.), restando, diversamente, la stessa
legis,

ratio

di evitare che ogni Regione possa liberamente

prevedere obblighi pecuniari a carico dei soggetti operanti
sul proprio territorio (Corte cost. 336/05, cit.).
L’enunciazione del principio vale altresì a condizionare
innovativamente la legislazione fino ad allora espressa, in
virtù della pregnanza che l’attribuzione allo Stato della
tutela della concorrenza assume, in seguito alla riforma
del titolo V della Costituzione, e in attuazione delle
direttive comunitarie, pur se la normativa precedente
(artt.

233 e 238 d.p.r.

29.3.1973 n.

dall’art. 218, comma l, lett.

156,

abrogato

s d.lgs. 259/03), esentava

gli esercenti dei servizi di telecomunicazione dal
pagamento di oneri che non fossero previsti dalla legge.
4.4.

Ciò

comporta

che

il

titolo

legittimante

all’imposizione di oneri o canoni per l’esercizio dei
servizi di comunicazione elettronica non può essere
rinvenuto, come argomentano le sentenze impugnate, negli
artt. 822 e 823 c.c. e negli artt. 86 e 89 d.lgs. 31.3.1998
n. 112 che delegano alle Regioni la gestione del demanio
idrico, le relative concessioni, la determinazione dei
canoni e l’introito dei relativi proventi.
12

Il regime di “appartenenza” dei beni pubblici allo Stato e
agli enti territoriali, previsto dalle norme codicistiche,
che non coincide esattamente con la proprietà privata
(tanto che la Costituzione prevede, differenziatamente, una
proprietà pubblica e una proprietà privata: art. 42, primo
comma), non impone, incondizionatamente, il pagamento di

oneri per l’uso eccezionale dei beni demaniali, anche in
osservanza al principio di ragionevolezza di cui è traccia
nello stesso art. 89 d.lgs. 112/98, a proposito della
gestione del demanio idrico che con quella normativa viene
conferita alle Regioni: la lett. i) relaziona la
determinazione dei canoni di concessione e l’introito dei
relativi proventi ad una modalità d’uso più penetrante del
bene demaniale, che comporta la sottrazione di una parte
dell’elemento all’uso della collettività (si pensi alle
derivazioni e alle estrazioni delle acque pubbliche),
rispetto al semplice attraversamento del corso d’acqua, con
la posa di un cavo sul letto del fiume. Si pensi che
proprio in virtù di una vocazione dei beni demaniali a
soddisfare le esigenze della collettività, al di fuori
dalla logica individualistica delle facoltà dominicali
private, anche la costituzione di servitù che abbia ad
oggetto beni demaniali, richiede una regolamentazione
soggetta ad un disciplinare da redigere caso per caso
mediante una convenzione dell’esercente il servizio con
13

l’autorità competente (art. 92, comma 2, d.lgs. 259/03, che
non viene in considerazione nella causa in esame, in cui si
fa questione di semplice posa, interramento o
attraversamento, di aree e corsi del “reticolo idrico
regionale”).

4.5. Le disposizioni da cui le sentenze impugnate fanno
discendere l’obbligo di imporre il canone di polizia
idraulica,

non

conducono

ineluttabilmente

a

tale

conclusione. Esse, inoltre, divengono incompatibili con
l’enunciazione dei principi con cui il legislatore,
intervenendo nel settore delle telecomunicazioni, ha
attuato la liberalizzazione del mercato secondo i dettami
comunitari di non discriminazione, proporzionalità e
universalità del servizio. La determinazione dei canoni di
concessione del demanio idrico da parte delle singole
Regioni consentirebbe, anzitutto, contrariamente a quanto
escluso in radice dal d.lgs. 259/2003 e dai suoi principi
ispiratori, condizioni diverse per i singoli operatori a
secondo delle determinazioni delle Regioni che governano il
territorio sul quale essi operano; inoltre, l’imposizione
di canoni di concessione, in assenza di un riferimento agli
utenti raggiunti rinvenibile nelle disposizioni statali
invocate dalla Regione, violerebbe il principio di
universalità poiché, da un lato, imporrebbe oneri non
proporzionati secondo criteri di incentivazione dello
14

sviluppo della comunicazione elettronica e, d’altro canto,
, come rovescio della stessa medaglia, contribuirebbe a
disincentivare il raggiungimento di potenziali utenti
isolati, mentre obiettivo del Codice è il raggiungimento
“di tutti gli utenti finali ad un livello qualitativo

stabilito, a prescindere dall’ubicazione geografica dei
medesimi” (art. 53).
L’incompatibilità di fondo della normativa invocata come
deroga alla esclusione di ulteriori oneri, prevista
dall’art. 93, è confermata dal fatto che il Codice delle
comunicazioni elettroniche si pone come normativa speciale
rispetto alla materia da esso regolata. In tal senso
depongono chiaramente sia la scelta della legge di delegare
al Governo l’istituzione di un quadro normativo comune per
le reti ed i servizi di comunicazione elettronica (art. 41,
primo comma lett.

a, 1.

166/02), sia la scelta di

racchiudere in un “Codice” le disposizioni legislative e
regolamentari in materia di telecomunicazioni (art. 41,
secondo comma, lett.

a,

1. 166/02), ovvero di un testo

normativo in grado di disciplinare compiutamente la
materia, un corpo organico e sistematico comprensivo di
tutte le norme pertinenti a un ramo del diritto.
4.6. Venendo alle disposizioni regionali, che le sentenze
impugnate richiamano, quale esercizio del potere conferito
4

dagli artt. 89 e 89 d.lgs. 112/98, esse dettano generiche
15

disposizioni in tema di canoni di concessione del demanio
.

idrico, senza riferirsi specificamente alle infrastrutture
di telecomunicazione ed allora se ne deve presumere, in
sede interpretativa, la legittimità, escludendo dal loro
ambito di applicazione le dette infrastrutture, in quanto

non specificamente previste ed assoggettate a regime
speciale dal Codice delle comunicazioni elettroniche.
Riguardo agli artt. 3, comma 108 e 114 lett.
Lombardia 5.1.2000 n. 1, in base ai quali

a,

1.reg.

ratione temporis

sono state emanate le ordinanze ingiunzione di pagamento
dei canoni di polizia idraulica a suo tempo opposti
dall’attuale ricorrente,

essi sarebbero comunque da

ritenere abrogati a seguito dell’entrata in vigore
dell’art. 93 d.lgs. 259/03, che, come sopra argomentato, è

ispirato

ad

un

principio

incompatibile

con

tali

disposizioni. Il controllo sull’attuale vigenza di una
norma giuridica spetta istituzionalmente al giudice comune
(art. 10 1. 10.2.1953 n. 62) e precede ogni possibile
valutazione sulla legittimità costituzionale della medesima
norma (Corte cost. 18.5.1999, n. 171; 21.6.2007, n. 222).
Tutte le leggi regionali successive al d.lgs. n. 259/2003,
citate dalle sentenze, non sono applicabili. Invero, nella
sua formulazione originaria,

la 1.

reg.

Lombardia

12.12.2003 n. 26, attribuiva agli organi regionali (art. 44

s

lett. d) “la riscossione e l’introito dei canoni di cui
16

all’art. 52, comma 4” e cioè “(de)i canoni d’uso delle
d

acque e (de)i sovracanoni comunali, provinciali e dei
bacini imbriferi montani, con riferimento alle
caratteristiche delle risorse utilizzate, alla destinazione
d’uso delle stesse, ed in applicazione del principio del

risarcimento dei costi ambientali causati”. Nella
formulazione del citato art. 52, comma 4, compare, dopo le
modifiche introdotte dall’art. 4, comma 1, lett. d) ed u),
1. reg. 8.8.2006 n. 18, il riferimento ai “canoni per l’uso
delle aree del reticolo principale”. In entrambe le
formulazioni manca, tuttavia, un riferimento alle
infrastrutture di telecomunicazione.
Lo stesso deve dirsi per la 1. reg. 29.6.2009 n. 10, che,
per quanto interessa, si limita a dettare una disciplina
dei “canoni di concessione per l’occupazione” accanto a
quelli per l’uso dei beni del demanio (art. 6), ancora una
volta senza alcuno specifico riferimento alle
infrastrutture di telecomunicazione.
In conclusione, la pretesa regionale di imporre canoni per
l’attraversamento del demanio idrico con cavi e
infrastrutture di telecomunicazione, non è giustificata da
alcuna norma, statale o regionale, ma è stata esercitata in
attuazione di atti amministrativi (delibere della

Giunta

r egionale, supposte come integrative della disciplina di
.
17

legge),
4

la

cui

illegittimità

ne

comporta

la

disapplicazione.
5. Il secondo motivo resta assorbito dall’accoglimento del
primo. Lo stesso deve dirsi per il terzo motivo laddove
lamenta l’entità della liquidazione delle spese; tale

riunione delle cause.

motivo è, invece, inammissibile laddove lamenta la mancata
I provvedimenti di riunione e

separazione di cause costituiscono, infatti, esercizio del
potere discrezionale del giudice, hanno natura ordinatoria
e si fondano su valutazioni di mera opportunità, con la
conseguenza che essi non sono sindacabili in sede di
legittimità e non comportano, per gli effetti che ne
discendono sullo svolgimento dei processi, alcuna nullità
(e plurimis Cass. 15 maggio 2007, n. 11187).
6. Le sentenze impugnate devono essere cassate in relazione
al motivo accolto e, poiché non sono necessari ulteriori
accertamenti e valutazioni di fatto,

questa Corte,

decidendo nel merito, dichiara non dovuta la somma
ingiunta.
Soccorrono giusti motivi, in considerazione della novità
della questione, per compensare le spese dell’intero
giudizio.
P . Q . M .
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara
a

assorbiti il secondo motivo e parzialmente il terzo che
18

dichiara inammissibile nel resto; cassa la sentenza
impugnata e, decidendo nel merito, dichiara non dovuta la
somma ingiunta; compensa le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma il 3.7.2014

4

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