Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18004 del 04/07/2019

Cassazione civile sez. lav., 04/07/2019, (ud. 13/06/2019, dep. 04/07/2019), n.18004

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22539-2015 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e

quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. – Società di

Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati ANTONINO SGROI,

LELIO MARITATO, EMANUELE DE ROSE, CARLA D’ALOISIO;

– ricorrenti –

contro

CENTRO SERVIZI SOCIO ASSISTENZIALI E SANITARI VIGONE (EX (OMISSIS)),

in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, PIAZZA ANTONIO MANCINI 4, presso lo studio

dell’avvocato GIAN FRANCO D’ONOFRIO, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GIOVANNI BONINO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 265/2015 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 16/03/2015 R.G.N. 573/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/06/2019 dal Consigliere Dott. DANIELA CALAFIORE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato CARLA D’ALOISIO;

udito l’Avvocato GIAN FRANCO D’ONOFRIO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Torino, con sentenza n. 265/2015, ha respinto l’appello proposto dall’INPS avverso la sentenza del Tribunale di Pinerolo che aveva accolto, rigettando la domanda riconvenzionale proposta dall’Istituto, il ricorso proposto dal Centro Servizi Socio Assistenziali e Sanitari di Vigone (d’ora in avanti solo CENTRO) al fine di far accertare l’infondatezza della pretesa contributiva avanzata dall’Inps attraverso il verbale ispettivo notificato il 6 luglio 2011 con il quale si era affermata la responsabilità solidale D.Lgs. n. 276 del 2003, ex art. 29, per il debito della società cooperativa Centro più assistenza, per il periodo maggio 2007 – settembre 2009 per un imposto di Euro 274.810.

2. La Corte territoriale, ritenuta la competenza per territorio del Tribunale adito e l’interesse ad agire in capo al CENTRO, ha confermato la decisione di primo grado laddove la stessa aveva ritenuto l’inefficacia del verbale di accertamento sulla base del fatto che era decorso, al momento della notifica della memoria contenente la domanda riconvenzionale svolta nei riguardi del CENTRO, il termine di due anni dalla cessazione dell’appalto previsto per la operatività della solidarietà di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, posto che tale termine poteva essere interrotto solo dall’attività giudiziale.

3. Avverso tale sentenza ricorre in cassazione l’INPS sulla base di due motivi. Resiste con controricorso il CENTRO.

4. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, l’INPS denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 29, comma 2, come modificato prima dal D.Lgs. n. 251 del 2004, art. 6, commi 1 e 2 e poi dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 911 e dell’art. 1676 c.c., laddove si è ritenuto che il termine di decadenza si applichi anche all’INPS e non ai soli lavoratori, senza considerare che l’INPS nell’esercizio dei poteri d’ufficio non può decadere, come precisato dalla giurisprudenza di legittimità formatasi a proposito della L. n. 1369 del 1960, art. 4 (Cass. n. 996 del 2007).

2. con il secondo motivo, subordinato rispetto al primo, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 29, comma 2, prima dal D.Lgs. n. 251 del 2004, art. 6, commi 1 e 2 e poi dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 911, artt. 2964,2966 c.c.e art. 2967 c.c., laddove la sentenza impugnata ha ritenuto che la decadenza, ove ritenuta sussistente, si possa evitare solo con l’introduzione di un giudizio.

3. Il primo motivo è fondato.

4. Il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2, oggetto nel tempo di varie modifiche, è stato sin dalla sua entrata in vigore incentrato sulla previsione di un vincolo di solidarietà tra committente ed appaltatore, secondo un modulo legislativo che intende rafforzare l’adempimento delle obbligazioni retributive e previdenziali, ponendo a carico dell’imprenditore che impiega lavoratori dipendenti da altro imprenditore il rischio economico di dovere rispondere in prima persona delle eventuali omissioni di tale imprenditore.

5. Questa Corte di cassazione, nell’interpretare i concreti contenuti della fattispecie in ipotesi di domande proposte dai lavoratori, quanto all’oggetto dell’obbligazione ed al meccanismo di operatività, ha avuto modo di precisare che:

– il regime della responsabilità solidale del committente con l’appaltatore di servizi, del D.LGS. n. 276 del 2003, art. 29,comma 2, ha riguardo agli emolumenti, al cui pagamento il datore di lavoro risulti tenuto in favore dei propri dipendenti, di natura strettamente retributiva e concernenti il periodo del rapporto lavorativo coinvolto dall’appalto (restando esclusa l’applicabilità del predetto regime alle somme liquidate ad esempio a titolo di risarcimento del danno da licenziamento illegittimo, Cass. n. 27678 del 30/10/2018);

– inoltre, il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2, nella versione anteriore alle modifiche apportate dal D.L. n. 5 del 2012, conv. con modif. in L. n. 35 del 2012, e dalla L.n. 92 del 2012, rilevante ratione temporis nell’odierna fattispecie, non prevedeva un regime di sussidiarietà bensì un’obbligazione solidale del committente con l’appaltatore per il pagamento dei trattamenti retributivi ed i contributi previdenziali dovuti al dipendente, come si evince dal tenore letterale della norma nonchè dalla sua “ratio”, intesa ad incentivare un utilizzo più virtuoso dei contratti di appalto, inducendo il committente a selezionare imprenditori affidabili, per evitare che i meccanismi di decentramento e di dissociazione tra titolarità del contratto di lavoro e utilizzazione della prestazione vadano a danno del lavoratore (Cass. n. 31768 del 07/12/2018);

– ancora, la logica della solidarietà tra l’appaltatore ed il committente sancita dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2, che garantisce il lavoratore circa il pagamento dei trattamenti retributivi dovuti in relazione all’appalto cui ha personalmente dedicato e proprie energie lavorative, nonchè il dato testuale della norma, che fa riferimento al periodo di esecuzione del relativo contratto, impongono di ritenere che la solidarietà sussiste solo per i crediti maturati con riguardo al periodo del rapporto stesso, con esclusione di quelli sorti in altri periodi, ed il termine biennale dalla cessazione dell’appalto previsto dalla suddetta disposizione ha natura di termine di decadenza per la proposizione dell’azione giudiziale per i crediti per i quali vi sia tale possibilità (Cass. n. 17725 del 2017).

6. Il rafforzamento della garanzia dei lavoratori è perseguito dalla legge anche attraverso la specificazione che il committente deve corrispondere non solo i trattamenti retributivi ma anche i contributi previdenziali ai medesimi correlati.

7. Occorre, dunque, approfondire l’interpretazione dell’art. 29, comma 2, con riferimento alla obbligazione contributiva dell’appaltante chiamato in via di solidarietà.

Il comma 2 dell’art. 29 appena citato, nella stesura in vigore dal 1 gennaio 2007 al 9 febbraio 2012, rilevante nella presente fattispecie e precedente alle modifiche apportate dal D.L. 9 febbraio 2012, n. 5, prevede(va) “(…) 2. In caso di appalto di opere o di servizi il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonchè con ciascuno degli eventuali ulteriori subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali dovuti (…)”.

8. La questione controversa può riassumersi nell’alternativa tra due opzioni interpretative. Una prima, secondo la quale si tratterebbe di una peculiare obbligazione contributiva che, pur legittimando il solo Ente previdenziale alla pretesa – posto che il lavoratore non può certo ricevere i contributi- sia del tutto conformata alla speciale azione riconosciuta al lavoratore e, quindi, soggetta al termine di decadenza di due anni. La seconda, ispirata a ragioni di ordine sistematico, che proprio dall’assenza, nel D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, di espresse regole relative alla pretesa contributiva ed in considerazione della diversa natura delle due obbligazioni, induce a ritenere applicabile alla fattispecie la disciplina generale dell’obbligazione contributiva che non prevede alcun termine di decadenza per l’esercizio dell’azione di accertamento dell’obbligo contributivo, soggetto solo al termine prescrizionale.

8. Questa seconda opzione è preferibile per varie considerazioni.

In primo luogo, va considerato che l’obbligazione contributiva non si confonde con l’obbligo retributivo, posto che la giurisprudenza di questa Corte di legittimità ha da tempo consolidato il principio secondo il quale il rapporto di lavoro e quello previdenziale, per quanto tra loro connessi, rimangono del tutto diversi (vd., ex multis, Cass. 16 marzo 2004, n. 5353; Cass. 24 ottobre 2003 n. 15979; Cass. 29 aprile 2003, n. 6673).

L’obbligazione contributiva, derivante dalla legge e che fa capo all’INPS, è distinta ad autonoma rispetto a quella retributiva (Cass. 8662 del 2019), essa (Cass. n. 13650 del 2019) ha natura indisponibile e va commisurata alla retribuzione che al lavoratore spetterebbe sulla base della contrattazione collettiva vigente (cd. “minimale contributivo”). Dunque, può affermarsi che la finalità di finanziamento della gestione assicurativa previdenziale pone una relazione immanente e necessaria tra la “retribuzione” dovuta secondo i parametri della legge previdenziale e la pretesa impositiva dell’ente preposto alla realizzazione della tutela previdenziale.

9. Proprio dalla peculiarità dell’oggetto dell’obbligazione contributiva, che coincide con il concetto di “minimale contributivo” strutturato dalla legge in modo imperativo, discende la considerazione di rilevo sistematico che fa ritenere non coerente con tale assetto l’interpretazione che comporterebbe la possibilità, addirittura prevista implicitamente dalla legge come effetto fisiologico, che alla corresponsione di una retribuzione – a seguito dell’azione tempestivamente proposta dal lavoratore – non possa seguire il soddisfacimento anche dall’obbligo contributivo solo perchè l’ente previdenziale non ha azionato la propria pretesa nel termine di due anni dalla cessazione dell’appalto.

9. Si spezzerebbe, in altri termini e senza alcuna plausibile ragione

logica e giuridica apprezzabile, il nesso stretto tra retribuzione dovuta (in ipotesi addirittura effettivamente erogata) ed adempimento dell’obbligo contributivo, con ciò procurandosi un vulnus nella protezione assicurativa del lavoratore che, invece, l’art. 29 cit. ha voluto potenziare.

10. Si deve, dunque, affermare il principio che “il termine di due anni previsto dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2, non è applicabile all’azione promossa dagli enti previdenziali, soggetti alla sola prescrizione”.

11. Tanto in analogia all’orientamento formatosi nel vigore della L. n. 1369 del 1960. Nel precedente contesto normativo, infatti, questa Corte di cassazione ha avuto modo di affermare che la L. 23 ottobre 1960, n. 1369, art. 4 (sul divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro), che poneva il termine di decadenza di un anno dalla cessazione dell’appalto per l’esercizio dei diritti dei prestatori di lavoro, dipendenti da imprese appaltatrici di opere e servizi nei confronti degli imprenditori appaltanti – pur facendo riferimento, oltre che ai diritti al trattamento economico e normativo, anche al diritto di pretendere l’adempimento degli obblighi derivanti dalle leggi previdenziali – limitava l’ambito di efficacia del suddetto termine ai diritti suscettibili di essere tatti valere direttamente dal lavoratore, non potendosi estendere invece l’efficacia dell’anzidetta disposizione legislativa ad un soggetto terzo, quale l’ente previdenziale, i cui diritti scaturenti dal rapporto di lavoro disciplinato dalla legge si sottraggono, pertanto, al predetto termine annuale decadenziale (ex multis Cass. Sentenza n. 18809 del 2018; n. 6532 del 20/03/2014; Cass. n. 996 del 2007).

11. Il secondo motivo, alla luce delle superiori considerazioni, resta assorbito.

12. In definitiva, accolto il primo motivo e dichiarato assorbito il secondo, la sentenza impugnata va cassata, quanto al motivo accolto e rinviata alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione al fine di procedere all’accertamento della pretesa contributiva fatta valere dall’Inps alla luce del principio sopra indicato, nonchè per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata, quanto al motivo accolto, e rinvia alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2019

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