Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17998 del 04/07/2019

Cassazione civile sez. lav., 04/07/2019, (ud. 04/04/2019, dep. 04/07/2019), n.17998

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3591-2015 proposto da:

TRENITALIA S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA,

che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati

ANTONIETTA CORETTI, VINCENZO TRIOLO, VINCENZO STUMPO;

D.C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIAN

GIACOMO PORRO 8, presso lo studio dell’avvocato ANSELMO CARLEVARO,

rappresentato e difeso dall’avvocato ROSANNA MAGRO;

– controricorrenti –

avverso l’ordinanza della CORTE di APPELLO di FIRENZE, depositata il

27/11/2014 R.G.N. 1038/2013;

avverso la sentenza n. 562/2013 del TRIBUNALE di LIVORNO, depositata

il 24/07/2013 R.G.N. 270/2012.

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte d’appello di Firenze ha dichiarato inammissibile, ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c., l’appello proposto da Trenitalia s.p.a. avverso la sentenza del Tribunale di Livorno che aveva, a sua volta, respinto l’opposizione al decreto ingiuntivo emesso su ricorso di D.C.G., con cui era stato intimato alla società, committente responsabile in solido ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29 il pagamento della somma di Euro 17.982,65 a titolo di t.f.r. maturato dal D.C. alle dipendenze della datrice di lavoro, P.M. Ambiente s.p.a., appaltatrice del servizio di pulizia dei rotabili ferroviari; il Tribunale aveva anche respinto le domande proposte da Trenitalia s.p.a. nei confronti dell’Inps;

2. il Tribunale di Livorno ha ritenuto pacifico che il credito del lavoratore per il t.f.r. fosse stato azionato entro il biennio dalla cessazione dell’appalto e che il t.f.r. fosse maturato per intero nell’attività lavorativa prestata in esecuzione dell’appalto;

3. ha escluso che l’art. 29 cit. presentasse profili di illegittimità costituzionale per eccesso di delega (Corte Cost. ord. 18 gennaio 2013 n. 5), e per irragionevolezza della disposizione o violazione del diritto di difesa o di azione;

4. ha affermato che il credito per il t.f.r. azionato rientrasse tra quelli assistiti dalla garanzia della norma citata, anche nel testo modificato per effetto del D.L. 9 febbraio 2012, n. 5, art. 21 (convertito con modificazioni dalla L. 4 aprile 2012 n. 35e modificato, successivamente, dalla L. 28 giugno 2012, n. 92, art. 4, comma 32), trattandosi pacificamente di prestazione retributiva che matura in corso di rapporto, seppure la sua esigibilità sia differita alla data di cessazione del rapporto stesso;

5. ha chiarito che tale natura non risulta modificata per effetto dell’entrata in vigore, dall’1.1.2007, della L. n. 252 del 2005, applicabile alla appaltatrice che aveva più di cinquanta dipendenti. Secondo la sentenza impugnata, la circostanza che le quote di t.f.r. debbano essere versate al fondo istituito dall’art. 1 comma 755 della L. 27 dicembre 2006, n. 296non incide sulla titolarità passiva del rapporto obbligatorio;

6. ha sottolineato come l’esistenza, la durata e la natura della prestazione lavorativa non fosse stata contestata da Trenitalia che era in grado di conoscere quali erano i lavoratori addetti all’appalto;

7. ha affermato come la possibilità per il lavoratore di accedere, per effetto dello stato di insolvenza della società datrice, al Fondo di garanzia non esonerasse la committente dalla sua obbligazione solidale, sempre salva la facoltà di agire in regresso verso l’obbligata principale. Il Fondo di garanzia offre al lavoratore una tutela di natura pubblicistica dal rischio di incapienza del patrimonio del debitore, tutela autonoma e diversa rispetto alla garanzia ulteriore apprestata dall’art. 29 citato e non è necessario che il lavoratore escuta con precedenza o preferenza il Fondo. Ha escluso infine che il committente potesse rivalersi sul Fondo di garanzia in relazione all’obbligazione adempiuta, trattandosi di tutela speciale apprestata in via esclusiva per i lavoratori e non potendosi applicare la surrogazione legale prevista dall’art. 1203 c.c.;

8. per la cassazione della sentenza di primo grado ha proposto ricorso Trenitalia s.p.a., affidato a sette motivi, cui hanno resistito con controricorso il sig. D.C. e l’Inps; quest’ultimo ha depositato memoria, ai sensi dell’art. 380 bis.1. c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

9. con il primo motivo di ricorso è denunciata, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, art. 29, comma 2; del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, art. 118, comma 6 e del D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207, art. 5;

10. secondo la società ricorrente, la Corte di merito avrebbe erroneamente ritenuto applicabile all’appalto in questione il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2 atteso che, essendo Trenitalia s.p.a. concessionaria ex lege del servizio ferroviario (servizio pubblico essenziale) ed operando quale amministrazione aggiudicatrice che stipula contratti di appalto per servizi sussidiari del settore dei trasporti (pulizia dei rotabili ferroviari ed altri servizi di pulizia ad essi connessi), sarebbe soggetta alla disciplina dettata dal D.Lgs. n. 163 del 2006 per gli appalti pubblici che prevede, ai sensi del citato D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 118, comma 6 una responsabilità solidale solo tra appaltatore e sub appaltatore e non anche con il committente;

11. la censura è infondata;

12. anche di recente questa Corte ha avuto occasione di chiarire che il divieto posto dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 1,comma 2, che esclude l’applicabilità alle pubbliche amministrazioni della responsabilità solidale prevista dall’art. 29, comma 2 citato decreto, ulteriormente specificato dal D.L. n. 76 del 2013, art. 9 (conv., con modif., dalla L. n. 99 del 2013), non trova applicazione nei confronti di soggetti privati, quale è nella specie, Trenitalia s.p.a., ai quali pure si applica il codice dei contratti pubblici quali “enti aggiudicatori”; anzitutto, in quanto non vi è un espresso divieto di legge ed inoltre il D.Lgs. n. 276 del 2003, che regola la materia dell’occupazione e del mercato del lavoro sul piano della tutela delle condizioni dei lavoratori, ed il D.Lgs. n. 163 del 2006 che opera, invece, sul piano della disciplina degli appalti pubblici, anche apprestando una tutela ai lavoratori ma con più intensa concentrazione sull’esecuzione dell’appalto, sono tra loro compatibili (cfr. Cass. 24/05/2016 n. 10731 e più recentemente Cass. sez. VI-L 06/04/2017 n. 8955 e Cass. sez. VI-L 20/07/2018 n. 19339);

13. si è sottolineato che il codice dei contratti pubblici non contiene “una disciplina di legge autosufficiente, in sè esaustiva nè aliunde integrabile: al contrario, esso è compatibile con disposizioni ad esso esterne, come chiaramente denunciato dal rinvio, per quanto in esso non espressamente previsto in riferimento all’attività contrattuale, alle disposizioni stabilite dal codice civile (art. 2, comma 4 163/2006). E proprio in virtù di un tale rimando, nei confronti delle pubbliche amministrazioni, cui è preclusa per espresso divieto di legge l’integrazione con il D.Lgs. n. 276 del 2003, si è ritenuto applicabile il regime di garanzia dei lavoratori (più in generale degli ausiliari) dell’appaltatore previsto dall’art. 1676 c.c. (Cass. 7 luglio 2014, n. 15432). Per l’effetto “ben a ragione si deve ritenere applicabile il regime di responsabilità solidale stabilito dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2, a quei soggetti privati, quale Trenitalia s.p.a., anche qualora committenti in appalti pubblici, alla cui disciplina pure siano soggetti. Ed infatti, nessuna incompatibilità è ravvisabile tra le due discipline. Il D.Lgs. n. 276 del 2003 regola la materia dell’occupazione e del mercato del lavoro, sul piano della tutela delle condizioni dei lavoratori, con riserva di una più forte protezione ad essi, titolari di un’azione diretta nei confronti (in via solidale con il proprio datore di lavoro) del committente per ottenere i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali dovuti in dipendenza dell’appalto e non soltanto, come a norma del D.P.R. n. 207 del 2010, art. 5,comma 1 le retribuzioni arretrate (peraltro nei limiti delle somme dovute all’esecutore del contratto ovvero al subappaltatore inadempiente nel caso in cui sia previsto il pagamento diretto, con detrazione da queste del loro importo): e ciò non per riconoscimento di un proprio diritto, ma per esercizio di una facoltà (“possono pagare anche in corso d’opera”) attribuita ai soggetti indicati dall’art. 3, comma 1, lett. b) D.P.R. cit. (“amministrazioni aggiudicatrici, organismi di diritto pubblico, enti aggiudicatori, altri soggetti aggiudicatori, soggetti aggiudicatori e stazioni appaltanti: i soggetti indicati rispettivamente dall’art. 3, commi 25, 26, 29, 31, 32 e 33 codice”). Il D.Lgs. n. 163 del 2006 opera, invece, sul diverso piano della disciplina degli appalti pubblici, anche apprestando una tutela ai lavoratori, nei limiti detti, in corso d’opera, ma con più intensa concentrazione sull’esecuzione dell’appalto in conformità a tutti gli obblighi previsti dalla legge: e ciò mediante un costante monitoraggio dell’osservanza del loro regolare adempimento a cura dell’appaltatore e dei suoi subappaltatori, per effetto di una disciplina sintomatica di una più preoccupata attenzione legislativa alla corretta esecuzione dell’appalto pubblico, siccome non riguardante soltanto diritti dei lavoratori, ma anche l’appaltatore inadempiente nel suo rapporto con il committente pubblico (come osservato anche da Cass. 7 luglio 2014, n. 15432)”;

14. per l’effetto si è ritenuto che nei confronti di un imprenditore soggetto di diritto privato come Trenitalia s.p.a., le due discipline possano concorrere stante, come si è ricordato, l’assenza di un espresso divieto di legge e la chiarita compatibilità delle finalità cui ciascuna è finalizzata (cfr. in termini le già ricordate Cass. n. 10731 del 2016; Ord.sez. VI-L n. 19339 del 2018; sentenze nn. 5619 del 2019; n. 1619 del 2019; Ord. n. 7040 del 2019);

15. le considerazioni sopra svolte sono pienamente condivise dal Collegio che in assenza di ragioni per discostarsene intende darvi continuità;

16. con il secondo motivo di ricorso la società ha denunciato la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, art. 29, comma 2 e degli artt. 2094 e 2099 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

17. ha sostenuto come erroneamente la Corte di appello avesse incluso il credito per il t.f.r. nel regime di garanzia solidale del committente nei confronti dei lavoratori impiegati nell’appalto;

18. anche tale censura è infondata;

19. ancora una volta ritiene il Collegio che non vi siano ragioni per discostarsi da quanto già affermato da questa Corte in fattispecie sovrapponibili a quella oggetto della presente controversia nelle quali si è ritenuto che il t.f.r. deve essere compreso tra i “trattamenti retributivi” previsti dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, stante la natura di retribuzione differita dell’istituto (cfr. Cass. 08/01/2016 n. 164, Cass. 14 maggio 2013 n. 11479, Cass. 22/09/2011 n. 19291). Ne consegue che in relazione ai periodi di esecuzione dell’appalto le quote di t.f.r. devono essere incluse nei trattamenti retributivi del cui pagamento il committente è solidalmente responsabile ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29 e tale affermazione ha trovato conferma sul piano del diritto positivo per effetto delle modifiche poi apportate dal D.L. n. 5 del 2012, art. 21,comma 1 conv. con mod. in L. n. 35 del 2012. (cfr. Cass. n. 10731 del 2016 e sez. VI-L n. 19339 del 2018 cit.);

20. col terzo motivo è dedotta, in via gradata rispetto al secondo motivo, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., per avere la sentenza ritenuto fondata la domanda nei confronti di Trenitalia pur in assenza di idonea prova dei fatti costitutivi della pretesa, essendo onere del ricorrente dimostrare di aver svolto la propria attività lavorativa in via permanente e continuativa nell’appalto dal febbraio 2006 al febbraio 2010; onere non assolto;

21. col quarto motivo di ricorso è dedotta, in via ulteriormente gradata, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29 per avere la sentenza impugnata ritenuto operante la solidarietà di Trenitalia per l’intero importo del t.f.r. maturato nella vita lavorativa e non limitatamente alle quote maturate nel periodo di vigenza dell’appalto per cui è causa;

22. il terzo e il quarto motivo sono infondati atteso che il Tribunale ha specificamente accertato l’esistenza di un rapporto di lavoro tra il ricorrente e la P.M. Ambiente s.p.a. per l’intero periodo azionato in via monitoria e che il t.f.r. rivendicato era “pacificamente maturato per intero in relazione all’attività lavorativa prestata a favore di Trenitalia”; si tratta all’evidenza di accertamenti di fatto non suscettibili di nuova e diversa valutazione davanti a questa Corte di legittimità. Ne consegue che non si configurano le denunciate violazioni di norme di legge.

23. col quinto motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione della L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1 commi 755, 756 e 757 del D.M. 30 gennaio 2007, del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, art. 29 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

24. sostiene la ricorrente che la decisione impugnata sarebbe errata nella parte in cui non ha dichiarato la estraneità di Trenitalia spa al pagamento delle quote del t.f.r. maturate a far data dall’1 gennaio 2007, per essere la relativa obbligazione a carico del Fondo di Tesoreria gestito dall’INPS e non del datore di lavoro – appaltatore. Secondo la società ricorrente, poichè il pagamento effettuato al Fondo tesoreria Inps estingue l’obbligazione del datore di lavoro, non essendovi inadempimento datoriale si estinguerebbe anche la solidarietà del committente. Ne conseguirebbe altresì la carenza di legittimazione passiva di Trenitalia per il pagamento del t.f.r. successivamente gennaio 2007, data entro cui era stato effettuato il conferimento del t.f.r. maturato.

25. il motivo è infondato;

26. questa Corte ha già precisato (cfr Cass. n. 10354/2016) con orientamento che qui si condivide, che l’onere probatorio del lavoratore che agisca nei confronti del committente del datore di lavoro per il pagamento del t.f.r. riguarda il fatto costitutivo del suo diritto, rappresentato dal rapporto di lavoro subordinato e dal contratto di appalto (nel senso dell’impiego nei lavori appaltati) e non anche l’effettivo versamento da parte del datore di lavoro dei contributi dovuti al Fondo di Tesoreria (a norma della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 756, seconda parte). Se è vero che il versamento dei contributi al Fondo di Tesoreria costituisce fatto estintivo della pretesa dei lavoratori nei confronti del datore di lavoro-appaltatore e, di conseguenza, nei confronti della committente, obbligata solidale ex lege, quest’ultima ha l’onere di allegazione e di prova dell’avvenuto versamento ove lo opponga in eccezione. La L. n. 296 del 2006, art. 1 prevede, infatti, al comma 756, che la liquidazione del trattamento di fine rapporto al lavoratore viene effettuata dal Fondo di cui al precedente comma 755 “limitatamente alla quota corrispondente ai versamenti effettuati al Fondo medesimo, mentre per la parte rimanente resta a carico del datore di lavoro”. Ne consegue che Trenitalia spa non poteva limitarsi a sostenere il proprio difetto di legittimazione passiva per le quote del t.f.r. maturate dall’1 gennaio 2007 ma avrebbe dovuto dedurre di avere allegato e provato,nel giudizio di merito, i versamenti al Fondo di Tesoreria effettuati dalla società-appaltatrice ( P.M. Ambiente s.p.a.). Per contro nel motivo di ricorso non si indicano, come era necessario al fine della decisività della censura, le allegazioni svolte nelle fasi di merito circa l’effettivo versamento dei contributi al Fondo di tesoreria (da parte del datore di lavoro). La ricorrente invero si limita a riproporre in questa sede la questione del proprio difetto di legittimazione passiva e sotto tale aspetto il motivo è quindi infondato.(cfr Cass. n. 3884/2018, già citata);

27. anche il sesto motivo di ricorso, con il quale è denunciata la violazione e falsa applicazione della L. 29 maggio 1982, n. 297, artt. 1 e 2, e dell’art. 1203 c.c., n. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è infondato;

28. la questione è stata già affrontata nei precedenti di questa Corte (cfr. Cass. 20.5.2016 nn. 10543 e 10544), qui condivisi, che hanno evidenziato come la posizione giuridica soggettiva della committente (nella specie, Trenitalia s.p.a.) che, in forza del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29 corrisponda i trattamenti retributivi ed il t.f.r. ai dipendenti del proprio appaltatore non è riconducibile a quella dell'”avente diritto dal lavoratore”, quest’ultimo beneficiario della garanzia del Fondo istituito ai sensi della L. n. 297 del 1982, art. 2 (a tenore del quale il Fondo di Garanzia si sostituisce al datore di lavoro insolvente nel pagamento del TFR spettante ai lavoratori “o loro aventi diritto”). Il committente adempie un’obbligazione propria nascente dalla legge, e, pertanto, non diviene avente diritto dal lavoratore e non ha titolo per ottenere l’intervento del Fondo di garanzia di cui alla L. n. 297 del 1982, art. 2; è, piuttosto, legittimato a surrogarsi nei diritti dei lavoratore verso il datore di lavoro appaltatore, ex art. 1203 c.c., n. 3, (cfr. di recente Cass. Ord. sez. VI-L 16/02/2018 n. 3884 ed ivi ulteriori richiami di giurisprudenza).

29. anche la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2 sollevata è stata già scrutinata da questa Corte che l’ha ritenuta infondata evidenziando, condivisibilmente, la peculiarità delle due situazioni a confronto, che giustificano la diversità delle discipline. I privati imprenditori non incontrano alcun limite nella scelta del contraente, laddove nelle procedure di evidenza pubblica la tutela del lavoratore è assicurata sin dal momento della scelta suddetta, nè limita l’iniziativa economica dei privati imprenditori per l’aggravio di responsabilità, non essendo precluso al legislatore modulare le tutele dei lavoratori in rapporto alla diversa natura dei committenti (cfr. Cass. 10.10.2016 n. 20327 e più recentemente Cass. 06/04/2017 n. 8955, 03/05/2017 n. 10777, 16/02/2018n. 3885).

30. per le considerazioni svolte, il ricorso deve essere respinto;

31. le spese del giudizio di legittimità, nella misura indicata in dispositivo, seguono la soccombenza;

32. ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida, nei confronti di ciascun controricorrente, in Euro 5.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 4 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2019

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