Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17996 del 01/09/2011

Cassazione civile sez. I, 01/09/2011, (ud. 07/04/2011, dep. 01/09/2011), n.17996

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Maria Rosa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.G.A.C. quale curatore del fallimento GE. BAR.

M. di Buffa Gaetana e C. s.n.c., elettivamente domiciliato in Roma,

via M. Adelaide 8, presso l’avv. Minutillo Turtur Roberto, che lo

rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

L.C.A., domiciliato in Roma presso la Corte di

Cassazione, rappresentato e difeso dall’avv. Domeniconi Cesare giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Palermo n. 1314/04 del

10.12.2004;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

7.4.2011 dal Relatore Cons. Dott. Carlo Piccininni;

Udito l’avv. Francesco Domeniconi con delega per L.C.;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CICCOLO Pasquale Paolo Maria, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 5.12.2000 il Tribunale di Marsala rigettava l’opposizione proposta da L.C.A. ai sensi della L. Fall., art. 98, con riferimento all’intervenuta ammissione al passivo del fallimento Gebarm di Buffa G. s.n.c. del credito di L. 132.755.144 (vantato per forniture eseguite tra l’ottobre 1996 ed il marzo 1997) in via chirografaria, credito per il quale era stato viceversa sollecitato il riconoscimento del privilegio, ai sensi del disposto di cui all’art. 2751 bis c.c., n. 5.

La Corte di appello di Palermo, adita dal L.C., in riforma della decisione di primo grado ammetteva il credito come richiesto, ritenendo in particolare: che ai fini dell’accertamento della natura artigiana dell’impresa fosse sufficiente la dimostrazione della funzione preminente del lavoro sul capitale; che tale dimostrazione sarebbe stata data, risultando una sostanziale coincidenza fra il costo annuo del lavoro ed il capitale variabile investito ed una superiorità del primo rispetto al capitale fisso; che per di più sarebbe emersa anche la prevalenza dell’attività svolta dal titolare del processo produttivo, e ciò alla luce delle risultanze delle dichiarazioni dei redditi dell’imprenditore e della natura delle mansioni (ausiliarie) attribuite ai due dipendenti del L.C..

Avverso la decisione il fallimento proponeva ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, poi illustrati da memoria, cui resisteva con controricorso l’intimato.

La controversia veniva quindi decisa all’esito dell’udienza pubblica del 7.4.2011.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i motivi di impugnazione il fallimento ha rispettivamente denunciato:

1) violazione della L. n. 443 del 1985, artt. 2 e 3, dell’art. 2751 bis c.c., n. 5, in ragione dell’affermata dimostrazione dei requisiti della personalità e manualità del lavoro svolto da L.C., dimostrazione che sarebbe stata erroneamente ricavata dalle risultanze del libro matricola e dalla posizione assicurativa INAIL attribuita all’imprenditore, documenti che viceversa non comproverebbero l’effettiva partecipazione del titolare dell’impresa (contrastata peraltro dalla presenza di tre dipendenti preposti alle diverse fasi del processo produttivo) all’attività di panificazione;

2) violazione della L. n. 443 del 1985, artt. 2 e 3, dell’art. 2751 bis c.c., n. 5, per il non condivisibile giudizio circa la sussistenza del requisito della preminenza del lavoro sul capitale, giudizio che sarebbe stato da disattendere per due concorrenti ragioni, vale a dire: a) per il fatto che il criterio della preminenza del lavoro sul capitale sarebbe qualitativo, e pertanto riscontrabile laddove le peculiarità dei beni prodotti fossero risultate prevalenti sul capitale impiegato, mentre invece sarebbe stato valutato con indagine quantitativa; b) l’arco temporale considerato nella sentenza impugnata sarebbe troppo ampio (dal 1992 al 1997), quindi le conseguenti conclusioni risulterebbero inattendibili;

3) violazione della L. n. 443 del 1985, artt. 2, 3, 4, dell’art. 2751 bis c.c., n. 5, per l’erroneità del parametro adottato al fine di stabilire l’applicabilità dello statuto speciale dell’imprenditore artigiano, parametro identificato nel requisito della prevalenza del lavoro personale su quello altrui, ma per la cui applicazione si sarebbe tenuto conto soltanto del confronto con le retribuzioni dei dipendenti, e non anche del contributo operativo dato al processo produttivo;

4) violazione dell’art. 345 c.p.c. e vizio di motivazione, per l’avvenuta produzione in grado di appello ( e quindi tardivamente ) dei documenti relativi alla posizione INAIL dell’imprenditore ed al libro matricola.

I primi tre motivi di impugnazione devono essere esaminati congiuntamente perchè fra loro connessi, e sono infondati.

Al riguardo si osserva infatti che le censure prospettate in proposito dal fallimento non hanno sostanzialmente ad oggetto l’erroneità del parametro normativo adottato dalla Corte di appello nell’attribuire collocazione privilegiata al credito del L.C., in quanto credito artigiano, ma attengono piuttosto al non condiviso esito del giudizio emesso in proposito dall’organo giudicante.

Ed invero questa Corte ha già avuto modo di precisare che il riconoscimento del privilegio al credito vantato da impresa artigiana postula la preminenza del fattore lavoro sul capitale investito e la prevalenza del lavoro personale del titolare dell’impresa, prevalenza che va intesa non solo in senso quantitativo ma anche in senso funzionale e qualitativo, in rapporto cioè con le caratteristiche strutturali fondamentali dell’impresa artigiana e con la natura del bene prodotto e del servizio reso (C. 05/5980, C. 97/9340, C. 95/6221).

Orbene tale preminenza è stata riconosciuta nella specie ed il relativo giudizio, incentrato sull’interpretazione di dati oggettivi specificamente evidenziati, quali la natura dell’attività svolta (panificazione), la redditività della stessa (l’utile per l’imprenditore sarebbe stato pressochè corrispondente alle retribuzioni erogate ai dipendenti), il numero dei dipendenti (dal 1995 al 1997 sarebbero stati due), la natura dell’attività svolta dal titolare dell’impresa (la preparazione dell’impasto), il volume degli affari, la sostanziale coincidenza fra costo dei salari e gli utili dell’imprenditore con il capitale variabile investito e la preminenza del primo dato (costo salari e utili) sul capitale fisso, non è sindacabile in questa sede di legittimità.

Nè appare sussistente, secondo quanto sostenuto, il denunciato vizio di motivazione, prospettato in ragione: dell’affermata avvenuta dimostrazione del requisito della personalità e manualità del lavoro del L.C. (primo motivo); dei due profili di erroneità (sotto i distinti aspetti della prevalenza attribuita al criterio quantitativo, anzichè qualitativo, e dell’eccessivamente ampio arco temporale considerato nello svolgimento dell’indagine quantitativa), che sarebbero riscontrabili nel giudizio di preminenza del lavoro sul capitale (secondo motivo); dell’errato riconoscimento della prevalenza del lavoro personale dell’artigiano sul lavoro altrui (terzo motivo).

La Corte di appello, come detto, ha infatti puntualmente motivato la propria decisione (il che esclude la denuncia del vizio di omissione), non ha svolto argomentazioni fra loro contrastanti (il che esclude il vizio di contraddittorietà), ha indicato a sostegno del giudizio formulato elementi del tutto idonei (come peraltro già sopra evidenziato) a sostenere la decisione adottata. Per di più l’articolazione degli elementi rappresentati dalla Corte di appello quali deponenti nel senso della natura artigiana dell’attività svolta dal L.C. (solo in parte contrastati dal ricorrente) fa escludere che i profili di erroneità denunciati (anche ove sussistenti e per la limitata parte non attinente alla difforme interpretazione del materiale probatorio) possano incidere sulla correttezza del giudizio emesso.

Ad analogo giudizio di infondatezza deve infine pervenirsi con riferimento al quarto motivo di impugnazione, rispetto al quale è sufficiente rilevare che la copia autentica del libro matricola sarebbe stata già prodotta in primo grado (documento n. 6 della produzione dell’originario ricorrente) e che comunque la censura, pur se in ipotesi fondata, sarebbe in ogni modo ininfluente sulla decisione, rappresentando il punto oggetto di contestazione un semplice argomento aggiuntivo ad una decisione già di per sè autosufficiente (non diversamente potrebbe infatti interpretarsi l’affermazione della Corte di appello relativamente all’ammissibilità della documentazione ex art. 345 c.p.c. ” Se poi a tutto ciò si aggiunge .. risulta confermato lo svolgimento, anche da parte del titolare dell’impresa, di lavoro, manuale all’interno del processo produttivo “, pp. 6 – 7 ). Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente, soccombente, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 7 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 1 settembre 2011

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