Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17993 del 14/09/2016


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Cassazione civile sez. VI, 14/09/2016, (ud. 14/06/2016, dep. 14/09/2016), n.17993

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13228/2015 R.G. proposto da:

S.R.C. – SVILUPPO RETI COMMERCIALI s.r.l. – p.i.v.a. (OMISSIS) – in

persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e

difesa giusta procura speciale in calce al ricorso dall’avvocato

professor Marco Cassiani ed elettivamente domiciliata in Roma, alla

via Flaminia, n. 135, presso lo studio dell’avvocato Marco Moretti;

– ricorrente –

contro

Avvocato A.C. – c.f. (OMISSIS) – da se medesima

rappresentata e difesa ed elettivamente domiciliata in Città di

Castello, alla via Carlo Liviero, n. 2/D;

– resistente –

Avverso l’ordinanza del 9/13.4.2015 assunta dal tribunale di Perugia

in composizione monocratica nell’ambito del procedimento iscritto al

n. 8906/2011 R.G.;

Udita la relazione all’udienza in camera di consiglio del 14 giugno

2016 del consigliere dott. Luigi Abete;

Lette le conclusioni del Pubblico Ministero, che ha chiesto

dichiararsi inammissibile il regolamento di competenza.

Fatto

MOTIVI IN FATTO E DIRITTO

Con decreto in data 6.5.2011 il tribunale di Perugia ingiungeva alla “S.R.C. – Sviluppo Reti Commerciali” s.r.l. di pagare alla ricorrente, avvocato A.C., la somma di Euro 127.265,88, oltre accessori e spese, quale saldo insoluto delle spettanze dovute alla medesima ricorrente per l’attività professionale espletata su incarico e nell’interesse dell’ingiunta. Con atto di citazione ritualmente notificato la “S.R.C.” proponeva opposizione; instava per la revoca dell’ingiunzione. Eccepiva preliminarmente l’incompetenza territoriale del tribunale di Perugia adito col ricorso per decreto ingiuntivo e la competenza ratione loci del tribunale di Pesaro sia alla stregua del criterio individuante il foro generale delle persone giuridiche sia alla stregua dei criteri individuanti i fori facoltativi. Deduceva altresì che il rapporto con la opposta era regolato da una convenzione scritta, con cui le parti avevano “concordato un compenso fisso sia per l’attività di consulenza che per le prestazioni professionali relative a pratiche giudiziali e stragiudiziali” (così ricorso, pag. 3); che in virtù dell’intesa con tale convenzione siglata nulla era dovuto alla controparte. Si costituiva e resisteva l’opposta. Con separato atto di citazione la “S.R.C.” s.r.l. conveniva l’avvocato A.C. dinanzi al tribunale di Pesaro. Deduceva che il documento ex adverso prodotto ed asseritamente riproducente il testo della convenzione tra le parti intercorsa era stato oggetto di contraffazione mediante abusivo riempimento del foglio sottoscritto in bianco dal proprio legale rappresentante. Proponeva dunque in via principale querela di falso e chiedeva dichiararsi la falsità del documento dall’avvocato A. allegato. Al contempo, nell’ambito del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, disposto lo scambio delle memorie ex art. 183 c.p.c., comma 6, con ordinanza del 9/13.4.2015 il tribunale di Perugia in composizione monocratica rigettava e l’eccezione di incompetenza territoriale e l’istanza volta a conseguire la sospensione del processo a cagione della contemporanea pendenza innanzi al tribunale di Pesaro della querela di falso esperita in via principale. Esplicitava innanzitutto il tribunale perugino che l’eccezione di incompetenza territoriale poteva esser decisa unitamente al merito. Esplicitava inoltre che l’istanza di sospensione non poteva essere accolta, atteso che l’oggetto del giudizio pendente innanzi al tribunale di Pesaro “consiste nella richiesta di accertamento della falsità di un documento, rispetto ad un altro, del quale non risulta l’effettiva sussistenza, asserita solo da parte opponente (…), visto anche quanto affermato nel decreto di archiviazione del g.i.p. del tribunale di Pesaro del 10.9.2013” (così ordinanza impugnata, pag. 1); che, conseguentemente, non era “ravvisabile connessione tra i due giudizi tale che l’uno sia antecedente logico dell’altro” (così ordinanza impugnata, pag. 2). Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per regolamento necessario di competenza la “S.R.C. – Sviluppo Reti Commerciali” s.r.l.; ha chiesto cassarsi l’ordinanza impugnata e dichiararsi la competenza territoriale del tribunale di Pesaro con ogni conseguente provvedimento ovvero cassarsi l’ordinanza impugnata e sospendersi il giudizio pendente innanzi al tribunale di Perugia; in ogni caso con il favore delle spese da distrarsi in favore dei difensori anticipatari. L’avvocato A.C. ha depositato scrittura difensiva ex art. 47 c.p.c., u.c.; ha chiesto dichiararsi inammissibile ovvero rigettarsi l’avverso ricorso con condanna alle spese pur del legale rappresentante della s.r.l. ricorrente a norma dell’art. 94 c.p.c., e con condanna della s.r.l. ricorrente a norma dell’art. 96 c.p.c., u.c.. Il pubblico ministero, giusta la previsione dell’art. 380 ter c.p.c., ha formulato conclusioni scritte. Col ricorso a questa Corte di legittimità la “S.R.C. – Sviluppo Reti Commerciali” s.r.l. deduce in primo luogo “violazione e falsa applicazione degli artt. 18 e 20 c.p.c., nonchè dell’art. 637 del codice di rito, e del D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, art. 33, lett. u), G.U. 08/10/2005 n. 235 – Incompetenza territoriale del tribunale di Perugia – Omessa motivazione” (così ricorso, pag. 6). Adduce che il tribunale di Perugia senza alcuna motivazione ha implicitamente rigettato l’eccezione di incompetenza territoriale, atteso che, qualora “avesse reputato fondato il rilievo di incompetenza territoriale, non avrebbe sicuramente pronunziato un provvedimento ordinatorio con il quale ha, di fatto, dato ingresso alla fase istruttoria” (così ricorso, pag. 6). Adduce su tale scorta che con l’atto di opposizione al decreto ingiuntivo “aveva eccepito, in limine, l’incompetenza territoriale del Giudice adito, illustrando tutti i concorrenti criteri previsti dal codice di rito e dalle Leggi speciali ed indicando specificamente, in relazione a detti criteri, la competenza territoriale del Tribunale di Pesaro” (così ricorso, pag. 8). Col ricorso a questa Corte di legittimità la “S.R.C. – Sviluppo Reti Commerciali” s.r.l. deduce in secondo luogo “violazione e falsa applicazione dell’art. 295 c.p.c. e contraddittorietà della motivazione sottesa al provvedimento impugnato” (così ricorso, pag. 11). Adduce preliminarmente che il regolamento di competenza deve reputarsi esperibile pur avverso il provvedimento che abbia denegato la sospensione del processo. Adduce ulteriormente che la sospensione necessaria del giudizio è destinata ad operare “quando la decisione del medesimo dipenda dall’esito di altra causa, nel senso che questo abbia portata pregiudiziale in senso stretto e cioè vincolante, con effetto di giudicato, all’interno della causa pregiudicata (…), sicchè occorre garantire l’uniformità di giudicati, essendo la decisione del processo principale idonea a definire, in tutto o in parte, il thema decidendum del processo pregiudicato” (così ricorso, pag. 20). Adduce su tale scorta che “la querela di falso è tuttora pendente avanti al Tribunale di Pesaro (…): e l’accertamento a cui tale iniziativa giudiziaria mira appare ovviamente di importanza cruciale rispetto alla decisione del giudizio al quale accede l’ordinanza (…) impugnata, ponendosi quindi in posizione di evidente pregiudizialità logico – giuridica” (così ricorso, pagg. 17 – 18). Adduce d’altra parte che sussiste nella fattispecie il presupposto della “identità delle parti coinvolte dal processo pregiudicante rispetto a quelle interessate dal giudizio pregiudicato” (così ricorso, pag. 21). Il ricorso è inammissibile. In relazione alle prospettazioni in primo luogo addotte è sufficiente reiterare l’insegnamento di questo Giudice del diritto alla cui stregua anche dopo l’innovazione introdotta dalla novella di cui alla L. 18 giugno 2009, n. 69, in relazione alla forma della decisione sulla competenza (da adottarsi, ora, con ordinanza anzichè con sentenza), il provvedimento del giudice adito (nella specie monocratico), che, nel disattendere la corrispondente eccezione, affermi la propria competenza e disponga la prosecuzione del giudizio innanzi a sè, è insuscettibile di impugnazione con il regolamento ex art. 42 c.p.c., ove non preceduto (è esattamente il caso ora all’esame di questa Corte) dalla rimessione della causa in decisione e dal previo invito alle parti a precisare le rispettive integrali conclusioni anche di merito, salvo che (il che non è nel caso ora in esame) quel giudice, così procedendo e statuendo, lo abbia fatto conclamando, in termini di assoluta e oggettiva inequivocità ed incontrovertibilità, l’idoneità della propria determinazione a risolvere definitivamente, davanti a sè, la suddetta questione (cfr. Cass. sez. un. (ord.) 29.9.2014, n. 20449; Cass. (ord.) 22.10.2015, n. 21561, secondo cui il regolamento di competenza non è esperibile contro il provvedimento del giudice (nella specie monocratico) che, nel disattendere la corrispondente eccezione di parte, affermi la propria competenza – senza rimettere la causa in decisione, invitando previamente le parti a precisare le rispettive integrali conclusioni anche di merito – e disponga la prosecuzione del giudizio innanzi a sè, salvo che il giudice non manifesti, in termini di assoluta e oggettiva inequivocità ed incontrovertibilità, la natura decisoria della propria pronuncia, evenienza che ricorre quando risulti, in modo appunto inequivoco ed oggettivo, che egli, nell’esprimersi sulla questione di competenza, ha inteso fare luogo ad una valutazione che reputa non più discutibile (il che assolutamente non è nel caso ora in esame) ai sensi dell’art. 187 c.p.c., comma 3, e art. 177 c.p.c., comma 1). In relazione alle prospettazioni in secondo luogo addotte è sufficiente reiterare l’insegnamento di questo Giudice del diritto alla cui stregua l’art. 42 c.p.c., nel testo modificato dalla legge n. 353/1990, estende il rimedio del regolamento di competenza solo nei confronti dei provvedimenti che abbiano dichiarato la sospensione del processo ai sensi dell’art. 295 dello stesso codice e non di quelli che la sospensione stessa abbiano negato, rigettando l’istanza in tal senso proposta; è, peraltro, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale di tale previsione, in riferimento agli artt. 3e 24 Cost., in quanto la proponibilità del regolamento di competenza avverso il provvedimento che dichiara la sospensione si fonda sull’esigenza di assicurare un controllo immediato avverso un provvedimento idoneo ad arrecare un irrimediabile pregiudizio alla parte che ne contesta la fondatezza, mentre, nell’ipotesi di rigetto della richiesta di sospensione, l’illegittimità del provvedimento può utilmente dedursi con l’impugnazione della sentenza resa all’esito del processo e, ove ritenuta sussistente, determina la riforma o la cassazione della sentenza resa in violazione delle norme sulla sospensione necessaria (cfr. Cass. (ord.) 22.3.2005, n. 6174). La declaratoria di inammissibilità del ricorso giustifica la condanna della ricorrente s.r.l. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo. Non sussistono i “gravi motivi” postulati dall’art. 94 c.p.c., perchè l’amministratore unico e legale rappresentante – L.D. – della società ricorrente possa esser condannato in solido con la medesima s.r.l. alle spese di lite (cfr. Cass. sez. un. 6.101988, n. 5398, secondo cui l’art. 94 c.p.c., che contempla la condanna alle spese, eventualmente in solido con la parte, del soggetto che la rappresenti (e, quindi, in mancanza di distinzione fra rappresentanza in senso stretto e rappresentanza organica, anche dell’amministratore di una società), postula la ricorrenza di “gravi motivi”, da identificarsi nella trasgressione del dovere di lealtà e probità di cui all’art. 88 c.p.c., ovvero nella mancanza della normale prudenza che caratterizza la responsabilità processuale aggravata di cui all’art. 96 c.p.c., comma 2; cfr. Cass. 8.10.2010, n. 20878, secondo cui l’art. 94 c.p.c., che contempla la condanna alle spese nei confronti dell’avversario vincitore, eventualmente in solido con la parte, del soggetto che la rappresenti (e, quindi, come nella specie, anche dell’amministratore di una società), si giustifica con il fatto che il predetto, pur non assumendo la veste di parte nel processo, esplica pur tuttavia, anche se in nome altrui, un’attività processuale in maniera autonoma, conseguendone l’operatività del principio della soccombenza; tale condanna postula la ricorrenza di gravi motivi, da identificarsi in modo specifico dal giudice, per la loro concreta esistenza, nella trasgressione del dovere di lealtà e probità di cui all’art. 88 c.p.c., ovvero nella mancanza della normale prudenza che caratterizza la responsabilità processuale aggravata di cui all’art. 96 c.p.c., comma 2). Non sussistono i presupposti della mala fede ovvero della colpa grave perchè si possa far luogo alla condanna di cui all’art. 96 c.p.c., comma 3, (cfr. Cass. (ord.) 11.2.2014, n. 3003, secondo cui la condanna al pagamento della somma equitativamente determinata, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, aggiunto dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, ha natura sanzionatoria e officiosa, sicchè essa presuppone la mala fede o colpa grave della parte soccombente, ma non corrisponde a un diritto di azione della parte vittoriosa). Si dà atto che il ricorso è stato notificato in data 13.5.2015. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (comma 1 quater introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, a decorrere dall’1.1.2013), si dà atto altresì della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso per regolamento di competenza; condanna la ricorrente, “S.R.C. – Sviluppo Reti Commerciali” s.r.l., a rimborsare alla resistente, avvocato A.C., le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (comma 1 quater introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, a decorrere dall’1.1.2013), dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente s.r.l., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2016

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